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Angus Deaton rimette l’economia con i piedi per terra

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Il premio Nobel 2015 per l’Economia Angus Deaton, già noto anche al pubblico italiano per il suo libro “La grande fuga” (Il Mulino 2015), si è segnalato qualche settimana fa per la pubblicazione di uno studio su PNAS in cui si osserva una inedita crescita della mortalità nella popolazione bianca (non ispanica) di mezza età dal 1999 al 2013 causato prevalentemente da alcol droga, suicidi e malattie croniche del fegato.
Mentre in tutte le altre classi di età la mortalità continua a diminuire (come negli altri Paesi ricchi), fra i bianchi statunitensi si osserva quindi questa flessione che era sfuggita ai più, che nel periodo esaminato ammonta a circa mezzo milioni di morti anticipate (confrontabile con l’epidemia di AIDS nello stesso periodo), e che si accompagna con un declino nella percezione dello stato di salute (anche mentale), nelle abilità fisiche e in un aumentato tasso di morbilità ed esperienza di sintomi dolorosi. Segni, secondo Deaton, di una acuta condizione di stress probabilmente provocata anche dalla crisi economica. Nell’articolo che segue presentiamo un ritratto intellettuale del grande economista e della rilevanza del suo contributo teorico (ndr.)

Angus Deaton (nato a Edimburgo nel 1945), economista della Università di Princeton,  è il vincitore del Premio Nobel per l’economia 2015. La Reale Accademia motiva il riconoscimento con i suoi studi su consumo, povertà e benessere. Per disegnare politiche di promozione del benessere e di riduzione della povertà è necessario anzitutto spiegare le scelte di consumo. Più di ogni altro studioso Angus Deaton ha contribuito, nel giudizio degli accademici svedesi, a dare strumenti concreti per l’economista e lo scienziato sociale al fine di comprendere le scelte individuali e collettive e i fattori che determinano le situazioni di benessere e di povertà.
Trentacinque anni fa, quando ancora egli  insegnava in Inghilterra, in un lavoro con John Muellbauer del  Birbeck College di Londra, Deaton propose uno schema d’indagine in materia che doveva diventare famoso come AIDS, Almost Ideal  Demand System. Vi è un preciso momento in cui questo avviene con  un articolo pubblicato proprio  con quel titolo sulla massima rivista scientifica in economia  la American Economic Review. Era il  giugno 1980. AIDS e i suoi sviluppi  hanno fornito lo strumento teorico idoneo, uno strumento al tempo stesso disegnato per la applicazione empirica, alla stima della domanda dei beni e dei servizi. L’analisi doveva poi confluire in un loro  volume,  Economics and  Consumption  Behaviour, apparso nello stesso anno. Deaton e Muellbauer dichiaravano di collocarsi nella scia di uno dei più grandi economisti applicati di tutti i tempi, Richard Stone, egli stesso premio Nobel  per l’economia nel 1984.  Stone, nato a Londra,  fu  l’ideatore e realizzatore del System of National Accounts  adottato  dall’ONU alla fine della guerra, il sistema che  ha fornito la base  empirica  di tutta la macroeconomia sviluppatasi  poi nel dopoguerra.  Egli era stato designato da Keynes a dirigere il Department of Applied Economics,  creato  dallo stesso  Keynes nella Facoltà di economia di Cambridge e ivi aveva inventato il  Project for Growth all’interno del quale nacque il celebre modello dinamico multisettoriale dell’economia britannica, una delle massime realizzazioni  dell’economia applicata contemporanea, al quale lavorarono molti economisti tra i quali  lo stesso Deaton.

Dai consumi al risparmio

Dalla analisi della domanda e delle scelte di  consumo in particolare, l’attività scientifica di Deaton si è  sviluppata in diverse direzioni. In particolare due sviluppi sono importanti.  Da una prima prospettiva l’analisi dei consumi apre la strada allo studio del risparmio.  Qui la teoria economica contemporanea ha avuto molto da dire distaccandosi dalla concezione neoclassica secondo la quale il risparmio viene fatto per lo più dipendere dal saggio d’interesse.  Soprattutto con Keynes consumo e risparmio vengono collegati con il reddito.  Mentre Keynes pensava la relazione soprattutto rispetto al reddito corrente, altri economisti hanno soprattutto studiato il risparmio in rapporto con la distribuzione del reddito da un lato,  oppure come frutto delle scelte intertemporali ossia della allocazione intertemporale delle risorse acquisite ossia del  reddito. Nicholas Kaldor e Luigi Pasinetti,  tra i keynesiani,  lavorarono  più sulla distribuzione del reddito, mentre un altro economista italiano (trapiantato a Cambridge, Mass.), Franco Modigliani  (Nobel 1985) aveva lavorato piuttosto sulla cosiddetta teoria del “ciclo di  vita”, cioè sul fatto che il consumo dipende bensì dal reddito, ma questa dipendenza è fortemente influenzata dalla fase della vita di un soggetto.  Un giovane, per esempio, avrà motivo di risparmiare  più di un anziano in percentuale sul reddito disponibile.  Deaton è stato  in grado di mostrare che la relazione risparmio-reddito  è in realtà molto più complessa e in particolare che questa analisi non può essere svolta senza tenere conto di variabili istituzionali ed extra-economiche che riguardano il funzionamento dei  mercati finanziari, le istituzioni e le abitudini in tema di previdenza e simili. In definitiva non è sempre realistico pensare, come faceva  la gran parte dei macroeconomisti incluso Modigliani e altri, che il risparmio ha un andamento temporale meno accidentato di quello del reddito, immaginando che gli agenti abbiano in generale preferenza  per  flussi di risparmio stabili  o comunque più stabili dei flussi di reddito.

L’economia della felicità

In secondo luogo, la attività scientifica di  Angus Deaton ha  interessato il campo del benessere, della diseguaglianza e della felicità. Anche qui  Deaton ha dettato messaggi importanti per esempio circa la relazioni tra analisi macro e analisi micro in economia.  L’uso di modelli con agente rappresentativo  viene criticato, giacché solo in condizioni eccezionali il comportamento aggregato potrà coincidere con il comportamento individuale o col comportamento di individui fittizi posti a rappresentare la totalità di un insieme di agenti.
Non è forse facile cogliere appieno la carica di originalità e di novità contenuta in queste direzioni di indagine, così come qui sommariamente ricordate.  Il settimanale Economist, nel commentare la assegnazione di questo Nobel, ha scritto che “Angus Deaton wins the Nobel prize for bringing economics back to the real world”.  Ed è effettivamente così: Angus Deaton, nel panorama scientifico attuale, appare come un economista dalla solide basi metodologiche, capace di guardare a un tempo agli aspetti teorici del problema affrontato assieme al confronto coi dati.  Ce ne è bisogno.  Negli anni recenti del dopoguerra ci sono stati periodi nei quali tutta l’attenzione era concentrata sulla teoria;  oggi siamo in un momento nel quale  il linguaggio analitico-quantitativo ha condotto l’economia a essere una disciplina quasi esclusivamente empirica.  Oggi la materia più importante negli studi economici è l’econometria.  Il che è paradossale, e anche infondato alla luce della epistemologia corrente, da Popper in poi.  E’ il trionfo della evidence-based science, favorito dalla enorme disponibilità di dati e dai costi trascurabili del calcolo.  Per questa via il lavoro dell’economista rischia di ridursi spesso a trovare conforto empirico a “pregiudizi” correnti,   mettendo poi in circolo i risultati nella veste di  evidenza empirica neutrale. Deaton ci insegna a evitare la parcellizzazione della evidenza econometrica, a recuperare la capacità di guardare in faccia ai fatti nella loro interezza  e a prendersi cura della qualità dei dati. 

L’importanza della distribuzione. Non c’è solo il mercato

Si può vedere il fenomeno anche da un'altra angolatura.  Si parla molto spesso  di  un “primato degli economisti” tra gli scienziati sociali.  L’economia è stata chiamata la imperial science, nel senso di dettare legge alle altre discipline.
Se si approfondisce il fenomeno, si giunge spesso alla conclusione che l’enorme successo della disciplina è il frutto della capacità di creare la condivisione di uno stesso linguaggio.  In realtà non è difficile scoprire che si tratta di un linguaggio che è ritagliato su misura per fare da veicolo di contenuti orientati a evidenziare una logica di ottimizzazione che è  ritenuta (a torto o a ragione)  il nucleo del  ragionamento economico.  Si scopre però poi che per questa via si è emarginata, per esempio, la teoria della distribuzione. Un gigante e premio Nobel 1995 della macroeconomia odierna come  Robert Lucas affermava ancora  non più di dieci anni fa: “Tra le tendenze che maggiormente insidiano la sana economia, la più seducente e, a mio parere, la più velenosa, è quella che si concentra sui problemi della distribuzione”. 
Affermazioni come queste hanno a lungo dilagato e hanno indotto molti dei più giovani colleghi economisti ad abbandonare quelle supposte velenose sirene che in un passato non lontano avevano invece prodotto importanti contributi proprio muovendo dalla analisi della distribuzione del reddito e della ricchezza. E’ passata, all’improvviso e quasi si  trattasse di una fondamentale illuminazione,  l’idea che la teoria della distribuzione  non esiste: il solo aspetto centrale alla analisi dei sistemi economici deve riguardare la formazione dei prezzi.  Una volta assicurato un ‘sano’ sistema di formazione dei prezzi il problema distributivo (e con esso naturalmente l’intera ‘questione sociale’) è automaticamente risolto.  Le variabili distributive, come i salari e i profitti, non sono forse esse stesse niente altro che  prezzi ?  Questa e simili osservazioni hanno costituito il fondamento di un enorme spostamento di risorse intellettuali al puro studio del funzionamento dei mercati concorrenziali.   Si è così accarezzato il mito della finalmente raggiunta ricomposizione tra giustizia commutativa e giustizia distributiva attorno alla cui divaricazione si erano  affannate generazioni di economisti  (pensiamo a David Ricardo e alla sua enorme influenza, ma ancor di più forse  a John Stuart Mill).  Naturalmente nessuno intende dire che non sia positivo lo studio del funzionamento dei mercati.  E’ solo una questione di misura e di ‘equilibrio’: in sostanza occorre un “equilibrio” nell’impiego delle risorse intellettuali: un equilibrio che  in economia è costantemente  reso precario dalle urgenze e dalle  svolte imposte dal contesto esterno.  Non sorprende, dunque, che oggi si assista a una improvvisa rivalutazione dell’analisi della distribuzione, che ha preso  corpo coll’inopinato successo del recente volume di Thomas Piketty Il capitale nel XXI secolo.
Angus Deaton va esente da questo tipo di critica e in questo senso è un economista contro corrente. Non a caso egli appartiene a una intera linea di economisti empiricamente orientati che muove da Colin Clark, a Simon Kuznets, a Richard Stone, che poco hanno da condividere con le mode econometriche correnti pur essendo stati tra i migliori pionieri della economia applicata e della econometria.  Non a caso, inoltre, il suo lavoro scientifico si inserisce in un filone di ricerca, divenuto nel tempo minoritario, che ha costantemente e coraggiosamente perseguito lo studio della diseguaglianza. Al momento attuale questa linea minoritaria guadagna in realtà crescente attenzione e crescente consenso.  Sotto questo aspetto   Deaton rientra perfettamente tra i nuovi  sviluppi della economia del benessere, della felicità e delle capacitazioni  insieme con Thomas Piketty, Anthony Atkinson, Amartya Sen.  Ha dato inoltre contributi fondamentali allo studio del sottosviluppo.

La grande fuga

L’opera più recente (2013) di Angus Deaton, The great escape,  riflette perfettamente i caratteri della sua produzione e del suo impegno scientifico.
Si tratta di un volume rivolto a un più ampio pubblico. L’edizione italiana (Mulino, 2015)  ha il titolo La grande fuga.  Salute, ricchezza e origini della disuguaglianza. Con la espressione la ‘grande fuga’ Deaton allude alla liberazione dalla indigenza e dalla precarietà. 
E’ in certo senso anche una rivisitazione autobiografica, come l’autore ha reso esplicito in diverse occasioni. Angus Deaton è figlio di un minatore scozzese, al quale il libro è dedicato. Egli ha potuto mettere a buon frutto il suo talento, assai più di quanto non sia accaduto al padre, per una borsa di studio che gli ha consentito di entrare in una delle migliori public schools del Regno Unito, che gli aperto poi la strada agli studi economici alla Università di Cambridge. A Cambridge diventa  prima  allievo e poi  il più stretto collaboratore di Richard Stone, il quale lo avrebbe voluto collega al Department of Applied Economics. Ma Deaton finì per andare altrove, dapprima in una eccellente sede periferica come Bristol, prima di ricevere una offerta da Princeton che diventerà la sua sede definitiva.
Questo sfondo del volume ci dice due cose:  da un lato il tema è quello dello sviluppo in senso lato, che viene affrontato in tutte le sue dimensioni, come dice il sottotitolo, salute, ricchezza, eguaglianza.
La prosa di Deaton  sa rendere chiari i teoremi della economia sottostanti,  sempre attenta a mostrarne la rilevanza empirica e pratica al confronto con l’evidenza.  Non cerca facili generalizzazioni di casi empirici sofisticati, ma guida il lettore che abbia un poco di pazienza, senza clamore e senza strappi ideologici, a un confronto serrato tra teoria e confronto empirico. Si potrebbe esemplificare con gli spunti critici sugli aiuti internazionali, oppure con le puntuali osservazioni sulle politiche di controllo delle nascite (ad es. p. 105 e altrove) e con molti altri casi.

Martha Nussbaum ha definito questo libro “un’avvincente impeccabile guida all’eterno oscillare tra progresso e diseguaglianza”.
In secondo luogo il titolo contiene un fondo di ottimismo. La ‘grande fuga’, senza trionfalismi,  è qualcosa che si è in parte realizzato e che in  buona misura è ancora un processo in corso. E’ qui che l’economia diventa una disciplina che risponde ai canoni dettati da Alfred Nobel stesso per meritare il premio. Angus Deaton − che personalmente non è certo nato economista ma è giunto alla economia per strade un po’ tortuose, forse un po’ per caso – è tra quanti ritengono che con più economisti il mondo sarebbe un po’ migliore.
In realtà la professione economica si è assai allargata: ma, soprattutto in Europa, lo spettro della analisi economica,  specie  in macroeconomia, si è drammaticamente ristretto. Si sarebbe tentati di dire che abbondano i cattivi maestri. Alcuni hanno abbozzato, ma hanno nella sostanza accolto con  un poco di stupore questo premio, certo non del tutto inatteso, ma che forse pochi avrebbero messo al primo posto il giorno precedente la proclamazione. Onore dunque alla Fondazione Nobel per darci una lezione da non sprecare.


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