E = mc2. Alzi la mano chi non ha
visto questa formula almeno una volta nella vita. Questa apparentemente innocua
equazione dice, in poche parole, che massa ed energia sono interscambiabili e
si possono convertire l’una nell’altra. Sappiamo che in molte situazioni accade
la conversione di materia in energia: per esempio nelle reazioni nucleari.
Ma
la conversione di pura energia in materia, finora, non è mai stata osservata.
Il motivo è che il termine c2 (il quadrato della velocità
della luce nel vuoto) è un numero davvero grande, per cui è richiesto un enorme
ammontare di energia per produrre anche solo piccolissime quantità di materia.
Forse, però, non manca molto per osservare la conversione di
energia in massa. Quattro fisici inglesi, in un preprint
pubblicato su Nature Photonics, hanno proposto un modo per creare
particelle usando come uno “ingrediente di partenza” la luce. Per essere più
precisi: secondo Oliver Pike, Felix Mackenroth, Edward Hill
e Steven Rose, fisici dell’Imperial College di Londra, oggi disponiamo
della tecnologia necessaria per produrre elettroni e positroni (le
antiparticelle dell’elettrone) facendo collidere raggi gamma.
L’idea teorica non è del quartetto britannico. Era il 1934
quando Gregory Breit e John Wheeler descrissero per la prima
volta questa reazione. I due fisici, però, erano scettici sulla possibilità
concreta di osservare un tale processo: “Quando Breit e Wheeler idearono questa
interazione – racconta Rose – non si sarebbero mai aspettati che un giorno
sarebbe avvenuta in un laboratorio. Oggi, quasi 80 anni dopo, abbiamo
dimostrato che si sbagliavano”.
La teoria dell’elettrodinamica
quantistica descrive in maniera completa le possibili interazioni tra luce
e cariche elettriche (tra cui elettrone e positrone). Tutti gli schemi di
interazione – tra cui l’effetto fotoelettrico,
lo scattering Compton
e il Bremsstrahlung
– sono stati osservati in natura o
riprodotti artificialmente, tranne quello di Breit e Wheeler. Pike e colleghi,
però, hanno ideato un metodo sperimentale per osservare la produzione di coppie
elettrone-positrone a partire da fotoni gamma.
In che cosa consiste questo metodo? Per prima cosa si prende un laser molto potente, e con questo si accelerano degli elettroni fino a far loro raggiungere velocità molto prossime a quella della luce. Si fanno poi collidere questi elettroni super-veloci con una lamina d’oro: la loro brusca “frenata” genererà un fascio di raggi gamma altamente energetici. Mentre accade tutto questo, con un altro laser si scalda una sorta di “barattolo” d’oro (che i fisici chiamano “holraum”, dal tedesco “cavità”) fino a fargli produrre una radiazione termica. Anch’essa sarà fatta di fotoni, ma molto meno energetici rispetto ai precedenti. Ora non rimane che indirizzare i primi fotoni (quelli gamma) nella holraum, lasciare che si scontrino con i fotoni termici e... osservare le coppie elettrone-positrone prodotte dagli scontri. Secondo i calcoli del gruppo inglese, basati su simulazioni, il numero di coppie con questo metodo dovrebbe aggirarsi attorno alle 100.000.
L’esperimento proposto da Pike e colleghi è del tutto
inedito nel campo della fisica delle alte energie, ed è davvero ingegnoso. Ma
la cosa più bella è che si può fare: “La progettazione dell’esperimento
che abbiamo proposto – annuncia Pike – può essere svolta con relativa facilità
e con tecnologia già esistente”.
Secondo gli scienziati inglesi, il progetto dovrebbe vedere
la luce entro i prossimi 12 mesi. Spiega Rose: “Essendo noi teorici, ci stiamo
mettendo in contatto con chi può usare le nostre idee per intraprendere questo
storico esperimento”. A oggi si parla di due possibili laboratori: l’Omega Laser a Rochester (USA), e l’Orion Laser ad Aldermaston (UK).
Ma, a parte dare un’elegantissima dimostrazione di E
= mc2 e realizzare sperimentalmente il processo di
Breit-Wheeler, perché è importante compiere questo esperimento? Perché il
processo di produzione di materia a partire dalla luce richiede energie così
elevate da essere state disponibili soltanto in due occasioni: nei primi 100
secondi di vita dell’universo, e all’epoca dei gamma-ray bursts,
intensissime esplosioni che avvenivano nelle galassie in formazione. Lo studio
in laboratorio del processo di Breit-Wheeler può quindi dare contributi nello
studio dell’universo primordiale e nel complesso campo della formazione
galattica.
E c’è anche chi guarda oltre. Andrei Seryi, direttore
del John Adams Institute all’Università di Oxford, si domanda: “Saremo in grado
in futuro di convertire l’energia in tempo e viceversa?”. Una sfida che
potranno raccogliere le prossime generazioni di fisici.