Stephen Hawking e il bosone di Higgs: due veri e propri
“blockbuster” della fisica contemporanea. Tuttavia, il loro rapporto (o meglio,
quello dello scienziato britannico con il celebre bosone) sembra piuttosto tormentato.
Nel 1964, non appena venne predetta l’esistenza del bosone di Higgs, Hawking
scommise con Gordon Kane, fisico
teorico dell’Università del Mitchigan, che la fantomatica particella non
sarebbe mai stata scoperta. “Sembra proprio che io abbia perso 100 dollari”,
ammise lo stesso Hawking nel luglio del 2012, quando il CERN di Ginevra
annunciò trionfalmente che il bosone di Higgs esiste davvero.
In
seguito, l’eminente fisico inglese dichiarò che con la scoperta della
particella di Higgs la fisica fosse diventata “meno interessante”.
Ora,
nella prefazione del libro Starmus. 50 years of man in space, dedicato al primo Starmus
Festival,
il fisico inglese torna a parlare non proprio gentilmente del bosone di Higgs.
Scrive Hawking: “Il potenziale di Higgs ha la preoccupante proprietà di poter
diventare metastabile a energie sopra i 100 gigaelettronvolt (GeV). Questo
significa che l’universo potrebbe subire un catastrofico decadimento, in cui
una bolla di vero vuoto si espanderebbe alla velocità della luce. Questo
potrebbe accadere in qualunque momento senza alcun preavviso”.
A
prima vista può sembrare un annuncio allarmistico, e immancabilmente testate di
mezzo mondo l’hanno trattato come tale: ma che cosa significa esattamente la
frase di Hawking? E c’è davvero da preoccuparsi?
Facciamo
un esempio. Sul pendio di una montagna c’è un masso, fermo, in equilibrio. Se
diamo un po’ di energia al masso, per esempio spingendolo, è chiaro che cosa
farà: cadrà verso valle. Per dirla in termini più rigorosi, tenderà a uno stato
in cui il suo potenziale gravitazionale (che dipende dalla quota) è minore.
Questo accade perché il masso è immerso nel campo gravitazionale della Terra,
che genera il potenziale.
Quando
Hawking parla di “potenziale di Higgs” intende qualcosa di simile. Come il
campo gravitazionale terrestre “guida” i massi dall’alto verso il basso, così
in natura esistono campi associati alle varie particelle elementari. Anzi,
secondo la teoria quantistica dei campi, quelle che chiamiamo particelle non
sono altro che fluttuazioni dei campi fondamentali, “compattate” in una regione
di spazio sufficientemente piccola per poter essere osservate.
Per trovare il
bosone di Higgs, l’acceleratore di particelle LHC del CERN ha fornito energia
al campo di Higgs (che permea tutto lo spazio) fino a farlo fluttuare
abbastanza da poterlo osservare come particella. Trovato il bosone, trovato il
campo.
Ma
tutto questo cosa c’entra con la frase di Hawking? C’entra, se consideriamo
l’universo un po’ come il masso di cui sopra: tenderà sempre ad assestarsi
nella situazione con potenziale più basso. Il potenziale, in questo caso, è
dato dai campi associati alla materia contenuta nell’universo. La domanda è:
l’universo si trova nel punto di potenziale più basso o è in equilibrio
instabile a un certo potenziale? In questo ha un ruolo centrale la “forma” del
potenziale associato al campo di Higgs, che a sua volta dipende dalla massa del
famoso bosone.
Al CERN l’hanno misurata, trovando un valore di circa 125
gigaelettronvolt (1 gigaelettronvolt corrisponde più o meno alla massa di un
protone). In base alla fisica nota, e a patto che i calcoli siano corretti,
questo significa che l’universo si trova in un minimo locale di
potenziale (una valle a una certa quota), che però non è un minimo assoluto (una
valle a una quota più bassa). In gergo tecnico questo si chiama “stato
metastabile”.
“Siamo
come sull’orlo di un burrone”, spiega Joseph Likken, fisico teorico del
Fermilab. “L’universo può rimanere così per lungo tempo, ma nessuno vieta che
prima o poi faccia ‘boom’. A quel punto, nessun principio fisico conosciuto
potrebbe farci tornare sull’orlo.” Poco
rassicurante, senza dubbio. Ma che cosa intende Likken quando dice “boom”?
Secondo
la fisica che conosciamo, se l’universo acquistasse abbastanza energia per
“scavalcare” la montagna che lo separa dal minimo assoluto accadrebbe quello
che ha descritto Hawking: una bolla di vuoto si espanderebbe alla velocità
della luce e inghiottirebbe tutto quello che incontrerebbe nel suo cammino,
fino ad annientare (letteralmente!) l’intero universo. Questa idea non è del
solo Hawking, ma è largamente condivisa tra i fisici teorici.
L’allarmismo
è quindi giustificato? Non proprio. La probabilità che quello che tutto questo
accada è incredibilmente bassa. Come detto sopra, per far avvenire il
decadimento occorre fornire energia all’universo: cosa assolutamente
impossibile, visto che non c’è niente di esterno all’universo! Ma c’è un ma.
Per effetto dell’indeterminazione quantistica, l’universo può in linea di
principio “prendere in prestito” dal vuoto, per un periodo di tempo molto
breve, abbastanza energia per superare spontaneamente la barriera di
potenziale. È quello che i fisici chiamano “effetto tunnel”.
La
probabilità che avvenga il “prestito” di una tale quantità di energia è così
bassa, però, che sarebbero necessari circa 10100 anni perché accada;
oppure sarebbe dovuto già succedere nei primi istanti di vita del cosmo, per
esempio durante l’inflazione, quando le energie in gioco erano molto più alte
rispetto a ora.
Se fosse accaduto, chiaramente, ora non potremmo essere qui a
parlarne. “Prendo
le difese del povero bosone di Higgs: non ci farà alcun male”, conclude Katie
Mack, astrofisica teorica all’Università di Melbourne. “Quello che dice
Hawking è tecnicamente vero: il potenziale di Higgs è ciò che governa lo stato
in cui ci troviamo, ed è vero che può avvenire una transizione, ma è davvero
improbabile che possa accadere.”
Insomma,
a dispetto di alcuni titoli quantomeno sensazionalistici, sembra che – almeno per quanto riguarda
un’imminente cataclisma cosmico – possiamo dormire sonni tranquilli. E chissà, magari Hawking potrebbe fare pace con il bosone di Higgs...