fbpx Scoperti fermioni di Majorana, previsti quasi 80 anni fa | Scienza in rete

Scoperti fermioni di Majorana, previsti quasi 80 anni fa

Primary tabs

Read time: 5 mins

Ogni volta che in fisica viene scoperta una nuova particella è una buona notizia: se questa particella disturba le teorie fisiche in vigore, dà l’opportunità di migliorarle; se le conferma, ne mostra la validità.
Ricade in quest’ultimo caso la scoperta del bosone di Higgs nel 2012. Il campo di Higgs interagisce con le particelle elementari che costituiscono la materia (quark e leptoni) dando loro massa, secondo un meccanismo ideato nel 1964 da Peter Higgs e altri: trovare il bosone di Higgs significa confermare che il meccanismo di Higgs avviene davvero in natura ed è responsabile della massa delle particelle elementari.
Tutto procede tranquillamente fino a qualche giorno fa, quando un gruppo di ricercatori della Princeton University, negli USA, pubblica sulla rivista Science la scoperta di qualcosa di totalmente esotico, che non segue il meccanismo di Higgs per acquisire massa. Qualcosa con proprietà anomale e molto elusivo chiamato “fermione di Majorana”, previsto dall’altrettanto elusivo fisico italiano Ettore Majorana nel lontano 1937, poco prima che scomparisse misteriosamente.

che cos’è un fermione di Majorana?

Le particelle elementari che costituiscono la materia (i fisici le chiamano “fermioni”) sono descritte da un’elegantissima equazione formulata nel 1928 da Paul Dirac, che si chiama appunto equazione di Dirac.
Essa prevede che a ogni particella sia associata una relativa antiparticella. Un’antiparticella ha le stesse caratteristiche della particella associata tranne la carica, che è opposta; inoltre, se una particella e una relativa antiparticella entrano in contatto, si disintegrano a vicenda liberando energia.
Qualche anno dopo, nel 1932, fu scoperta la prima antiparticella: il positrone, associato all’elettrone.
L’elettrone e le altre particelle di materia hanno antiparticelle distinte e acquisiscono massa tramite il meccanismo di Higgs: in gergo si parla di “fermioni di Dirac”.

Qui entra in gioco Majorana. Lavorando duramente, il geniale scienziato catanese produsse nel 1937 un’equazione simile a quella di Dirac ma più generale (l’equazione di Majorana), che prevede l’esistenza di fermioni neutri (cioè senza carica elettrica) che coincidono con la propria antiparticella. I “fermioni di Majorana” – così sono stati ribattezzati – sono particelle esotiche perché acquisiscono la loro massa interagendo non con il campo di Higgs ma con se stessi, in quanto sono le loro stesse antiparticelle. Questa interazione può avvenire senza alcuna annichilazione: anzi, i fermioni di Majorana sono molto stabili e interagiscono molto poco con la materia “ordinaria”.

Se questi strani oggetti esistono, come possiamo trovarli? L’idea venne nel 2001 al fisico teorico russo Alexei Kitaev: i fermioni di Majorana potrebbero essere rintracciati alle estremità di un filo superconduttore (cioè che trasporta elettricità senza porre resistenza elettrica). Per farlo i ricercatori di Princeton hanno preparato un cristallo di piombo purissimo su cui hanno opportunamente disposto delle “file” di singoli atomi di ferro; hanno portato tutto vicino allo zero assoluto (un grado sopra, per la precisione) in modo che le molecole non si agitassero troppo, e poi hanno osservato il tutto con un sofisticato microscopio a effetto tunnel.
Il risultato è indiscutibile: le “file” di atomi di ferro si comportano come un fermione di Majorana. La prova è inequivocabile perché, oltre ad aver visto il segnale caratteristico del fermione di Majorana alle estremità delle file, l’esperimento ha evidenziato anche che in ogni altro punto il segnale è assente o quasi. Se così non fosse, si potrebbe imputare il segnale alle estremità a qualche altra causa.

«Questo è il modo più diretto per osservare il fermione di Majorana per come ci si aspetta che emerga all’estremità di certi materiali», spiega Ali Yazdani, lo scienziato a capo dell’esperimento. Il fisico di Princeton ha sottolineato più volte in conferenza stampa il fatto che il fermione di Majorana non è stato scoperto in un acceleratore di particelle, come è avvenuto per esempio con il bosone di Higgs, ma osservando direttamente particolari materiali.
La differenza è importante perché in un acceleratore di particelle è l’energia immessa a creare le particelle, mentre nel sistema realizzato da Yazdani e colleghi la nuova particella “spunta” dal modo in cui il materiale è organizzato.

Il fermione di Majorana, per come lo hanno osservato i ricercatori americani, non è insomma una vera e propria particella da aggiungere a quelle che già conosciamo, ma più propriamente uno “stato quantistico composito” che sorge dall’interazione tra fermioni di Dirac ed emerge – questo il verbo usato da Yazdani – come comportamento globale del sistema.
Quali sono i vantaggi di una situazione di questo tipo? Ce lo spiega lo stesso Yazdani: «L’aspetto più eccitante è che è tutto molto semplice: non si tratta d’altro che di piombo e di ferro. [...] Questo può essere vantaggioso perché consente agli scienziati di manipolare particelle esotiche per applicazioni pratiche». Un esempio? La computazione quantistica. L’idea che i fermioni di Majorana potessero essere usati per realizzare computer quantistici venne già a Kitaev nel 2001.

In un computer tradizionale i dati vengono elaborati sotto forma di bit, che possono assumere i valori di 0 oppure 1; in un computer quantistico i bit sono costituiti da sistemi quantistici che, in virtù del principio di sovrapposizione, permette ai “qubit” – questo il nome dei “bit quantistici” – di avere entrambi i valori allo stesso tempo. Questa differenza, piccola ma sostanziale, rende i computer quantistici il vero e proprio “Sacro Graal” dell’informatica.
I fermioni di Majorana si prestano perfettamente al compito di qubit proprio perché interagiscono pochissimo con la materia “ordinaria”: in questo modo possono rimanere stabili per lungo tempo senza alterare il loro stato quantistico.
Oltre a questa importante applicazione pratica, i fermioni di Majorana possono giocare un ruolo importante in altri aspetti della fisica. Innanzitutto, ci sono dei motivi per pensare che i neutrini “tradizionali” possano essere in effetti fermioni di Majorana, proprio per la loro scarsissima propensione a interagire con le altre particelle. Ora che sappiamo “evidenziare” i fermioni di Majorana è possibile trovare dei metodi per fare luce su questa ipotesi.

Infine, il carattere così “elusivo” dei fermioni di Majorana li rende dei possibili candidati per la materia oscura, quel misterioso “serbatoio cosmico di massa esotica” che rappresenta circa il 90% della materia contenuta nel nostro universo, privo o quasi di interazioni dirette con la materia ordinaria.
Anche se Majorana non fosse scomparso in circostanze misteriose, oggi probabilmente non sarebbe vivo per vedere confermata in maniera così brillante la previsione teorica che realizzò – con solo carta e penna – ben 77 anni fa.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Siamo troppi o troppo pochi? Dalla sovrappopolazione all'Age of Depopulation

persone che attraversano la strada

Rivoluzione verde e miglioramenti nella gestione delle risorse hanno indebolito i timori legati alla sovrappopolazione che si erano diffusi a partire dagli anni '60. Oggi, il problema è opposto e siamo forse entrati nell’“Age of Depopulation,” un nuovo contesto solleva domande sull’impatto ambientale: un numero minore di persone potrebbe ridurre le risorse disponibili per la conservazione della natura e la gestione degli ecosistemi.

Nel 1962, John Calhoun, un giovane biologo statunitense, pubblicò su Scientific American un articolo concernente un suo esperimento. Calhoun aveva constatato che i topi immessi all’interno di un ampio granaio si riproducevano rapidamente ma, giunti a un certo punto, la popolazione si stabilizzava: i topi più anziani morivano perché era loro precluso dai più giovani l’accesso al cibo, mentre la maggior parte dei nuovi nati erano eliminati.