La XXI Conferenza Annuale dell'organizzazione che rappresenta science centre e musei scientifici di tutta Europa, ECSITE – svoltasi presso il DASA di Dortmund dal 3 al 5 giugno scorsi – si è conclusa da qualche giorno. È quindi possibile, a caldo ma avendone metabolizzato gli spunti di discussione, trarne un bilancio.
Intanto, qualche dato. Nonostante una location non certamente competitiva dal punto di vista del turismo connesso ai congressi e malgrado i tagli che molte istituzioni hanno dovuto apportare ai propri bilanci a causa della crisi economica, la Conferenza ha visto la partecipazione, molto significativa, di circa 800 delegati, a conferma del fatto che la Conferenza di ECSITE è ormai un evento molto atteso nella comunità europea, e non solo, della comunicazione scientifica.
Ben 42 paesi, infatti, sono stati rappresentati all’incontro; una platea, quindi, ben più ampia della sola Europa con presenze significative dall’Asia (Giappone, Hong Kong, India, Malesia), dagli Stati Uniti e dall’Australia, dal Medio Oriente (Emirati Arabi Uniti, Kuwait), dall’Africa (Egitto, Sud Africa, Tunisia). Questo dato, peraltro, rappresenta una delle principali caratteristiche – in termini di “freschezza” e varietà delle riflessioni e delle proposte presentate da più di 200 speaker in circa 70 sessioni – non solo della Conferenza ma della “politica” stessa del network, che proprio nel confronto con le altre reti regionali (ASTC, ASPAC, SAASTEC, NAMES) ha individuato uno dei suoi principali assi di azione in questa fase.
Questa volontà di costruire una comunità di professionisti non solo motivati in termini professionali e sempre più esperti sul piano tecnico, ma anche capaci di assumere una responsabilità univoca – pur nelle naturali differenze – per la costruzione di una società democratica della conoscenza, ha visto nella Dichiarazione di Toronto, lanciata al V Congresso Mondiale dei Science Centre del 2008, il suo momento probabilmente più significativo, affermando una tendenza che si sta sempre più radicando nella cultura e nelle pratiche dei tanti musei scientifici e science centre operanti in tanti paesi.
E d’altronde, la natura sempre più globale della ricerca scientifica, il ruolo delle nuove tecnologie, i comuni nemici da combattere (ad esesempio il creazionismo rampante non solo negli USA) hanno molto rafforzato questo comune sentire.
Tutto ciò si è percepito con forza a Dortmund dove, peraltro, il tema prescelto – il rischio – non può che essere declinato in una dimensione di globalità e interconnessione. Tema richiamato anche dalla sede in cui la Conferenza si è svolta, DASA (Deutsche Arbeitsschutzausstellung, letteralmente Esposizione tedesca sulla sicurezza e la salute sul lavoro) un museo interattivo dedicato interamente alla sicurezza sul lavoro e, quindi, al lavoro e alle sue trasformazioni connesse all’evoluzione della scienza e della tecnologia.
Oltre alla dimensione globale (declinata in numerose sessioni sul cambiamento climatico oltre che sulla cooperazione internazionale), proporrei due ulteriori tracce di riflessione, emerse dai lavori della Conferenza.
La prima, strettamente connessa all’ampia discussione sul rapporto tra scienza e società generatasi nei science centre europei negli ultimi anni, anche grazie ai programmi di attività finanziati dal VI e VII Programmi Quadro di R&S dell’Unione Europea, riguarda il ruolo del pubblico dei visitatori nella costruzione dei programmi e delle attività museali. Si tratta di un tema di grande interesse vista la tendenza sempre più diffusa, anche grazie ai social network, di far partecipare attivamente “i pubblici” nella progettazione di mostre e attività, oltre che la sempre maggior presenza di eventi partecipativi nella programmazione quotidiana dei musei. Svariati i casi illustrati, dal Liberty Science Center di New York alla stessa Città della Scienza di Napoli, che aprono comunque l’interrogativo su quanto si sia disposti a “rischiare” aprendosi a una partecipazione sempre più spinta dei visitatori (ben oltre le semplici indagini sul gradimento dei servizi, ormai condivise da tutti i musei) nella costruzione di contenuti e nella produzione di nuove idee e conoscenze. Un tema che ha visto posizioni articolate e che rappresenta, comunque, certamente l’evoluzione di quella interattività che, per molti e per molto tempo, è stata vissuta semplicemente come l’atto di premere un pulsante.
La seconda traccia riguarda, invece, la molteplicità di relazioni che i science centre intrattengono – e sempre più sono chiamati a intrattenere, sia in quanto espressioni compiute della dimensione post-accademica della scienza, sia a causa della crisi economica globale – con una molteplicità di attori istituzionali sempre più ampi, dai governi locali, nazionali e sopranazionali, agli sponsor, da cui sempre di più dipendono sostenibilità e capacità di sopravvivenza. Ne è testimonianza, per citare un solo caso ma di rilievo, quello della Cité des Sciences e del Palais de la Decouverte di Parigi che stanno, proprio per le ragioni di cui sopra, marciando verso un processo di unificazione in una nuova istituzione (che ricordiamo, è pubblica) chiamata Universcience e che rappresenterà, per dimensioni e ruolo, sicuramente un modello di interesse cui guardare in futuro. È evidente che questo quadro costituisce una sfida per pratiche e culture che sono state caratterizzate per molto tempo da una sostanziale autonomia dal contesto politico ed economico.
Forse proprio per questo il tema prescelto per la prossima Conferenza, a Varsavia nel maggio 2011, sarà quello della “libertà”. Un tema stimolante e che sicuramente non mancherà di far riflettere e discutere.