fbpx Chiusa la conferenza, tra delusioni e speranze rimandate | Scienza in rete

Chiusa la conferenza, tra delusioni e speranze rimandate

Primary tabs

Read time: 6 mins

E’ disponibile, in 5 lingue diverse, la versione finale di “The Future We Want” il documento ufficiale frutto dei negoziati della Conferenza sullo Sviluppo Sostenibile di Rio de Janeiro, chiusa il 22 giugno. L’ultima fase di revisione del documento, quella associata ai riflettori di Rio+20, è stata scandita da scontri tra il mondo politico e gli esponenti della cosiddetta società civile – i Major Groups, associazioni, sindacati, popolazioni indigene – anch’essi impegnati nel negoziato, che hanno nella maggior parte dei casi rifiutato di firmare il trattato. Non si tratta di una reazione sorprendente, considerando le proteste annunciate già alla vigilia dell’apertura della Conferenza – le marce del vertice dei Popoli, tra le altre. Tuttavia si possono individuare cauti segnali di ottimismo e, in generale, un risultato comunque innovativo nel modo di far procedere i negoziati internazionali.

“Il futuro che vogliamo” mutilato

La votazione finale e blindata del documento sottoscritto dai rappresentanti dei 193 Paesi membri è arrivata martedì 19 sera, dopo l’intervento del Brasile che ha agito diplomaticamente – approfittando forse della persistente assenza di una traiettoria comune – imponendo una versione di compromesso ridotta a 50 pagine per 283 paragrafi, dalle 80 pagine e 360 paragrafi iniziali.
La riduzione del testo corrisponde, in buona parte, all’eliminazione di interi paragrafi dell'ultima revisione di inizio giugno:

  • sono state eliminate le sezioni al centro degli scontri
  • eliminati anche obiettivi e scadenze temporali (rifiutata la proposta europea di istituire una roadmap della Green Economy e rinviato al 2014 la creazione di un fondo per la promozione dello sviluppo sostenibile)
  •  l’UNEP non assumerà il ruolo di Agenzia Indipendente per la Governance dello Sviluppo Sostenibile. Ma sono stati promessi più fondi per il programma ONU e, in qualche modo, se ne assumerà la responsabilità.

I firmatari hanno fatto però in modo che la dichiarazione finale riconoscesse lo sradicamento della povertà come principale sfida globale (cancellando, tuttavia, la definizione di “estrema povertà”).

Negli ultimi mesi, i principali temi della discordia sono stati green economy e governance sullo sviluppo sostenibile. Se, infatti, c’è una sostanziale convinzione che la prima sia la più importante e concreta opportunità di rilanciare l’economia – realizzando enormi profitti – la difesa degli interessi da parte dei paesi Industrializzati ha complicato notevolmente l’accordo sulle sezioni che propongono il trasferimento tecnologico ai Paesi in via di sviluppo. La discussione sulla governance dell’ambiente e sostenibilità ha sofferto poi della difficoltà di trasformare le convenzioni già esistenti in un’organizzazione internazionale specifica (come ad esempio la FAO per l’agricoltura o l’Organizzazione Mondiale sul Commercio per il commercio globale).

Cosa è successo a Riocentro

Tra le dichiarazioni governative, vale la pena ricordare quella dei G-77 della Cina - i quali hanno determinato in gran parte l'esito della partita finale -  incentrata sull’importanza di lasciare libertà alle priorità di sviluppo nazionali e alla diversificazione dei diversi approcci per la green economy, unita alla rimozione delle barriere commerciali, alla dilazione del debito dei paesi in via di sviluppo e alla necessità di nuove e addizionali risorse finanziarie. Il premier cinese Wen Jiabaosi si è inoltre impegnato per i finanziamenti da stanziare all’UNEP per formare nuovi manager ambientali, per costruire una rete globale di cooperazione tecnologica e per aiutare i paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico ad affrontare il cambiamento climatico. Anche l’intervento coreano ha suscitato interesse, dopo l’annuncio della formalizzazione dell'Istituto della Global green growth - avviato a Seoul nel 2010 – con l’impegno di fornire aiuti pubblici allo sviluppo per la green growth.

Mentre buona parte dei leader europei e occidentali era al G20, nel tentativo di arginare il collasso dell’euro, è stato il neo primo ministro francese François Hollande a stupire puntando il dito proprio contro l’assenza di dettagli sugli annunciati sistemi di finanziamento innovativi per lo sviluppo sostenibile e la green economy. Hollande ha rilanciato la proposta di approvare una tassa su tutte le transazioni finanziare per evitare l’erosione dei terreni agricoli, la speculazione sulle risorse alimentari e per finanziare quindi progetti di sviluppo sostenibile – come l’ambizioso progetto Zero Hunger di Ban Ki-Moon.

Durante il giro di tavole rotonde, è stata proprio la società civile a prendere per prima la parola, dopo aver insistito fino all’ultimo momento su raccomandazioni di base (definire i principi per gli SDG; stabilire una definizione condivisa di green economy; inserire come parte del documento finale le 30 raccomandazioni provenienti dai Dialoghi  per lo sviluppo sostenibile)Tra gli altri, le ONG hanno dichiarato di non poter accettare un documento politico che non faccia menzione dei confini planetari, dei tipping point, e della specifica capacità di carico del pianeta; il Major Group delle Donne ha denunciato la cancellazione dell’alto commissario per le generazioni future e la mancanza di impegno per i diritti riproduttivi; Business e Industria si sono impegnati a continuare nel contributo per la crescita inclusiva e verde; la Comunità di Scienza e Tecnologia ha spiegato che il Pianeta è entrato in un nuovo Antropocene chiedendo a Rio+20 di stabilire un nuovo patto tra scienza e politica.

Una guida di facciata?

In conclusione, il comune sentire è stato di disappunto. Dal punto di vista della diplomazia si è lamentata la mancata autorevolezza dell’ONU nel gestire i negoziati e, di conseguenza, è stato forte il risentimento per le astuzie politiche del governo del Brasile nell'approfittare dell'assenza di una guida e imporre (l'inevitabile) decisione finale. Mentre quello che la società civile denuncia con voce più grossa è il mancato taglio agli incentivi sui combustibili fossili. Questo, in particolare, è stato necessario per raggiungere un’unanimità e venire incontro a Paesi, come il Venezuela, che hanno evocato i “limiti alla sovranità”. Poi la vaghezza per gli impegni sulla deforestazione e la protezione degli oceani dall'overfishing, le risorse idriche e alimentari e, infine, la continua assenza nel documento di precise indicazioni su dove recuperare le risorse necessarie per il nuovo mercato verde (in particolare per i Paesi in via di sviluppo).

Ma se si parla di occasione persa, di ennesimo buco nell’acqua – sembra si sia passati in tre giorni al Futuro che volevamo – che ha portato alla richiesta di cancellare dal testo finale il consenso della società civile, ci sono caratteristiche di quest'evento su cui è interessante riflettere. 

Innanzitutto la promessa di finanziamenti, anche ingenti, da stanziare subito per la green economy. Ad esempio, Brasile e Cina - insieme all’Europa tra i protagonisti assoluti della Conferenza, il primo per aver pilotato in conclusione i negoziati, il secondo per essersi opposto costantemente all’idea di green economy occidentale - hanno infatti siglato un accordo da 30 miliardi di dollari per lo sviluppo sostenibile.
Analogamente ha fatto il governo italiano, dichiarando fondi per l’economia verde nel nostro Paese, accodandosi all’altra iniziativa cinese di stanziare 6 milioni di euro per incentivare progetti green in Paesi in via di sviluppo e iniziando dei negoziati proprio con il Brasile.

Al di là di facili promesse – che hanno trovato il prevedibile favore di Ban Ki Moon, il segretario di Stato Hillary Clinton e Corrado Clini - è chiaro che l’accensione della macchina verde è per il momento affidata all’iniziativa dei singoli Paesi e, di conseguenza, al sistema industriale e finanziario. Sembra quindi che ben poco può fare il documento uscito da Rio+20 come guida verso la svolta verde. Tuttavia, se Riocentro si è trasformata in una piazza per avviare trattative di mercato, più che negoziali, è importante ricordare che la green economy è diventata per la prima volta un soggetto reale e non solo una chimera da seguire nella giusta definizione burocratica e istituzionale - l'affanno che ha caratterizzato i mesi di discussione sulla bozza zero. Per quanto riguarda poi i principi e i riferimenti per lo sviluppo sostenibile, bisogna considerare che i temi affrontati, i problemi globali smascherati ufficialmente, gli attori coinvolti e le modalità di discussione (prima e dopo Rio+20), rappresentano anche in questo caso un’esperienza in gran parte inedita e innovativa. 

E in questo senso proprio la società civile, che mai prima d'ora aveva avuto una partecipazione di questa portata, potrebbe svolgere un ruolo decisivo per evitare che si sprechi la vera occasione. Che inizia oggi.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Di latticini, biotecnologie e latte sintetico

La produzione di formaggio è tradizionalmente legata all’allevamento bovino, ma l’uso di batteri geneticamente modificati per produrre caglio ha ridotto in modo significativo la necessità di sacrificare vitelli. Le mucche, però, devono comunque essere ingravidate per la produzione di latte, con conseguente nascita dei vitelli: come si può ovviare? Una risposta è il latte "sintetico" (non propriamente coltivato), che, al di là dei vantaggi etici, ha anche un minor costo ambientale.

Per fare il formaggio ci vuole il latte (e il caglio). Per fare sia il latte che il caglio servono le vacche (e i vitelli). Cioè ci vuole una vitella di razza lattifera, allevata fino a raggiungere l’età riproduttiva, inseminata artificialmente appena possibile con il seme di un toro selezionato e successivamente “forzata”, cioè con periodi brevissimi tra una gravidanza e la successiva e tra una lattazione e l’altra, in modo da produrre più latte possibile per il maggior tempo possibile nell’arco dell’anno.