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Clima: una strategia di adattamento per l’Italia

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Pochi giorni fa il Ministero dell'Ambiente italiano ha presentato la Strategia Nazionale di Adattamento ai cambiamenti climatici, o SNA. La bozza del documento è disponibile in pdf e la procedura di consultazione pubblica online rimarrà aperta fino al 31 dicembre.

Le strategie nazionali fanno parte degli impegni che i Paesi europei hanno preso per condividere le conoscenze e sviluppare un piano coordinato di prevenzione e adattamento agli impatti negativi dei cambiamenti climatici. Tutti gli stati membri dovrebbero avere una SNA e, successimente, metterla in pratica attraverso un Piano Nazionale di Adattamento, o PNA.

Tecnicismi a parte, nel documento sono elencati i rischi che il riscaldamento globale comporta per l'Italia e le vulnerabilità del nostro Paese. In sintesi:

  • maggiore pressione sulle risorse idriche, con conseguente “riduzione della qualità e della disponibilità di acqua, soprattutto in estate nelle regioni meridionali e nelle piccole isole ” 
  • potenziale aumento del “rischio di frane, flussi di fango e detriti, crolli di roccia e alluvioni lampo ”, come conseguenza del peggioramento del dissesto idrogeologico
  • degrado del suolo e rischio più elevato di erosione e desertificazione del terreno (buona parte del Sud Italia è classificato a rischio di desertificazione e diverse regioni del Nord sono in “condizioni preoccupanti”)
  • maggior rischio di siccità e incendi nelle zone boschive
  • maggior rischio di perdita di biodiversità e di danni agli ecosistemi naturali, soprattutto nelle zone alpine e negli ecosistemi montani
  • maggior rischio di inondazione ed erosione nelle zone costiere per l'aumento di eventi meteorologici estremi e l’innalzamento del livello del mare
  • potenziale riduzione della produttività agricola
  • possibile aumento di malattie e mortalità legate al caldo e di malattie cardio-respiratorie da inquinamento atmosferico (specialmente per i gruppi più vulnerabili della popolazione); possibile aumento di infortuni, decessi e malattie causati da inondazioni e incendi, di disturbi allergici e di malattie di origine infettiva, idrica ed alimentare
  • potenziali danni per l’economia italiana nel suo complesso (derivati da minore produzione di energia idroelettrica; riduzione dell’offerta turistica invernale e minore attrattività della stagione estiva; calo della produttività nel settore della pesca; danni a infrastrutture urbane e rurali con possibili interruzioni o inaccessibilità della rete di trasporto). 

Il peggioramento delle condizioni geofisiche e sociali dell'Italia non sarà uniforme per tempistiche, estensione e gravità. Il quadro comunque poco rassicurante si basa su ricerche e proiezioni coordinate dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, che ha ricevuto l'incarico nel 2012.

Che fare?

L'obiettivo, come recita il testo del documento, è quello di “ridurre al minimo i rischi derivanti dai cambiamenti climatici, proteggere la salute e il benessere e i beni della popolazione e preservare il patrimonio naturale, mantenere o migliorare la capacità di adattamento dei sistemi naturali, sociali ed economici nonché trarre vantaggio dalle eventuali opportunità che si potranno presentare dall’attuazione delle azioni di adattamento”.

Le misure presentate sono moltissime e includono opere infrastrutturali, azioni di governance locale e nazionale, interventi basati su un approccio ecosistemico. Scorrendo la bozza, si contano oltre duecento proposte, più o meno specifiche, per tredici settori d'azione: risorse idriche; desertificazione; degrado del territorio e siccità; dissesto idrogeologico; biodiversità ed ecosistemi; salute; foreste; agricoltura, acquacoltura e pesca; produzione e consumo di energia; zone costiere; turismo; insediamenti urbani; patrimonio culturale e trasporti; Alpi, Appennini e distretto idrogeografico padano (zone definite “casi speciali nazionali”).

Basta dare un'occhiata al documento per pensare che se solo la metà di queste misure venisse applicata in modo appropriato, i benefici per l'Italia andrebbero ben oltre la “semplice” capacità di far fronte ai rischi climatici. Sarebbero un toccasana per la sicurezza e la salute pubblica, il benessere economico e sociale, la tutela del territorio e degli ecosistemi, l'efficienza del settore energetico e produttivo.

Per evitare che le buone idee rimangano sulla carta (o vengano messe in pratica in modo scordinato, inutile, o dannoso) l'Italia non ha molto tempo a disposizione. Secondo la tabella di marcia dell'Unione Europea, la SNA dovrebbe essere già pronta. Nel 2013 partirà ufficialmente la “seconda fase”, quella dell'attuazione. Non si tratta soltanto di stare alla pari con altri Paesi europei che hanno valutato i rischi e deciso cosa fare anni fa, ma anche di stimare i fondi necessari alle misure di adattamento (pubblici, privati ed europei) e scegliere come spenderli. Come spenderli bene, s'intende.

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