La ricerca sta cambiando il mondo. Il mondo della ricerca sta cambiando. È questa, in estrema sintesi, il quadro delineato dagli esperti del National Science Board nel Science and Engineering Indicators che la U. S. National Science Foundation pubblica, in genere, con cadenza biennale.
Il denso rapporto analizza a fondo il sistema della ricerca scientifica e dello sviluppo tecnologico (R&S) degli Stati Uniti d’America. Ma lo fa, anche, in riferimento al contesto internazionale. Proponendo una fotografia dinamica dell’evoluzione della ricerca scientifica nel mondo negli ultimi dalla metà degli anni ’90 dello scorso secolo a oggi abbastanza dettagliata.
Il nuovo rapporto non propone novità assolute, rispetto alle analisi precedenti. Anche perché gli ultimi dati analizzati riguardano l’anno 2007 incluso e, dunque, si fermano alle soglie della crisi economica che ha avuto conseguenze, non sempre depressive, anche sulla ricerca nei vari paesi.
Il quadro più significativo è che il mondo della R&S ha accentuato il suo rapido cambiamento nei dodici anni compresi tra il 1996 e il 2007 ed esaminati dagli esperti NSF. In primo luogo perché scienza e innovazione tecnologica dispongono di più risorse. Finanziarie e umane.
In soli dodici anni gli investimenti mondiali in R&S sono raddoppiati, passando da 550 miliardi a 1.100 miliardi di dollari. E, ormai, ammontano al 2% rispetto al Prodotto interno lordo. Poiché l’Unione Europea investe in media meno dell’1,8%, in R&S se ne ricava che in questi ultimi anni il nostro continente ha fatto registrare un’intensità di investimenti inferiore alla media mondiale. È la prima volta che succede, nell’ultimo mezzo millennio.
L’incremento maggiore nelle risorse finanziarie si è verificato in Asia, dove gli investimenti sono quasi triplicati, passando dai 130 miliardi di dollari del 1996 ai 330 del 2007. Particolarmente significativa è l’intensità di ricerca raggiunta in Corea del Sud, che con il 3,6% di investimenti rispetto al Pil si colloca ai vertici mondiali. E ancor più significativa è la spesa cinese, che da quasi venti anni cresce a un ritmo compreso tra il 20 e il 25% l’anno (il maggiore al mondo). Ormai la Cina investe in termini assoluti quasi quanto il Giappone e in termini relativi rispetto al Pil quasi quanto l’Europa. Ma da qui a qualche anno questi traguardi saranno abbondantemente superati. La Cina si appresta a diventare a ogni livello la seconda potenza scientifica del mondo, dopo gli USA.
Ma il mondo della ricerca è cambiato anche e, forse, soprattutto nelle sue risorse umane. In questi dodici anni il numero di ricercatori in tutto il mondo è passato da 4 a 5,7 milioni, con un aumento su scala globale del 43%. I ricercatori sono aumentati sia negli Usa che in Europa di quasi il 40%, passando in entrambe le regioni da 1,0 a circa 1,4 milioni. In totale Europa e Usa contano su 2,8 milioni di ricercatori. In Giappone le risorse umane sono stabili (intorno a 0,8 milioni di ricercatori), mentre in Russia sono diminuite, passando da circa 625mila a meno di 490 unità. Significativo è il robusto raddoppio delle risorse umane in un piccolo paese, la Corea del Sud, che in dodici anni è passata da 120.000 a 250.000 ricercatori. Ma l’incremento maggiore si è verificato in Cina, dove nella medesima dozzina di anni il numero di ricercatori è quasi triplicato, passando da 0,5 a 1,4 milioni di unità. Una performance senza precedenti nella storia della scienza. Ora la Cina ha lo stesso numero di ricercatori di USA e Unione Europea.
Ma, forse, ancora più significativo è il dato sull’aumento delle persone laureate nel mondo. I dati sono un po’ vecchi. Ma l’andamento è evidente. Nel 1980 in tutto il mondo i laureati erano 73 milioni. Nel 2000 erano saliti a 194 milioni. La maggior parte dei nuovi laureati, ancora una volta, si è avuta in Asia: nel 1980 il continente ospitava il 14% delle persone con titolo di laurea, nel 200 ne ospitava già il 25%. Nell’ultimo decennio l’Asia ha ulteriormente accelerato. Lo confermano i dati sul numero di persone che si laureano ogni anno in materia scientifiche. Mentre negli Stati Uniti e in Europa questo numero è sostanzialmente stabile (200mila negli Usa, 100mila in Germania o in Gran Bretagna), in Cina è esploso: nel grande paese asiatico i laureati in materie scientifiche sono passati da 239.000 del 1998 agli 807.000 del 2006. Da sola, ormai, la Cina laurea in materie scientifiche un numero di giovani superiore a quello di Stati Uniti ed Europa.
Analogo l’andamento nei numero di dottori di ricerca che si laureano ogni anno. Tra il 1993 e il 2006 in Cina sono decuplicati, passando da poco più di 2.000 a oltre 21.000 (un numero paragonabile a quello Usa e più che doppio rispetto a quello della Germania). Ma non c’è solo la Cina. In Corea del Sud nel medesimo periodo il numero di dottori di ricerca laureati ogni anno è triplicato (da poco più di 1.000 a oltre 3.500). In Giappone e in India è aumentato del 70% (da circa 4.000 a oltre 7.000 in ciascun paese). Anche in Europa e USA i dottori di ricerca tendono ad aumentare, ma a un ritmo decisamente inferiore.
Tutto questo sta avendo degli effetti. Nell’output scientifico in senso stretto: il numero di articoli prodotti da scienziati americani ed europei che era complessivamente pari al 69% del totale mondiale nel 1995 è sceso al 58% nel 2008, mentre la quota degli articoli di scienziati asiatici è passata dal 14 al 23%.
In campo tecnologico le conseguenze sono ancora più evidenti. Nel 1995 Stati Uniti ed Europa possedevano una fetta superiore al 40% nella torta del commercio mondiale di beni ad alta tecnologia. Nel 2008 la quota è scesa sotto il 30% complessivo. La Cina è diventata il principale esportatore al mondo di prodotti hi-tech. E l’Asia esporta il doppio di prodotti ad alta tecnologia di Usa ed Europa messi insieme.
Il mondo della ricerca è cambiato. Ma la ricerca ha cambiato il mondo.