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La scienza al Sud ha mille storie

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Se è vero che nel passato ci sono i semi del futuro, allora è un'opera davvero importante quella che l'editore Rubbettino ha pubblicato in tre poderosi tomi col titolo La scienza nel Mezzogiorno dopo l'Unità d'Italia, a cura del quasi omonimo Comitato nazionale "La scienza nel Mezzogiorno dall'Unità d'Italia ad Oggi". Non solo perchè è la prima ricostruzione a largo spettro dell'attività scientifica nel Sud d'Italia. Ma anche e soprattutto perchè la scienza è uno dei pochi ganci cui il futuro del Mezzogiorno - come dell'Italia intera, peraltro - può aggrapparsi per rilanciarsi. E perché nel passato del Mezzogiorno c'è, come testimoniano i tre tomi appunto poderosi, c'è una presenza scientifica ricca e niente affatto banale.

Dopo l'Unità d'Italia, nell'ultimo secolo e mezzo, il Sud ha prodotto molta scienza - talvolta ottima scienza - in campi i più diversi: dalla biologia marina (a proposito, cade quest'anno il centenario della morte del suo fondatore, Anton Dohrn, che proprio ha Napoli ha inventato la disciplina e ha fondato la Stazione Zoologica)  alla vulcanologia, dall'astronomia alla cibernetica, dalla matematica alla chimica. Cosicché il libro dipana molte storie. Spesso dense, alcune straordinarie. Ma non propone «una storia». Narra di vicende tutto sommato slegate tra loro e, soprattutto, slegate dal territorio dove hanno avuto corso. L'impressione - sfogliando quelle pagine - è che il Mezzogiorno, avendo seguito e spesso anticipato il resto d'Italia nel perseguire un «modello di sviluppo senza ricerca scientifica», abbia perso non «un» ma «il» treno per uscire dalle sue condizioni di relativa arretratezza economica e civile.

La storia scientifica del Mezzogiorno è una storia pulsante. Fin dall'inizio. A grandi accelerazioni che consentano agli scienziati del Sud di lavorare alla frontiera della conoscenza, seguono lunghe stasi e persino regressi. Il Mezzogiorno scientifico che eredita l'Italia intera ha tracce di queste grandi accelerazioni: Napoli ospita una delle prime e delle più grandi università d'Europa, fondata da quel principe illuminato che fu Federico II; l'Osservatorio astronomico; l'Orto botanico, il Gabinetto di mineralogia, il Laboratorio di Chimica. Ma poi nel resto del Mezzogiorno continentale non c'è praticamente più nulla. Delle venti università o giù di lì di cui dispone l'Italia unita, solo quattro sono nel Sud. E di quelle quattro, una è, come abbiamo detto a Napoli, e le altre tre sono tutte in Sicilia (Palermo, Catania, Messina).

In passato, in un passato anche recente, la scienza del Sud ha raggiunto vette significative. Ma all'atto dell'Unità è stanca, fiaccata da un lungo ristagno. Eppure dopo l'Unità non mancano i guizzi. Nascono a Napoli il  primo laboratorio di biologia marina e il primo osservatorio vulcanologico. Si sviluppano a Palermo e Catania memorabili circoli matematici.

Potremmo continuare con questi esempi. Dalla sintesi neodarwiniana alla cibernetica, spesso i nuovi paradigmi scientifici sbarcano in Italia passando per Napoli. Tuttavia si tratta, appunto, di «molte storie», troppo slegate tra di loro e troppo slegate dal territorio per fare storia. Per contribuire allo sviluppo di questa grande parte d'Italia.

Con due sole eccezioni. Negli anni - più o meno tre lustri - che precedono il primo conflitto mondiale e negli anni - più o meno tre lustri - che seguono la seconda guerra mondiale. In questi due periodi prendono corpo due grandi processi di modernizzazione, che puntano sull'industria e sull'innovazione tecnologica. È in questi due periodi che il Sud dà l'impressione di potercela fare. E che la scienza dà l'impressione di poter essere la parte vivificante del processo. In entrambi i periodi è lo Stato che assume la funzione di guida e di catalizzatore.

È da qui che bisogna ricominciare. Il Sud - come il resto d'Italia - è fuori dalla Società e dall'economia della conoscenza. Le sue difficoltà economiche e sociali sono legate a questa "mancata modernizzazione". Nel passato scientifico rievocato dal libro curato per Rubbettino dall'Accademia dei XL ci sono le indicazioni per tentare di venirne fuori: lo Stato diventi il promotore e il catalizzatore di una nuova stagione di rapporti organici tra la scienza, la società e il sistema produttivo del Mezzogiorno.


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