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I ricercatori, i “nuovi nemici” degli animalisti più estremi

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Il 15 marzo in occasione della partita di volley tra la Yamamay Busto Arsizio e la Ronbur Tiboni di Urbino era in programma a Busto Arsizio una raccolta fondi a favore della Pro Rett Onlus, associazione fondata nel 2004 per sostenere la ricerca scientifica sull’omonima sindrome.
Il ricavato doveva essere devoluto al laboratorio di Epigenetica diretto da Nicoletta Landsberger dell’Università dell’Insubria. In sé la notizia non ha alcuna novità, è ormai abitudine in occasione di eventi mondani o manifestazioni sportive cercare di coinvolgere il pubblico con iniziative benefiche. Però questa è una storia diversa: appena annunciata l’iniziativa le due società sportive e i principali sponsor sono stati oggetto di aspre contestazioni sui social network da persone che si dichiarano contrari alla vivisezione animale.
Nelle ultime ore queste proteste hanno assunto contorni preoccupanti che hanno costretto gli organizzatori a sospendere la raccolta. “Lottiamo ogni giorno per il nostro lavoro e vorremmo che la società civile fosse al nostro fianco, e non contro di noi- ha spiegato Nicoletta Landsberger - quanto è accaduto ci ferisce come ricercatori e come esseri umani, perché famiglie già provate e sofferenti in questa occasione si sentono ancora più sole. Non si può privare queste persone della speranza: abbiamo bisogno di far comprendere l'importanza della ricerca per il benessere dell'umanità”.
L'uso di modelli animali nella ricerca biomedica è ancora essenziale per poter sviluppare trattamenti e curare le malattie. Innovazioni per il diabete, cancro, HIV, non sarebbero stati possibili senza la sperimentazione animale. Tuttavia, l'uso degli animali nella ricerca è una questione che divide in molti contesti pubblici.
La maggior parte di coloro che si oppongono a questo tipo di ricerca lo fa attraverso un tipo di comunicazione legale e civile.
Ci sono però delle piccole minoranze che vanno ben oltre. Negli ultimi mesi, anche nel nostro Paese, abbiamo assistito a episodio caratterizzati da toni pieni di livore e ad azioni che molto spesso hanno superato il limite della legalità.
Ultimamente le tattiche estremiste includono l'invio di email o telefonate minacciose, pubblicazione di informazioni personali, e intimidazioni a familiari e vicini di casa. Come è accaduto qualche settimana fa a Milano, quando i muri di Città Studi sono stati riempiti da nomi, cognomi e numeri di telefono e indirizzi delle abitazioni private di quattro professori universitari accusati di essere “assassini” e “vivisettori”.
Al centro di minacce ci sono sempre più, quindi, i ricercatori. Gli estremisti, negli ultimi dieci anni, hanno cambiato drasticamente la loro azione. Gli obiettvi dei sabotaggi non sono più gli stabulari universitari ma bensì le macchine degli scienziati che lavorano con ratti o scimmie. A rivelare questo cambio di rotta è un rapporto appena pubblicato dalla Federation of American Societies for Experimental Biology (FASEB), la più grande coalizione di associazioni di ricerca biomedica negli Stati Uniti.
Lo scopo della relazione: “The Threat of Extremism to Medical Research: Best Practices to Mitigate Risk through Preparation and Communication è quello di fornire una guida per gli scienziati e istituzioni di tutto il mondo nel trattare con gli animalisti più estremi.
Negli anni novanta, gli estremisti tendevano a concentrarsi sulle organizzazioni di ricerca accademica.
Nella maggior parte dei casi, strutture universitarie erano gli obiettivi di incidenti, come effrazioni e furti di animali. Secondo il rapporto dal 1990 al 1999 negli Stati Uniti, il 61% degli incidenti ha coinvolto le università e solo il 9% delle persone. Dal 2000 al 2012 invece, si è passati al solo 13% di incidenti a carico delle università  mentre la percentuale che ha visto coinvolti ricercatori e tecnici è cresciuta al 46%.
Questi dati sono accompagnati da altri che testimoniano un’altra tendenza che sta nel sabotare tutti quei servizi che fanno da supporto alla vera ricerca come il trasporto degli animali o le aziende che producono materiale da laboratorio.
L'obiettivo dei “nuovi estremisti” è quello di indebolire l’intera macchina della ricerca.
A partire dal 2000 sono in aumento gli incidenti che coinvolgono investitori e partner commerciali.

 Figura 1: Target delle azioni da parte degli animalisti negli U.S.A

“Se le aziende e i nostri partner commerciali ci abbandonano a causa di queste azioni di sabotaggio come riusciremo a fare ricerca?” si domanda Michael Conn, vice presidente per la ricerca presso la Texas Tech University.

Nella seconda parte del rapporto vengono date delle raccomandazioni per cercare di limitare queste azioni. Innanzitutto ogni istituto di ricerca deve avere una programma sperimentali sugli animali chiaro e che rispetti in modo rigoroso tutte le leggi.  Seguire i protocolli internazionali non eviterà l’azione da parte degli animalisti più estremi ma ridurrà la possibilità di essere presi di mira. In caso di incidenti durante la sperimentazione, le università dovrebbero avere una task force per la gestione della crisi formata da scienziati, addetti stampa e consulenti legali in modo da poter rispondere subito ai media e non alimentare facili speculazioni e la diffusione di notizie false.
Gli scienziati non devono rimanere chiusi nella loro “torre d’avorio” ma bensì spiegare al pubblico perché è necessaria la sperimentazione animale e i protocolli che vengono adottati. Si potrebbero predisporre dei veri e propri tour dei laboratori così da bloccare la propaganda sui diritti degli animali.
In Francia per esempio, nel 2009 è stato trasmesso in televisione uno spot “La storia di Jen” realizzato dalla Fondazione per la Ricerca Biomedica (FBR) che raccontava la vita di Jen, oncologa e sopravvissuta al cancro che svolgeva la propria attività di ricerca con animali. Così come nel 2006, la campagna inglese “Pro-Test, Standing Up for Science", che spiegava la ricerca sugli animali, ha contribuito a creare un'ondata di supporto per la ricerca scientifica. Una corretta informazione potrebbe avvicinare le parti, il grado di veridicità di un messaggio è strettamente legato alla fonte da cui viene veicolato, quindi dalla legittimità e autorevolezza dell’oratore.

Trasparenti e comunicativi può aiutare, ma per evitare azioni da parte di coloro che non vogliono proprio ascoltare, nel rapporto viene consigliato ai ricercatori di limitare al massimo le informazioni personali presenti su internet.

 


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