Finora, solo una persona sembra sia stata 'curata' dall'AIDS: un paziente che aveva sviluppato una leucemia in seguito all'immunodeficienza acquisita causata dal virus dall'HIV e che aveva ricevuto un trapianto di midollo osseo da un donatore risultato naturalmente immune al virus.
Il fenomeno della resistenza 'naturale' al virus dell'HIV è spiegabile attraverso la modalità di ingresso del virus nell'uomo. Infatti il virus penetra nelle cellule del nostro sistema immunitario attraverso un recettore di superficie, una proteina chiamata CCR5. Circa il 10 % della popolazione europea è portatrice di un polimorfismo che codifica per una variante nella sequenza proteica del recettore e le rare persone che possiedono due copie del polimorfismo - come il donatore di midollo di cui sopra - producono un recettore a cui il virus non riesce a legarsi, risultando perciò naturalmente resistenti all'HIV. Quindi si stanno cercando strategie di terapia genica per mimare questo fenomeno e modificare il DNA in modo da rendere le persone 'artificialmente' resistenti all'ingresso del virus.
Il Dottor Carl June e i suoi colleghi dell'università della Pennsylvania hanno messo a punto una nuova tecnica di terapia genica che prevede prima la modifica del DNA codificante il recettore CCR5 nelle cellule dei pazienti sieropositivi, quindi la reinoculazione delle cellule modificate negli stessi pazienti. Attualmente il primo trial clinico - in collaborazione con una piccola azienda biotecnologica californiana, la Sangamo Biosciences - è in corso per verificare se le cellule resistenti modificate sono in grado di ricostituire il sistema immunitario del paziente danneggiato dal virus e trattare così l'immunodeficienza. Questa nuova tecnologia si basa su fattori di trascrizione presenti nel nostro corpo, chiamati proteine “zinc fingers”, che legano il DNA in modo specifico riconoscendo sequenze di aminoacidi cisteina-istidina e quindi reprimono la trascrizione genica. Queste proteine sono particolarmente interessanti perché hanno una struttura a 'moduli' e possono quindi riconoscere diversi tipi di sequenze di DNA, nonché essere manipolate artificialmente per creare sequenze bersaglio ad hoc e fare sì quindi che il fattore di trascrizione reprima il gene desiderato.
In linea teorica, quindi, tali proteine dovrebbero essere in grado di modificare il DNA in ogni sito desiderato di un cromosoma animale o vegetale. Se queste premesse teoriche venissero mantenute in pratica, tale approccio fornirebbe un metodo generale per creare organismi geneticamente modificati, trattare malattie genetiche come l'emofilia o l'anemia falciforme o altre attualmente prive di cure, e anche operare interventi a livello della linea germinale umana.
Tali interventi di terapia genica a livello di oociti o spermatozoi sarebbero ereditabili e quindi, come tali, eticamente controversi. Secondo alcuni commentatori in bioetica essi rappresenterebbero l'inizio di una pericolosa 'slippery slope' (china scivolosa) verso la scelta delle caratteristiche per i nostri figli e come tali, dovrebbero essere vietati per un principio di precauzione, secondo cui dobbiamo sempre immaginarci il 'peggior scenario possibile' in termini di conseguenze di una nuova tecnologia.
Dal punto di vista scientifico, però, deve essere messo in chiaro che allo stato attuale delle conoscenze – e per molti anni ancora a venire- i codiddetti “designer babies” (bambini per cui saremmo in grado di scegliere il colore degli occhi e dei capelli, insieme a tratti complessi come l'intelligenza, le capacità atletiche o altri caratteristiche della personalità) rimangono uno scenario fantascientifico riservato agli schermi televisivi o cinematografici (come, per esempio, già 'Gattaca' nel 1997).
La terapia genica, dopo un iniziale momento di grande entusiasmo, è stata bersaglio di aspre critiche in seguito al trial clinico francese contro l'ADA-SCID (un'immunodeficienza severa su base genetica che obbliga chi è colpito a vivere in una “bolla” protettiva completamente sterile) in cui alcuni bambini trattati con il vettore virale hanno poi sviluppato leucemie. Negli ultimi anni però la terapia genica sembra aver mantenuto alcune delle iniziali promesse terapeutiche, portando per esempio nel 2008 al recupero parziale della vista in Corey Haas, un bambino di otto anni dello stato di New York, US, affetto da una malattia neurodegenerativa del nervo ottico (amaurosi congenita di Leber).
Il principio di precauzione, se applicato alla lettera, non appare quindi sempre come una scelta saggia, soprattutto quando rischia di limitare lo sviluppo di tecnologie che potrebbero portare grandi benefici in medicina. A volte, non è necessario immaginare il peggior scenario possibile per proseguire con lo sviluppo di una tecnologia, pur tenendo conto della sicurezza e delle problematiche etiche.