fbpx Il bosone di Higgs distruggerà l’universo? | Scienza in rete

Il bosone di Higgs distruggerà l’universo?

Primary tabs

Read time: 5 mins

Stephen Hawking e il bosone di Higgs: due veri e propri “blockbuster” della fisica contemporanea. Tuttavia, il loro rapporto (o meglio, quello dello scienziato britannico con il celebre bosone) sembra piuttosto tormentato.
Nel 1964, non appena venne predetta l’esistenza del bosone di Higgs, Hawking scommise con Gordon Kane, fisico teorico dell’Università del Mitchigan, che la fantomatica particella non sarebbe mai stata scoperta. “Sembra proprio che io abbia perso 100 dollari”, ammise lo stesso Hawking nel luglio del 2012, quando il CERN di Ginevra annunciò trionfalmente che il bosone di Higgs esiste davvero.
In seguito, l’eminente fisico inglese dichiarò che con la scoperta della particella di Higgs la fisica fosse diventata “meno interessante”.

Ora, nella prefazione del libro Starmus. 50 years of man in space, dedicato al primo Starmus Festival, il fisico inglese torna a parlare non proprio gentilmente del bosone di Higgs.
Scrive Hawking: “Il potenziale di Higgs ha la preoccupante proprietà di poter diventare metastabile a energie sopra i 100 gigaelettronvolt (GeV). Questo significa che l’universo potrebbe subire un catastrofico decadimento, in cui una bolla di vero vuoto si espanderebbe alla velocità della luce. Questo potrebbe accadere in qualunque momento senza alcun preavviso”.
A prima vista può sembrare un annuncio allarmistico, e immancabilmente testate di mezzo mondo l’hanno trattato come tale: ma che cosa significa esattamente la frase di Hawking? E c’è davvero da preoccuparsi?

Facciamo un esempio. Sul pendio di una montagna c’è un masso, fermo, in equilibrio. Se diamo un po’ di energia al masso, per esempio spingendolo, è chiaro che cosa farà: cadrà verso valle. Per dirla in termini più rigorosi, tenderà a uno stato in cui il suo potenziale gravitazionale (che dipende dalla quota) è minore. Questo accade perché il masso è immerso nel campo gravitazionale della Terra, che genera il potenziale.
Quando Hawking parla di “potenziale di Higgs” intende qualcosa di simile. Come il campo gravitazionale terrestre “guida” i massi dall’alto verso il basso, così in natura esistono campi associati alle varie particelle elementari. Anzi, secondo la teoria quantistica dei campi, quelle che chiamiamo particelle non sono altro che fluttuazioni dei campi fondamentali, “compattate” in una regione di spazio sufficientemente piccola per poter essere osservate.
Per trovare il bosone di Higgs, l’acceleratore di particelle LHC del CERN ha fornito energia al campo di Higgs (che permea tutto lo spazio) fino a farlo fluttuare abbastanza da poterlo osservare come particella. Trovato il bosone, trovato il campo.

Ma tutto questo cosa c’entra con la frase di Hawking? C’entra, se consideriamo l’universo un po’ come il masso di cui sopra: tenderà sempre ad assestarsi nella situazione con potenziale più basso. Il potenziale, in questo caso, è dato dai campi associati alla materia contenuta nell’universo. La domanda è: l’universo si trova nel punto di potenziale più basso o è in equilibrio instabile a un certo potenziale? In questo ha un ruolo centrale la “forma” del potenziale associato al campo di Higgs, che a sua volta dipende dalla massa del famoso bosone.
Al CERN l’hanno misurata, trovando un valore di circa 125 gigaelettronvolt (1 gigaelettronvolt corrisponde più o meno alla massa di un protone). In base alla fisica nota, e a patto che i calcoli siano corretti, questo significa che l’universo si trova in un minimo locale di potenziale (una valle a una certa quota), che però non è un minimo assoluto (una valle a una quota più bassa). In gergo tecnico questo si chiama “stato metastabile”.
“Siamo come sull’orlo di un burrone”, spiega Joseph Likken, fisico teorico del Fermilab. “L’universo può rimanere così per lungo tempo, ma nessuno vieta che prima o poi faccia ‘boom’. A quel punto, nessun principio fisico conosciuto potrebbe farci tornare sull’orlo.” Poco rassicurante, senza dubbio. Ma che cosa intende Likken quando dice “boom”?

Secondo la fisica che conosciamo, se l’universo acquistasse abbastanza energia per “scavalcare” la montagna che lo separa dal minimo assoluto accadrebbe quello che ha descritto Hawking: una bolla di vuoto si espanderebbe alla velocità della luce e inghiottirebbe tutto quello che incontrerebbe nel suo cammino, fino ad annientare (letteralmente!) l’intero universo. Questa idea non è del solo Hawking, ma è largamente condivisa tra i fisici teorici.
L’allarmismo è quindi giustificato? Non proprio. La probabilità che quello che tutto questo accada è incredibilmente bassa. Come detto sopra, per far avvenire il decadimento occorre fornire energia all’universo: cosa assolutamente impossibile, visto che non c’è niente di esterno all’universo! Ma c’è un ma. Per effetto dell’indeterminazione quantistica, l’universo può in linea di principio “prendere in prestito” dal vuoto, per un periodo di tempo molto breve, abbastanza energia per superare spontaneamente la barriera di potenziale. È quello che i fisici chiamano “effetto tunnel”.

La probabilità che avvenga il “prestito” di una tale quantità di energia è così bassa, però, che sarebbero necessari circa 10100 anni perché accada; oppure sarebbe dovuto già succedere nei primi istanti di vita del cosmo, per esempio durante l’inflazione, quando le energie in gioco erano molto più alte rispetto a ora.
Se fosse accaduto, chiaramente, ora non potremmo essere qui a parlarne. “Prendo le difese del povero bosone di Higgs: non ci farà alcun male”, conclude Katie Mack, astrofisica teorica all’Università di Melbourne. “Quello che dice Hawking è tecnicamente vero: il potenziale di Higgs è ciò che governa lo stato in cui ci troviamo, ed è vero che può avvenire una transizione, ma è davvero improbabile che possa accadere.”
Insomma, a dispetto di alcuni titoli quantomeno sensazionalistici, sembra che – almeno per quanto riguarda un’imminente cataclisma cosmico – possiamo dormire sonni tranquilli. E chissà, magari Hawking potrebbe fare pace con il bosone di Higgs...


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Gli sprechi nel Servizio Sanitario Nazionale: è possibile fornire raccomandazioni per combatterli?

medico con stetoscopio

La crisi del SSN italiano è aggravata non solo dal sottofinanziamento, ma anche da sprechi strutturali. Tra le principali cause vi sono inefficienze gestionali, acquisti non ottimizzati e inappropriatezza nell'erogazione di servizi sanitari. Per affrontare il problema, è necessario un approccio scientificamente fondato che includa raccomandazioni su politiche sanitarie più mirate, come la razionalizzazione della rete ospedaliera e l'adozione di modelli assistenziali innovativi.

Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) italiano è in crisi e la salute è diventato uno dei problema che preoccupa di più gli italiani. La crisi della sanità pubblica ha portato questi giorni a uno sciopero di 24 ore del personale della sanità, promosso da alcune sigle sindacali e che si potrebbe definire “da esaperazione”. Un'esasperazione ampiamente giustificata. Nel quotidiano dibattito politico, tecnico e mediatico sulla crisi del SSN trova giustificatamente un grande spazio il tema del sottofinanziamento, mentre una scarsa attenzione viene riservata alla lotta agli sprechi.