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C'è spazio per tutti

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C'è spazio davvero per tutti nell'avventurosa storia della geometria raccontata da Piergiorgio Odifreddi. C'è spazio per i delfini, che esplorano il mondo col sonar, per il radar dei pipistrelli e per gli occhi delle mosche, così diversi dai nostri, che moltiplicano le immagini innumerevoli volte. E c'è spazio per le api che si orientano come bussole nel campo magnetico della Terra. Ognuno di questi animali ha tutto il diritto di costruirsi una propria, per quanto stravagante, geometria.

C'è spazio persino per quel povero verme – la tenia – che vivendo nell'intestino umano non può che proiettare il proprio spazio vitale in un cilindro, e che solo grazie al nostro aiuto, offertogli in forma di purga, può uscire e condividere con noi il mondo all'aria aperta. Eppure, anche là dentro, la sua visione delle cose – avverte Odifreddi, anticipando una delle numerose sorprese riservate dallo studio della geometria – non era così lontana dalla nostra. Infatti «il cilindro ha la stessa geometria del piano, benché la sua curvatura lo faccia sembrare a prima vista più simile a una sfera». Del resto, anche noi abbiamo i nostri limiti. «Gli a priori imposti dalla nostra storia evolutiva rendono la nostra concezione dello spazio umana troppo umana», anche se è proprio grazie alla nostra capacità di affrancarcene che la geometria ha potuto trasformarsi in una delle storie più appassionanti della nostra cultura. Una storia tra natura e cultura, verrebbe da dire, dove le nostre risorse cognitive di base (non solo visive, ma anche tattili, uditive e legate al senso dell'equilibrio) sono il trampolino di lancio per avventure che finiscono per trascenderle, senza mai peraltro negarle del tutto.

Uno spazio immenso si spalanca così per le idee geniali di figure come Pitagora, Platone, Ippocrate di Chio, Teeteto, Democrito, Aristotele, e poi Euclide, Archimede, Apollonio: autore quest'ultimo non di «Oggi le coniche», come forse piacerebbe a Odifreddi che così intitola il capitolo a lui dedicato, ma di trattati su parabole, iperboli ed ellissi, costruite come sezioni del cono, fondamentali per la storia della conoscenza quasi quanto gli Elementi di Euclide, il libro che contende alla Bibbia il primato per numero di edizioni e che è stato per millenni il modello di ogni sapere rigoroso basato su dimostrazioni certe.

Sono queste figure dell'antichità e dell'ellenismo i giganti sulle spalle dei quali Newton disse di aver potuto vedere così lontano; esprimendosi peraltro egli stesso, nei Principia (pur essendo anche l'inventore, in contemporanea con Leibniz, del moderno calcolo infinitesimale) con il linguaggio "antico" delle dimostrazioni geometriche. E anche Galileo pensava al gran libro della natura scritto «in lingua matematica», i cui caratteri son triangoli e cerchi. Per non dire di Keplero, che incastonò in un'unica figura i solidi regolari: altro tema pervasivo della nostra cultura, artistica, architettonica e scientifica, e forse anche della nostra natura, visto che è stata ritrovata una serie dei cinque solidi regolari risalente al Neolitico! A seguire Odifreddi diventa facile riconoscere l'icosaedro troncato vacuo (ultimo solido de La divina proporzione di Luca Pacioli, disegnato da Leonardo) mentre rotola nel mezzo di un campo di calcio. Salvo poi scoprire che è l'identica struttura della molecola del fullorene, per cui è stato dato il Nobel nel 1996.

La geometria, come tutta la matematica, è astratta e difficile, inutile negarlo. Come farla amare anche a chi non è del mestiere? Come farne scoprire i segreti e le meraviglie evitando di annoiare con eccessi di formule e tecnicismi? Ci si può arrendere subito, come fece lo stesso Euclide quando Tolomeo I (generale di Alessandro Magno e suo successore ad Alessandria dove fondò la famosa Biblioteca) gli chiese se non vi fossero delle scorciatoie per comprenderne il senso, senza passare per assiomi e dimostrazioni. La risposta fu che «non ci sono vie regie in geometria». Si possono però usare degli stratagemmi assai efficaci. La geometria, in fondo, è anche la parte della matematica più legata ai nostri sensi. A essi è bene fare appello ogni volta che si può, raccontandone la storia. C'è spazio per tutti è un racconto esatto, pervaso da un garbato umorismo, delle principali questioni concernenti punti, segmenti, rette, figure, solidi. Linea, punto e superficie, per dirla con Kandinskij, uno degli innumerevoli artisti citati e riprodotti in un volume tutto a colori, dimostrazioni comprese, dove le immagini fanno tutt'uno con il tessuto esplicativo del testo, assistono la mente per incrementare l'immediatezza della comprensione e del consolidamento delle conoscenze a mano a mano acquisite. È «lo sviluppo nel tempo del concetto di spazio», che da sempre ossessiona la cultura umana di tutte le latitudini, se è vero che le radici storiche della geometria vanno ad ascriversi (prima del grande sviluppo ellenistico), a quattromila anni fa, con gli Egizi e con gli Indiani.

Il nostro cervello e la nostra percezione visiva la geometria ce la impongono naturalmente. La nozione di triangolo, per esempio, è determinata dalla nostra stessa visione binoculare, per cui il lato corto del triangolo è composto dalla distanza tra i due occhi, che è fissa, mentre gli altri due lati li ricava il cervello sulla base della distanza dell'oggetto osservato. È a partire da questa "natura" che l'uomo si è fatto agrimensore ed esploratore del cielo e dell'universo. Quando, nel 1833, l'astronomo scozzese Thomas Henderson effettuò una serie di osservazioni stellari accorgendosi che l'angolazione dalla stella Alfa Centauri rispetto alla Terra cambiava leggermente a seconda delle stagioni – confutando sperimentalmente per la prima volta l'obiezione dei tolemaici al moto di rivoluzione terrestre e dunque al sistema eliocentrico – non aveva altra possibilità che guardare le stelle dalla Terra e misurarne gli angoli. Non era una sua invenzione, ma della natura. Usò cioè il principio del sistema visivo binoculare, per cui un triangolo è completamente determinato da un lato e dai due angoli adiacenti. È così aveva fatto Talete per dedurre la distanza di una nave in mare, dai due angoli che forma rispetto a due punti sulla spiaggia. Se ne servì Aristarco nel «primo avveniristico calcolo delle misure dell'universo» nel trattato Sulle dimensioni e le distanze del Sole e della Luna. E che dire di Eratostene, il contemporaneo di Archimede che – messo un po' in ombra dalla debordante genialità di quest'ultimo – giocando con le ombre ottenne la misura esatta della circonferenza della Terra? Quella che, divisa per quaranta milioni, ha portato alla definizione del l'unità di misura del metro.

Dobbiamo ancora preoccuparci se, sin dalle elementari o le medie, abbiamo avuto problemi con il teorema di Pitagora? No. Che ci piaccia o no, siamo già tutti geometri senza saperlo.


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