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I Gesuiti e Galileo

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Nel saggio qui allegato ho cercato di ricostruire le tensioni all’interno della Società di Gesù, soprattutto nel Collegio Romano, al tempo di Galileo. E ho cercato anche di ricostruire come quelle tensioni sono state risolte (o non risolte) in uno spirito di accomodamento che stava maturando a quel tempo e che è poi entrato nel sistema stesso di circolazione sanguigna della Compagnia di Gesù. I Gesuiti del Collegio Romano confermarono le scioccanti osservazioni di Galileo, riportate nel Sidereus Nuncius. Pubblicato il 12 marzo 1610: quattrocento anni fa. Era evidente che la fisica di Aristotele stava venendo meno. Il problema era, allora, se sarebbe collassata anche la filosofia di Aristotele, che era al servizio della teologia. Le controversie sulle macchie solari e sulle comete potevano avere forti implicazioni per i fondamenti stessi della fede Cristiana. Alcuni Gesuiti videro il pericolo e lo spostarono con astuzia nel futuro; altri, sebbene pionieri della nuova filosofia naturale, non riuscirono a capire gli effetti a largo raggio di quella rivoluzione scientifica cui essi stessi, insieme a Galileo, stavano dando uno straordinario contributo. Molto di quanto è avvenuto può essere attribuito alla forte personalità di singoli Gesuiti antagonisti di quella rivoluzione e dimostrerò che, tra loro, il Cardinale Bellarmino fu uno dei più importanti.

Vorrei però, in via preliminare, spazzare via un luogo comune. Il ruolo dei Gesuiti nell’affaire Galileo non è stato il frutto di un’azione coordinata e organica della Società di Gesù. In realtà protagonisti della vicenda galileana con comportamenti molto differenziati sono, di volta in volta, sia singoli Gesuiti (Cristoforo Clavio, Roberto Bellarmino o Christoph Scheiner pensano e agiscono in maniera molto diversa) sia gruppi di Gesuiti, come il Collegio Romano, omogenei per visione scientifica, filosofica o teologica. In altri termini non possiamo aspettarci di trovare nell’affaire Galileo un’azione univoca, coordinata e concordata della Società di Gesù, perché questa azione univoca, coordinata e concordata non c’è mai stata nell’intera storia della Compagnia. Al contrario c’è una ricchezza di relazioni diverse, talvolta persino opposte, tra Galileo e i Gesuiti.

Queste relazioni le possiamo distinguere in tre grandi periodi della vita di Galileo: nel periodo pisano, durante il quale il giovanissimo Galileo ha ottimi rapporti con padre Cristoforo Clavio, famoso astronomo e matematico, che ne riconosce le capacità, e con il Collegio Romano. Siamo in un periodo in cui sia Galileo sia i Gesuiti del Collegio Romano iniziano ad avvertire le crescenti tensioni tra la filosofia naturale di Aristotele e le nuove scoperte scientifiche. E non c’è dubbio che nel Collegio Romano non c’è una libertà di ricerca e di pensiero in fatto di filosofia naturale che, pur all’interno del codice di disciplina imposto dalla Società di Gesù, non ha riscontro in altri centri di studio.

Nel periodo, 18 anni, che Galileo trascorre a Padova, i rapporti con i Gesuiti sono influenzati dalle controversie nate tra la Società e la Repubblica di Venezia. Ciò non gli impedisce di continuare ad avere una stretta corrispondenza epistolare con padre Clavio, anche in casi scientifici controversi, come l’apparizione in cielo, nel 1604,  di una «stella nova».

Non c’è dubbio, tuttavia, che il periodo più importante sia quello inaugurato dalla pubblicazione del Sidereus Nuncius. Un periodo segnato dall’iniziale favore con cui il Collegio Romano accoglie le nuove osservazioni del cielo; poi dal documento del 24 maggio 1611 con cui il padre Generale chiede a tutti i Gesuiti “uniformità di dottrina” e una difesa della filosofia di Aristotele; infine dalla posizione di Melchiorre Inchofer, il Gesuita membro della commissione che esamina i Dialoghi di Galileo in vista del processo del 1633 e chiede la condanna del suo autore. Commettendo un serio errore.

Non c’è dubbio, tuttavia, che il rapporto più controverso tra Galileo e i Gesuiti sia riconducibile a quello tra lo scienziato fiorentino e Roberto Bellarmino. Il ruolo del cardinale nella vicenda è stato molto studiato ed è molto noto. Eppure è ancora oggetto di discussione. In tempi vicini a noi, per esempio, il cardinale Poupard e lo stesso Papa Giovanni Paolo II hanno dato un’interpretazione del pensiero di Bellarmino che, come cercherò di dimostrare, non è del tutto esatta.

Bellarmino cerca, certamente, un accomodamento tra l’interpretazione delle Scritture e le nuove conoscenze scientifiche. Ma non sostiene affatto, come propone Galileo, basandosi sul pensiero del cardinale Baronio che le Scritture insegnano come si va in Cielo e non come vada il cielo. Bellarmino non sostiene affatto che, sebbene Galileo non abbia prove sufficienti per dimostrare che la Terra gira intorno al Sole, l’interpretazione delle Sacre Scritture deve essere prudente sulla questione, perché un giorno queste prove potrebbero arrivare. Il cardinale non crede affatto che un giorno potranno arrivare prove a vantaggio della teoria copernicana. E quindi non richiede alcuna prudenza nell’interpretazione della Bibbia. Lui è convinto che le Sacre Scritture abbiano letteralmente e definitivamente ragione nell’affermare che è il sole a ruotare intorno alla Terra.  

Io penso che Bellarmino abbia sbagliato nel pensare che le Scritture abbiano qualcosa di definitivo da dire in fatto di filosofia naturale, anche a dispetto degli scienziati. Sebbene comprensibile per il suo tempo, questo è un errore molto grave.


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