Il comunicato ufficiale di OPERA sarà rilasciato oggi stesso. Ma è ormai pressoché certo, la misura dei neutrini «più veloci della luce» è stato il frutto di un errore. Un errore piuttosto banale: il cattivo funzionamento di un cavo in fibra ottica che collega il sistema GPS (il sistema satellitare di posizionamento globale, che consente misure della distanza tra due punti sulla Terra molto precise perché basato proprio sulla teoria della relatività) a un computer. Era male avvitato. I sistemi di sicurezza prevedevano che, in caso di cattivo contatto, il sistema non dovesse funzionare. Invece ha funzionato alterando i dati. E dando l’impressione che i neutrini percorressero il tragitto di circa 730 chilometri tra il CERN e il Gran Sasso attraversando la roccia a una velocità superiore a quella della luce.
Capiremo i dettagli di questa vicenda solo nelle prossime ore. Tuttavia è possibile fare, a caldo, un primo commento: la comunità scientifica sa riconoscere i propri errori ed è in grado di auto correggersi.
Vediamo i fatti. Da alcuni anni il gruppo internazionale OPERA studia il comportamento dei neutrini che, generati al CERN di Ginevra, raggiungono gli speciali rilevatori posizionati nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso – il più grande centro di fisica sotterranea al mondo, progettato e gestito dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Nel corso di questi anni il gruppo OPERA ha verificato che i tre tipi noti di neutrini “oscillano”, ovvero si trasformano gli uni negli altri, proprio come aveva previsto l’italiano Bruno Pontecorvo. Ne consegue che i neutrini hanno una massa, contrariamente a quanto previsto dal modello standard delle Alte Energie.
Con questi e altri risultati il gruppo OPERA si è guadagnato una notevole credibilità scientifica: è uno dei gruppi al mondo che più sa di fisica dei neutrini.
Nel corso di oltre due anni il gruppo ha incidentalmente misurato il tempo che i neutrini generati a Ginevra impiegano a raggiungere il Gran Sasso. Il tempo risultava di circa 60 nanosecondi inferiore a quello che avrebbe impiegato la luce a percorre il medesimo percorso. I fotoni luminosi, come quelli dell’intero spettro elettromagnetico non sono, al contrario dei neutrini, particelle elusive e vengono immediatamente bloccati dalla roccia. Per poter fare un’analisi comparativa occorre, dunque, conoscere perfettamente la reale distanza tra la fonte ginevrina di neutrini e i rivelatori del Gran Sasso.
Il gruppo OPERA ha utilizzato il meglio delle tecnologie GPS disponibili. Lo scorso autunno, dopo due anni trascorsi alla ricerca di un eventuale errore, il gruppo OPERA, diretto dall’italiano Antonio Ereditato, ha deciso di rendere pubblico il dato. Con un articolo a carattere scientifico e con un seminario al CERN.
Non sono mancate le critiche, anche interne. Aver trovato un oggetto che viola la teoria della relatività ristretta – fondata sull’impossibilità di superare la velocità della luce – è una scoperta tanto eclatante, hanno sostenuto i più prudenti, che ha bisogno di verifiche indipendenti. Meglio attendere che queste verifiche siano effettuate. Intanto continuiamo a cercare la causa di un probabile errore.
La posizione di Antonio Ereditato e della maggioranza del gruppo OPERA è stata diversa. Noi, ha sostenuto l’italiano, abbiamo questi dati. Abbiamo il dovere di renderli pubblici. Li offriamo alla comunità scientifica senza interpretarli. Non diciamo che i neutrini viaggiano a velocità superiore a quella della luce. Né tantomeno azzardiamo una spiegazione teorica;
Diciamo solo: “nel rilevare questi dati per due anni non abbiamo trovato fonti di errore. Chiediamo alla comunità scientifica di continuare a cercarli nel nostro esperimento. E attendiamo sereni la verifica indipendente (due gruppi, uno negli Stati Uniti l’altro in Giappone sta lavorando a questo). Dopo le verifiche indipendenti trarremo le conclusioni”.
Entrambe le posizioni – quella di chi diceva “aspettiamo prima di pubblicare” e quella di chi diceva “in nome del principio di trasparenza, pubblichiamo i dati anomali, poi aspettiamo con serenità le verifiche” erano legittime. E appartengono a una consolidata prassi scientifica.
Naturalmente la notizia del “neutrino più veloce della luce” ha catturato l’attenzione dei media di tutto il mondo. E sui giornali, nelle televisioni, su internet la remota possibilità è diventata certezza. Un’impressione, peraltro, corroborata da molti – fisici e non – che hanno iniziato a proporre varie spiegazioni teoriche dell’inatteso fenomeno.
Non sono mancate ingenuità e piccoli errori. Tuttavia nella vicenda la comunità dei fisici ha dimostrato, ancora una volta, la grande forza della scienza: che non è quella di raggiungere certezze, ma di agire con prudenza nelle interpretazioni e soprattutto di cercare con onestà intellettuale l’errore. È una grande capacità di autocorrezione. Infatti è stato lo stesso gruppo OPERA a scoprire il banale inghippo e oggi ne darà prontamente conto.
L’errore, nella storia della scienza, è frequente. E, spesso, commettere un errore ha un valore epistemologico altrettanto grande del conseguimento di un risultato esatto.
La vicenda della misura errata sui “neutrini più veloci della luce” ci dimostra questo in maniera abbastanza chiara.