fbpx Benzina e promesse energetiche | Scienza in rete

Benzina e promesse energetiche

Primary tabs

Read time: 2 mins

I giornali oggi danno notizia di un processo che sarebbe stato messo a punto da una società inglese per produrre petrolio dall’aria, con guadagno di energia. Qualcuno ha parlato di fonte illimitata.

Riguardo al metodo, sono contrario alla clamorosa divulgazione di ipotetici risultati scientifici eccezionali attraverso giornali, saltando il passaggio di una rivista specializzata che prima di pubblicarli li avrebbe sottoposti al giudizio di esperti. Poiché anche questa volta si tratta di un piccolo e confuso esperimento che viene sbandierato come una possibile soluzione per la crisi energetica e climatica, l'unico risultato è far sorgere nella gente aspettative che deviano l'attenzione dalle uniche due soluzioni reali: risparmio energetico e sviluppo delle energie rinnovabili.

L'articolo è molto confuso: prima parla di gasoline (benzina) ottenuta da anidride carbonica e vapor d'acqua: un'impresa assolutamente impossibile, come sarebbe pretendere che un ascensore salisse spontaneamente dal piano terra al decimo piano. Successivamente ammettono di aver usato non acqua, ma idrogeno, ottenuto sembra per scissione elettrolitica dell'acqua. Cioè hanno immesso energia, e non poteva essere diversamente se pretendevano di  trasformare l'anidride carbonica, che ha basso contenuto energetico, in petrolio, che ha alto contenuto energetico. A questo punto il problema è quanta energia hanno immesso e quanta se ne può ottenere indietro, perché il processo è interessante solo se l'energia ottenuta è maggiore di quella immessa, cosa che mi sento assolutamente di escludere. D'altra parte, non ci sono dati, non sono state fatte misure. E' una storia simile a quella della fusione fredda.

L'altro aspetto su cui l'articolo insiste è che con questo metodo si potrebbe catturare anidride carbonica dall'aria, combattendo così l'effetto serra. A parte il fatto che per ottenere un simile risultato si dovrebbe consumare energia, si fa presto a capire che un'impresa del genere è paragonabile a quella di voler vuotare il mare usando un secchiello. Semmai ci si potrebbe limitare a sequestrare l'anidride carbonica che esce dalla grandi centrali a carbone.

Una cosa rimane certa: l'unico modo serio per combattere l'effetto serra, i cambiamenti climatici e per uscire dalla  crisi energetica è ridurre i consumi energetici e sviluppare le energie rinnovabili.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Terre rare: l’oro di Pechino che tutti vogliono

miniera californiana di Mountain Pass

Il trattato USA-Ucraina appena sancito rivela quanto urgente sia la necessità di dotarsi di minerali critici, fra cui le 17 terre rare, per la transizione digitale ed elettrica. In realtà tutti sono all'inseguimento della Cina, che produce il 70% di questi metalli e l'85% degli impianti di raffinazione e purificazione. Questo spiega una serie di ordini esecutivi di Trump e le nuove politiche di Giappone, Australia ed Europa, e forse anche la guerra in Ucraina. Non più tanto le fonti fossili quanto le terre rare sono diventate materia di sicurezza nazionale. Ovunque si riaprono miniere, anche in Italia. Ma essendo difficili da estrarre e purificare si punta anche al riciclo e alla ricerca per mettere a punto le tecnologie di recupero più economiche e sostenibili. Ma come ha fatto la Cina ad acquisire una tale supremazia? E che cosa stanno facendo gli altri?

Nell'immagine la storica miniera californiana di Mountain Pass, TMY350/WIKIMEDIA COMMONS (CC BY-SA 4.0)

C’era una volta, negli anni Novanta del secolo scorso, un mondo con due potenze in sostanziale equilibrio nella produzione di terre rare: Stati Uniti (33%) e Cina (38%), seguiti da Australia (12%), India a e Malesia per il 5% ciascuna e le briciole ad altri paesi. Ora non è più così.