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Da Bassano del Grappa alla Laguna di Venezia e all'Alto Adriatico

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Partiamo da Bassano del Grappa dopo le 9 e la calura estiva che ci accompagnerà per l'intero tragitto già si preannuncia ai primi colpi di pedale. In questa ultima tappa stacchiamo un po' la spina per quanto riguarda la ricerca ed il mantenimento della traccia del percorso. A guidarci per tutta la giornata ci saranno gli Amici della Bicicletta di Mestre, circolo locale della Federazione Italiana Amici della Bicicletta (FIAB), partner di Terramare.

L'uscita da Bassano è piuttosto difficoltosa, il traffico intenso, le piste ciclabili frammentate. Nei pressi di Castelfranco Veneto (che si annuncia da lontano con i “merli” sulle mura del castello e che, ahi noi, purtroppo non visitiamo) parte un bel percorso sterrato lungo il Muson dei Sassi. L'amico scrittore e viaggiatore Emilio Rigatti, con noi dall'inizio del viaggio e grande esperto di storia e geografia dell'Italia Orientale, ci dice che «il Musone, dal quale il Muson dei Sassi deriva, è un fiume storico che fu largamente incanalato fin dai tempi dei Romani all'epoca della “centuriazione” dei latifondi; questi canali, come lo stesso Muson, furono utilizzati, non solo per l'approvvigionamento idrico, ma anche per delimitare le proprietà agricole». E' questa l'unica nota umano-naturalistica raccolta nel percorso di oggi. La velocità media molto alta della carovana non ci permette soste per un tempo superiore a quello necessario a riempire le borracce.

Il percorso lungo il Muson però allontana dalle nostre ruote il fitto reticolo di strade e centri abitati che si ritrova tra le provincie di Vicenza e Treviso. A circa metà strada intercettiamo la pista ciclabile “Treviso-Ostiglia”, ricavata sul sedime di una ferrovia dismessa. Dopo una pausa pranzo in una osteria della provincia di Treviso ed un altro paio d'ore di pedalata a velocità sostenuta, le nostre guide ci portano, con un'ora di anticipo rispetto al previsto, a destinazione: Mestre, Osteria Palaplip. Si tiene qui, davanti ad un piccolo pubblico di curiosi, il primo reportage di Terramare, finito di montare un minuto prima di iniziare. L'evento termina con un buffet e poi di nuovo tutti a nanna. Domani andremo a Venezia con i mezzi pubblici. Le bici rimarranno al di qua della Laguna, perché non possono circolare tra calle e canali.

La mattina successiva incontriamo sul Canal Grande gli amici di un altro Cammino della Rete LTER, in questo caso a piedi, ovvero “Terramare: il racconto del viaggio del legno dalle foreste alla laguna”: partito dalle “foresta dei violini” di Paneveggio (TN) esso è contemporaneo alla spedizione che vi abbiamo raccontato fin qui. Insieme percorriamo il tragitto che ci porta all'Arsenale, dove ha sede l'Istituto di Scienze Marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-ISMAR), meta finale del nostro “pellegrinaggio” per le scienze ecologiche, dove personale del centro i ricerca e cittadini ci aspettano per un evento “porte aperte”. Prima di giungere all'Arsenale, però, vediamo un airone bianco “passeggiare” lungo un canale. Alfa e omega, così come a Bosco della Fontana alla partenza di Terramare, ritroviamo qui un esemplare di questo uccello, che nominiamo animale guida della nostra spedizione.

«E' l'Arsenale un luogo antico ed evocativo, testimone della potenza marittima della “Serenissima”», ci racconta Franco Costa, tecnico del CNR-ISMAR ora in pensione, in apertura della piccola conferenza di chiusura della nostra spedizione. Franco parla con assoluta cognizione di causa: è infatti autore di un libro proprio sul contributo dato dall'istituto dove ci troviamo ora alla rivitalizzazione dell'Arsenale. «Qui si costruivano ed armavano le navi in maniera rapida ed efficiente, utilizzando i metodi della moderna catena di montaggio: ad esempio, nel maggio del 1571, prima della Battaglia di Lepanto, decisiva per le sorti dell'Occidente Cristiano, si arrivò al primato di 25 navi varate ed armate in un solo mese. Inoltre, qui si conduceva una vera e propria sperimentazione marittima: per questo motivo i bacini d'acqua interni furono circondati da alte mura». Gli “arsenalotti” iscritti nel libro delle maestranze raggiungevano le 5000 unità e questa forza lavoro era impiegata tanto nel cantiere navale quanto nella fabbrica delle armi. E' questo l'unico esempio storico di produzione multipla, che era votata a sostenere la “macchina da guerra navale” adoperata dalla Serenissima nel Mediterraneo.

«L'Arsenale tuttora occupa il 15% della superficie della città. Esso ha mantenuto la sua funzione fino a otto secoli dopo la caduta della Repubblica Veneta: è stato chiuso solo nel Novecento. Nel 1980 è stato avviato il recupero di parti dell'Arsenale: nella parte meridionale c'è la biennale che occupa gli edifici delle ex corderie; noi siamo nella parte settentrionale, nelle “tese della novissima”, antichi “capannoni” coperti detti appunto “tese”, risalenti al 1500 e tutti uguali dimensionalmente. Colonne in pietra d'Istria originali dell'Ottocento sostengono la struttura, nella quale ha sede centrale ISMAR, che ha sezioni distaccate in tutta Italia. La direzione di ISMAR occupa quattro tese, all'interno delle quali l'architetto Alberto Cecchetto ha firmato ristrutturazione e composizione degli spazi che occupano uffici e laboratori. Il criterio usato è quello delle “scatole nella scatola”, ovvero l'antico (le mura delle tese) che riveste il moderno (spazi lavorativi in materiali attuali)», continua Franco.

Ma sapete perché l'Arsenale è posto proprio in questa zona della città? «Perché qui era situato il punto di accumulo del legname che dai monti bellunesi e trentini arrivava in laguna attraverso i fiumi», continua Franco. «Qui si trovava una piccola darsena che serviva a mantenere il legno vicino ai siti di costruzione». Il “viaggio del legno”, dunque, terminava qui. Come quello ripercorso dai nostri amici della spedizione gemella alla nostra. Franco infatti si avvicenda con Fabio Meloni dell'Università di Torino, leader della spedizione "Terramare: il racconto del viaggio del legno dalle foreste alla laguna". Racconti di viaggio, di eventi di comunicazione, di chiacchierate informali, magari con grappa annessa, con guardaparchi. Poi è la volta di Domenico, che mostra per immagini quanto vi abbiamo raccontato fino ad ora.

Dopo la conferenza, visitiamo l'androne di ISMAR, dove il personale del centro, capeggiato da Alessandra Pugnetti, ricercatrice qui a Venezia, esperta di plancton e tra gli ideatori della iniziativa Cammini, ha allestito una mostra di strumenti oceanografici, come “bottiglie” Niskin per il campionamento dell'acqua in profondità, sonde multiparametriche, ancora microscopi e campioni di organismi vivi provenienti dalla Laguna e dall'Alto Adriatico. Si parla anche di benthos, ovvero organismi che vivono sul fondo del mare, ma anche di pesca e delle reti “fantasma”, ovvero abbandonate dai pescatori ma ancora operanti nella loro funzione di intercettazione ed intrappolamento degli animali mobili.

L'esposizione curata dal personale di ISMAR ricostruisce la rete trofica (o alimentare) marina che si ritrova nella Laguna di Venezia e nell'Alto Adriatico. Quella planctonica è molto complessa, con produttori primari (le microalghe), “pascolatori” che sono tanto unicellulari e multicellulari (come, nell'ordine, protozoi e crostacei, ad esempio) e predatori rappresentati non soltanto da larve di pesci o macrocrostacei ma anche da zooplancton. Per approfondimenti, si veda il recente articolo di D'Alelio et alii e riguardante il Golfo di Napoli e la stazione di ricerca LTER MareChiara.

«Qui in ISMAR, in ambito LTER, si studiano diversi ambienti, tanto di transizione, come la Laguna di Venezia, quanto di mare aperto», ci dice Alessandra Pugnetti. «In Laguna, sotto la guida di Davide Tagliapietra di ISMAR, si rilevano periodicamente variabili ambientali di tipo fisico e chimico ed idrologiche. Inoltre, si studia la contaminazione di acque e sedimenti da parte, ad esempio, di metalli pesanti, e si studia l'ecologia e la distribuzione di fitoplancton, fito- e zoo- benthos, ittiofauna ed avifauna. Infine, nello studio della biodiversità si tengono d'occhio anche le specie aliene, ovvero quelle provenienti da altri ambienti, seppure affini, e si monitora il pescato».

 «L’Alto Adriatico», continua Alessandra, «è invece costituito da 4 siti di ricerca gestiti da CNR ISMAR (sedi di Trieste, Venezia, Bologna e Ancona) e dall'Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale (OGS) di Trieste, in collaborazione con il Consorzio Proambiente e l’Università di Ancona. Qui vengono svolte attività riguardanti principalmente la variabilità meteo-oceanografica, l’ecologia delle comunità planctoniche, i cicli biogeochimici, l’innovazione tecnologica e l’interoperabilità dei dati. Le tematiche sperimentali vengono affrontate attraverso campionamenti con navi oceanografiche e con una rete di sistemi osservativi fissi, come boe meteo-oceanografiche e la piattaforma oceanografica Acqua Alta».

«Il sito LTER Alto Adriatico è stato recentemente scelto dal Progetto Bandiera Ritmare (finanziato dal MIUR) come caso di studio per la realizzazione di un “Osservatorio Ecologico” marino poiché ideale in tal senso, sia per la presenza contestuale di rilievi in continuo e di analisi specifiche, soprattutto biologiche, sia per la sua posizione in un’area transfrontaliera, altamente antropizzata, al centro di molteplici attività economiche. In questo contesto il sito avrà ulteriori sviluppi, poiché le diverse componenti del sistema socio-ecologico e dell’infrastruttura esistente, incluso le serie LTER di dati disponibili, saranno oggetto di approfondite analisi, che permetteranno di individuare azioni migliorative, punti di forza e opportunità, ma anche lacune e difficoltà che necessitano di azioni specifiche», conclude Alessandra.

Incontriamo anche Vanessa Moschino, anche lei ricercatrice di ISMAR, ecotossicologa di formazione e che ha lavorato nel corso degli ultimi anni nel progetto Life Ghost sulle reti fantasma, coordinato da ISMAR. Vanessa ci parla delle microplastiche disperse nel mare e prodotte dalla frammentazione progressiva della plastica relitta. Un tempo si pensava che la sola plastica “macroscopica” rappresentasse un problema per la vita marina – ad esempio, soffocando mammiferi e rettili marini. Oggi invece sappiamo che i pezzi di plastica delle dimensioni di poche centinaia di millesimo di millimetro si “sostituiscono” al cibo solito dei piccoli pesci pelagici (come le acciughe) ed entrano nella “rete alimentare” marina, arrivando sino a noi. La problematica relativa alle microplastiche rappresenta uno degli “hot topic” delle scienze del mare degli ultimi anni ed è oggetto di studio di numerose iniziative di ricerca, come quelle condotte di recente dalla Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli e in generale nell'ambito del Progetto Ritmare, che è anche tra gli sponsor principali di Terramare. 

Prendiamo congedo, non senza aver approfittato di un delizioso buffet, dal personale di ISMAR e dall'Arsenale. Usciamo dalle mura di questa meraviglia di luogo, che trasuda storia e innovazione scientifica allo stesso tempo. Concludiamo così il racconto dell'ultima tappa di Terramare. Ci aspettano alcuni giorni di riflessione dove speriamo di metabolizzare quanto visto, sentito ed “assorbito” in questo Cammino attraverso il nord est d'Italia e accompagnati dalla Ecologia, una scienza nobile che quest'anno compie 150 anni. Gli eredi di Ernst Haeckel sono tanti, nel nostro Belpaese, e fanno un lavoro troppo importante, per tutti noi, per essere ignorato.

A prestissimo, cari amici. Grazie per averci seguito fin qui. A breve tireremo le somme di Terramare e non mancheremo di condividerle con voi. Ciao!

Foto di Antonio Bergamino

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