Il
primo decennio dell’optogenetica ha consentito di migliorare la nostra
comprensione dei circuiti neurali normali e patologici; soprattutto grazie all’alleanza
tra neuroscienziati e ingegneri proteici: i primi hanno identificato i circuiti
suscettibili di dissezione causale, i secondi hanno sviluppato strumenti che
hanno consentito un grado di controllo senza precedenti sull’attività neurale.
Il prossimo decennio dell’optogenetica
probabilmente vedrà lo sviluppo di una nuova alleanza con implicazioni
altrettanto importanti: quello tra optogenetica e medicina traslazionale.
In un articolo recentemente apparso su Science,
Barney Bryson dell’University
College of London, ha applicato strumenti di optogenetica alla medicina rigenerativa
per ripristinare la funzionalità muscolare in un modello murino di lesioni dei
nervi periferici.
Il
quesito chiave che tutti gli esperimenti di optogenetica si pongono è quello di
raggiungere una espressione stabile di opsine nella popolazione di cellule
desiderate. Gli scienziati britannici hanno ingegnerizzato geneticamente le
cellule staminali embrionali di topo in modo che esprimessero stabilmente channelrhodopsin-2
(ChR2), un canale cationico sensibile alla luce blu, e hanno poi differenziato
queste cellule in vitro per ottenere motoneuroni
ChR2 attivabili optogeneticamente. Facendo brillare luce blu su questi
motoneuroni ChR2 si innesca una intensa accensione neuronale. Hanno poi
innestato aggregati di cellule staminali (corpi embrionali) contenenti questi
motoneuroni ChR2 in un modello murino di denervazione muscolare in cui il nervo
sciatico era stato legato.
I motoneuroni ChR2 trapiantati sono sopravvissuti,
maturati e cresciuti fino ad innervare i muscoli denervati dell'arto inferiore,
permettendo il ripristino della funzionalità muscolare semplicemente illuminando
con luce blu il sito d'innesto in topi anestetizzati.
Per ragioni ancora oggetto di studio, la stimolazione optogenetica dei motoneuroni ChR2 recluta le unità motorie con modalità che ricalcano da vicino l’ordine fisiologico di reclutamento, a differenza della stimolazione elettrica che produce un ordine di reclutamento inverso o casuale. Questi risultati confermano studi precedenti che indicano che l’attivazione muscolare a seguito di stimolazione optogenetica induce minor affaticamento rispetto alla stimolazione elettrica e consente di sostenere lo sforzo per lunghi periodi attraverso il reclutamento preferenziale di unità motorie resistenti all’affaticamento.
Una domanda cruciale è se il ripristino della funzionalità muscolare raggiunto possa essere esteso ai topi che non sono sotto anestesia. Questo probabilmente richiederà l'uso di “manichette” emettitrici di luce cronicamente impiantabili sui nervi, che permettano l'attivazione optogenetica dei nervi periferici in animali liberi di muoversi. Bryson indica infatti che le placche dei motoneuroni ChR2 (cioè le regioni innervate del muscolo) presentano malformazioni probabilmente dovute all’iniziale inattività in vivo dei motoneuroni ChR2 trapiantati. L’impianto cronico della manichetta consentirebbe l'attivazione optogenetica di questi neuroni immediatamente dopo l’attecchimento, prevenendo eventuali malformazioni.
La sopravvivenza a lungo termine dei motoneuroni ChR2 trapiantati è un altra grande sfida che deve essere superata. Il metodo di trapianto di cellule utilizzate dall’équipe di Bryson può essere applicato anche nel trattamento di altre forme di patologie nervose. Trapianti cellulari di staminali e neuroprotesi elettrochimiche possono avere potenziale utilizzo nel trattamento delle lesioni del midollo spinale.
Dimostrando
come i risultati della medicina rigenerativa possono essere integrati con nuovi
tecniche di fisiologia muscolare per ripristinarne la funzionalità, Bryson ha esemplificato il tipo di sintesi
interdisciplinare che sarà essenziale per lo sviluppo dell’optogenetica
traslazionale. Anche altri scienziati hanno identificato neuroni al di fuori
del cervello come primo probabile obiettivo dell’optogenetica traslazionale. Inoltre,
l’optogenetica può essere utilizzata per controllare le cellule retiniche e
circuiti di dolore. Tuttavia, molte sfide restano da superare come l’estensione
delle tecniche optogenetiche oltre i modelli murini e ai circuiti neurali
all'esterno del cervello. Lo sviluppo di robusti dispositivi emittenti luce che
siano ben tollerati dopo impianto è un altro punto critico; una possibilità è
rappresentata dall’alimentazione wireless.
Dovranno inoltre essere sviluppate
delle opsine che abbiano una migliore sensibilità alla luce (soprattutto alla
luce rossa) e una vasta gamma di differenti caratteristiche temporali. Nonostante
questi ulteriori quesiti, lo studio di Bryson fornisce un elegante passo avanti
nel percorso dell’optogenetica traslazionale.