Un pamphlet per certi versi amaro e tragico come recita il titolo, e per altri versi pervaso da un afflato pedagogico maieutico come s’intravede nel sottotitolo. Stiamo parlando dell’ultimo libro di Carlo Bernardini pubblicato di recente da Laterza, che lui stesso definisce nella quarta di copertina come “l’invettiva di uno scienziato che si sente fuori dal coro”.
Filo conduttore di questi “incubi diurni” è il sonno della ragione, le cui conseguenze vengono illustrate con particolare riferimento alle vicende del nostro paese. Come infatti si legge nelle prime pagine del libro, la crisi dell’Italia è prima di tutto legata al fatto che in questo paese ormai da tempo “la ragione non sembra avere più spazio”. Se in questo senso le vicende degli ultimi quindici/venti anni sono particolarmente emblematiche, le radici di questo sonno della ragione vanno ricercate in tempi ben più lontani, e hanno che fare con la lunga “ostinazione delle gerarchie ecclesiastiche nel contrastare la libertà della ragione scientifica” risalente almeno al processo a Galileo (1633).
In una fase come quella che il nostro Paese sta vivendo gli esempi negativi non mancano. Basti pensare alla perdita di senso critico. Oppure all’assuefazione a un pensiero dominante che umilia il “saper fare”, cioè quel sapere che nelle fasi aurorali della scienza moderna era rappresentato dagli artigiani e dagli artisti, che avevano fatto tesoro del “lavorare con le mani”, confrontandosi umilmente con i problemi sollevati dai fenomeni naturali e cercando faticosamente la strada per comprenderli e dominarli. O ancora si pensi alla mortificazione della scuola, dell’università e della ricerca, insomma di tutte quelle istituzioni pubbliche che per l’appunto promuovono la ragione, il confronto tra pari, il primato del “pensare” sul “credere”, il nesso fondamentale tra “imparare e capire”.
Su questa base Bernardini mette in rilievo la stretta connessione esistente tra laicità e scienza: entrambe infatti sono innervate da una fiducia nella ragione e nel suo modo di procedere e costruirsi. E accanto a questo nesso, l’autore sottolinea a più riprese il legame tra laicità e scienza da un lato e democrazia dall’altro. L’essenza di queste diverse forme in cui si esprime la ragione umana è quella che Bernardini chiama “l’etica del linguaggio”. L’uso proprio del linguaggio, il suo essere strumento per veicolare ragione e non mistificazione o menzogna, è elemento ineliminabile per ogni convivenza civile come per ogni ampliamento della conoscenza dei fenomeni naturali. Ed è probabilmente a questa etica che fa riferimento Bernardini quando rileva la necessità di “un’etica radicale nuova, più umana, più libera e più onesta”. Preludio a questa etica nuova potrebbe essere “il recupero di alcune storiche figure di oppositori dei feroci poteri temporali e spirituali dei loro tempi, come Gesù, Maometto, Buddha, Confucio, fino a Gandhi e, forse, Martin Luther King”.
L’intento pedagogico del pamphlet è particolarmente evidente nella seconda parte, costituita da una ventina di pagine antologiche che riportano brani di scienziati – come Einstein, Heisenberg, Enriques – e filosofi – come Mill, Feuerbach, Schopenhauer – giustapposti ad alcuni brani ripresi da encicliche papali, a testimonianza della “persistenza delle intenzioni egemoniche del clero”. Un “invito a ben più vaste letture” miranti a capire quanta strada la conoscenza della realtà naturale ha fatto man mano che si riconosceva l’essenziale funzione della libertà di ricerca e si marginalizzava l’intervento di autorità (religiose, politiche, economiche) consegnando alla ragione il suo ruolo fondamentale nel processo di evoluzione della cultura umana.