fbpx Le vie tortuose dell'abilitazione scientifica nazionale | Scienza in rete

Le vie tortuose dell'abilitazione scientifica nazionale

Primary tabs

Read time: 14 mins

È passato il mese di gennaio, ma non conosciamo ancora i risultati della “tornata 2012” dell’Abilitazione Scientifica Nazionale che ha l’obiettivo di selezionare su basi oggettive e, appunto, nazionali le persone che hanno i requisiti per insegnare nelle università pubbliche italiane come professori ordinari (prima fascia) o come professori associati (seconda fascia). Gli abilitati della “tornata 2012” potranno partecipare nei prossimi quattro anni ai concorsi locali nel proprio settore disciplinare ove mai ci fosse un posto in organico.
A promuovere il sistema è stata, nel 2010, l’allora ministro dell’istruzione, università e ricerca, Mariastella Gelmini, con l’obiettivo di creare un sistema nazionale  di selezione del personale docente nell’università che premiasse il merito scientifico e ponesse un argine alla forte discrezionalità manifestata in molti concorsi di diverse università, soprattutto in alcuni settori disciplinari.
Abbiamo già  ricordato, nel precedente articolo di questa nostra piccola inchiesta, i diversi giudizi sulla legge che istituisce l’Abilitazione Scientifica Nazionale. Ma come è andato in concreto l’esordio di questa estesa selezione? Quali sono le luci e le ombre che si sono manifestate nella procedura attuativa della legge?
Prima di entrare nel merito delle possibili risposte a queste domande, è necessaria una premessa. Il metodo della Abilitazione Scientifica Nazionale consiste, essenzialmente, in questo. Chi si candida a diventare professore di prima o di seconda fascia, deve superare alcune barriere oggettive, fondate sulla quantità e sulla qualità delle pubblicazioni scientifiche misurate con criteri bibliometrici. A giudicare è una commissione di cinque membri: quattro italiani e uno straniero. I candidati superano la selezione con il giudizio favorevole di almeno 4 commissari su 5. I commissari sono selezionati per estrazione a sorte in un paniere di persone con requisiti oggettivi. Insomma, gli abilitanti devono a loro volta essere abilitati. I giudizi e i risultati dei giudizi sono pubblici.
Come è stato applicato, in concreto, questo metodo? In generale notiamo che sia le luci sia le ombre che si stagliano sulla prima tornata dell’Abilitazione Scientifica Nazionale sono molto forti. Le luci sono a tratti brillanti. Le ombre sono spesso nebbie fittissime. Pochi, invece, i chiaroscuri.

Iniziamo dalle luci. Mario Clerici, che è stato commissario in uno dei settori concorsuali, sottolinea come, a parere suo e di molti suoi colleghi, il metodo dell’ASN si sia rivelato di gran lunga migliore rispetto a quello di tutte le tipologie di concorsi precedenti. È stato "meno soggetto a pressioni e a condizionamenti esogeni; chi meritava è passato, chi non meritava non è passato". Ma aggiunge: "Caveat: ciò vale per i settori con parametri bibliometrici, non mi esprimo su quelli non bibliometrici".

E già, perché il metodo più oggettivo, quello fondato su soli parametri bibliometrici, è possibile nei settori disciplinari ad alta intensità scientifica. Ma è molto meno applicabile nei settori in cui  la produzione scientifica è meno intensa (uno per tutti, chirurgia) o si esprime con strumenti diversi dagli articoli scientifici pubblicati su riviste internazionali con peer review (come accade in molti settori umanistici).
La legge istitutiva dell’ASN prevede come parametri di valutazione i tre canonici della bibliometria: il numero di articoli, il numero di citazioni, l’H-index. Che non misurano, sempre, la qualità assoluta, ma hanno il pregio di essere oggettivi. E, infatti Pier Mannuccio Mannucci sostiene: "La mia impressione è che le nuove idoneità siano state sufficientemente selettive e ragionevolmente meritocratiche. L’aver stabilito prima dell’abilitazione per ogni disciplina una soglia di produzione scientifica basata su H-index per verificare in maniera oggettiva quali fossero i docenti sorteggiabili per le commissioni di idoneità è stato secondo me  il principale beneficio della Legge Gelmini. Sì è così evitato, al contrario di quanto avvenuto nel passato, che i candidati fossero valutati da commissari a loro largamente inferiori come produzione scientifica".
Ma anche Mannucci riconosce che non sempre il metodo ha funzionato al meglio, anche nell’area della medicina: "Questo meccanismo soglia ha funzionato male solo in alcune discipline (soprattutto chirurgiche) in  cui la produzione scientifica del settore era talmente bassa da escludere ben pochi candidati commissari e da non operare quindi una vera selezione a monte basata sulla produzione scientifica".
Insomma, non in tutti i settori concorsuali dell’area medica i commissari hanno sempre un alto profilo scientifico.

Ma i punti critici non riguardano solo il settore chirurgia dell’area medicina. Riguardano anche altri settori, soprattutto nelle aree umanistiche. Lo rivela subito, a grana grossa, la profonda diversità che si è registrata nella percentuale di abilitazione tre le diverse aree e i singoli settori. Nell’area 03 (scienze chimiche) la percentuale di abilitati è stata del 53% sia in prima che in seconda fascia, mentre nell’area 14 (scienze politiche e sociali) la selezione è stata fortissima e il numero di abilitati si è attestato intorno al 28%. Perché questa discrepanza? Perché i candidati chimici sono, in media, più qualificati dei candidati dell’area umanistica o perché, nelle aree umanistiche, sono prevalsi anche criteri non oggettivi e, per di più, così altamente selettivi da andare oltre lo spirito della legge?
La diversità appare ancora più evidente se si considerano non tanto le grandi aree disciplinari (che sono 14), ma i singoli settori (che sono 184). Nel settore 02/B1, fisica sperimentale della materia, è stato abilitato il 70% dei candidati. Nel settore 14/C1 (sociologia generale, politica e giuridica) è stato abilitato solo il 17,5% degli aspiranti (il 19,6% dei candidati a professore ordinario e il 16,7% dei candidati a professore associato), come rileva in un documento molto dettagliato Anna Carola Freschi, ricercatrice dell’università di Bergamo.
"Non credo che questa diversità fotografi una reale disparità di qualità scientifica dei candidati delle varie aree e settori – sostiene Giulio Peruzzi – ma sia una fluttuazione dovuta ai diversi indirizzi delle varie commissioni.
In alcune, per esempio, è prevalso l’indirizzo estensivo: abilitiamo chiunque supera una soglia minima, poi saranno gli atenei con i loro concorsi locali a scegliere.
In altre, al contrario, ha prevalso l’indirizzo restrittivo: poniamo soglie molto alte, in modo che gli atenei abbiano minore margine di discrezionalità. Ma è anche possibile che questa diversità sia il frutto di calcoli legati alle effettive disponibilità di posti nei prossimi anni nei vari dipartimenti". In pratica potrebbe essere accaduto che in qualche settore i commissari, magari appartenenti a una certa scuola, abbiano ragionato così: nei prossimi anni avremo solo dieci posti e dunque abilitiamo solo dieci candidati, scegliendoli con una certa accuratezza.
Il problema della difformità, che sta alimentando molte polemiche, ha una delle sue cause originarie nei criteri e nei tempi non definiti. Il fatto che, a tutt’oggi, siano pubblici i risultati di 96 su 184 settori concorsuali (52%) e che alcune commissioni abbiano chiesto e ottenuto alcune deroghe (anche in autotutela) dimostra che i tempi e i criteri non sono stati ben definiti.

Occorreva, probabilmente una data certa e non derogabile di termine dei lavori uguale per tutti. Ma occorreva soprattutto definire meglio i criteri. Che, peraltro, sono cambiati rispetto a quelli originari.
Il ministro Francesco Profumo, per esempio, ha esteso oltre le tre famose mediane i criteri per l’abilitazione. Le commissioni hanno potuto così stabilire anche criteri aggiuntivi e, di fatto, sostitutivi di quelli originari. Ciò è avvenuto soprattutto nelle aree e nei settori a bassa intensità scientifica. O, almeno, in quei settori, soprattutto medici e umanistici, in cui l’intensità scientifica è meno valutabile sulla base di criteri bibliometrici.
Ciò ha prodotto molte distorsioni. Una è quella della superficialità, associata alla discrezionalità.
Nei settori – quelli delle scienze matematiche e naturali – in cui è stato facile applicare i soli criteri bibliometrici, la valutazione è stata rapida e oggettiva. E, in genere, ha prodotto un’alta percentuale di abilitati. Nei settori, invece, dove è stato necessario o possibile applicare criteri di valutazione diversi e aggiuntivi, l’analisi è diventata non solo meno rapida, ma anche meno oggettiva e sicuramente più superficiale.

Nei settori non interamente bibliometrici, per esempio, la commissione ha dovuto/potuto valutare con propri criteri i singoli lavori dei candidati. A ciascun candidato è stato chiesto di proporre 12 (per gli associati) e 18 (per gli ordinari) diversi saggi per la valutazione. Il che significa che ogni commissario ha dovuto leggere e valutare 12 diversi saggi per ogni candidato all’abilitazione di seconda fascia e 18 saggi per ogni candidato di prima fascia. Un lavoro al limite del possibile. Talvolta oltre il limite del possibile.
Ora Guido Avezzù, in un’analisi pubblica su Roars, ha facile gioco nel portare alla luce un autentico “paradosso di impossibilità”.
C’è, per esempio, un settore concorsuale che ha visto la partecipazione complessiva di 490 candidati che hanno proposto in totale 6.600 tra monografie, saggi e articoli. La commissione ha iniziato a lavorare a fine gennaio 2013 e ha consegnato i risultati della sua attività nel successivo mese di novembre. Insomma, ha avuto a disposizione  303 giorni (festivi compresi). Il che significa che ogni commissario ha dichiarato di aver letto e valutato in media 21,7 tra monografie, saggi o articoli al giorno (festivi compresi). Il tutto continuando a fare il suo lavoro e senza prendersi un’ora di riposo.
Impossibile, appunto. È chiaro che la valutazione è stata condotta con maggiore superficialità del dovuto. E ciò non per colpa dei commissari, ma dei criteri a monte. Non è possibile che una singola commissione valuti un così alto numero di candidati sulla base non di criteri oggettivi, facilmente e velocemente verificabili, ma sulla base di criteri soggettivi, che quantomeno impegnano molto più tempo.
Il paradosso non riguarda una singola fluttuazione, ma  molte aree e molti settori concorsuali. La distorsione è tale che molti candidati non abilitati chiedono trasparenza sul metodo utilizzato. E minacciano una valanga di ricorsi. 

Ci sono quattro casi, che prendiamo a esempio senza presunzione di completezza, in cui la mancanza di criteri certi e ben strutturati ha creato dei problemi non da poco. Il primo, segnalato da Giulio Peruzzi, riguarda la storia e la didattica della fisica. È stata inserita come settore disciplinare in tutti i settori concorsuali dell’area 2, quella della fisica. Con esiti i più diversi. Nel settore concorsuale 02/B2 (fisica teorica dello stato solido) i candidati sono stati valutati da una commissione di fisici teorici che ha concesso poche abilitazioni in FIS/08, storia e didattica della fisica, sia in prima che in seconda fascia. Il bello è che lo 02/B2 era il settore scelto dalla maggioranza degli storici e dei didatti della fisica, che hanno deciso più o meno tutti insieme di non fare domanda, come pure era possibile, anche in altri settori concorsuali per non ingolfarli. I pochi (perché esterni e quindi non raggiunti dall'informazione) che hanno fatto domanda nel settore concorsuale 02/A2 (fisica teorica delle interazioni fondamentali) sono invece stati abilitati. Una ricercatrice  ha preso l'abilitazione per associato addirittura senza superare nessuna delle tre mediane. E questo a  causa, anche, della possibilità conferita alle commissioni di derogare alla regola originaria secondo cui si è abilitati se e solo se si superano tutte le tre mediane.
Questi fenomeni si sono verificati in molte valutazioni di settori transdisciplinari. In storia della medicina, per esempio. Che è stata considerata, chissà perché, disciplina affine a “patologia”, area disciplinare molto più ampia. Cosicché coloro che hanno chiesto l’abilitazione in storia della medicina sono stati giudicati da cinque commissari tutti patologi del settore concorsuale “Patologia generale e clinica”.
Secondo uno storico della medicina che vuole restare anonimo – un particolare non trascurabile, in questa vicenda –  la commissione di patologi si è chiesta come giudicare gli storici della medicina, non avendo competenza per farlo. La commissione ha scelto, pertanto, di avvalersi  delle possibilità offerte dalla legge e dalle norme attuative e di introdurre un criterio aggiuntivo: accogliere le domande di coloro che si erano candidati anche senza aver superato le tre mediane.
Inoltre ha stabilito di nominare due esperti pro veritate in storia  della medicina, come consentito dalla legge e dai regolamenti. Sono stati nominati così i due professori ordinari esperti di storia della medicina che non erano stati sorteggiati dalla lista. La commissione, secondo la nostra anonima fonte, avrebbe potuto dovuto  evitare di nominare i due esperti pro veritate non estratti ma  convocare il Collegio dei Docenti e scegliere, come è stato fatto per il settore concorsuale di pediatria.

Sia come sia, gli esperti pro veritate hanno dato parere negativo per tutti i 21 candidati, sebbene molti tra loro, sottolinea la nostra fonte anonima "sono incardinati nel Sistema Scientifico Disciplinare nel ruolo da molti anni, esercitando a tempo pieno il mandato, con soddisfazione delle Autorità Accademiche e del consesso scientifico internazionale". Nell’esprimere il parere negativo gli esperti pro veritate, conclude la nostra fonte:"hanno dato giudizi personali e soggettivi, a volte dettati da dimostrabile competizione accademica con i candidati, condizionando la valutazione finale di una commissione, non adeguata a pronunciare autonomi giudizi di merito".
Quelli forniti dallo storico della medicina che non ha inteso rivelare la sua identità sono commenti personali. Tuttavia esprimono, nella sostanza, la medesima difficoltà a inquadrare e valutare le aree transdisciplinari per mancanza di criteri precisi.
Problemi analoghi  si sono verificati in altre commissioni. Trentotto candidati nel settore concorsuale 11/A1 (storia medievale), per esempio, hanno accusato tre commissari di aver truccato i loro curricula. I tre commissari si sono difesi con decisione. Uno sostenendo che nel proprio “cv” c’è effettivamente un errore, l’aggiunta impropria di un titolo non determinante, ma che essendo tutti gli altri titoli più che sufficienti a renderlo idoneo, quell’errore non può essere causa di invalidazione del suo ruolo. Un secondo ha sostenuto che ci sono errori nel suo curriculum, ma non sono attribuibili a lui bensì al Cineca. Un terzo che, pur non avendo un numero di articoli sufficienti ha un numero di monografie che lo rendono idoneo a fungere da commissario. È normale che in un sistema come quello ASN che tende all’oggettività ma presenta, in alcuni settori, ampi margini di soggettività si possano aprire dei contenziosi. Ma ci sono passaggi fisiologici che andrebbero registrati meglio. Per esempio, la possibilità di controllare in ogni momento se le autocertificazioni dei vari attori – commissari o candidati – rispondano al vero. Senza la possibilità di questi controlli in corso d’opera si possono aprire – vogliate scusare il gioco di parole – finestre di opacità. Com’è successo, per esempio, alle commissioni del settore concorsuale 11/A3 (storia contemporanea) e 02/B1 (fisica sperimentale della materia) che hanno ottenuto proroghe per una non meglio precisata autotutela.

Un ultimo esempio di cattivo funzionamento del sistema riguarda il settore concorsuale 14/C1 (sociologia generale, giuridica e politica). Un settore che raggruppa una parte importante dell’intera sociologia,  che da anni è caratterizzato da un profondo dibattito culturale e che è diviso in diverse scuole di pensiero fortemente contrapposte e che rischiano di trasformarsi, secondo alcuni, in cordate di potere. Come abbiamo detto è proprio in questo settore che si registra il minimo delle abilitazioni, sia in prima che in seconda fascia. Secondo un’analisi molto dettagliata pubblicata da Anna Carola Freschi su Roars questi dati sarebbero anomali e l’anomalia potrebbe essere interpretata anche alla luce della lotta di potere tra scuole di pensiero (e gruppi di potere). Non entriamo nel merito delle accuse. Tuttavia queste e altri dati anomali si offrono a due classi di considerazioni generali.
Una è espressa da un sociologo che ci ha chiesto di restare anonimo. Il che, di per sé, la dice lunga su quel che bolle nella pentola della sociologia accademica italiana. Il nostro interlocutore analizza l’idea e le prassi che stanno (che starebbero) dietro l’ASN: espressioni, a suo dire, di un autoritarismo anarcoide (l’idea di fare una rivoluzione del sistema universitario dall’alto); di un antidemocraticismo, primitivismo e populismo (perché tra i fautori dell’ASN ci sarebbero molti che considerano fallita l’università di massa e perseguono la distinzione tra poche università di eccellenza dedicate alla ricerca e una serie di università dedite solo alla didattica); di provincialismo (imitazione, peraltro cattiva, di sistemi in voga nel mondo anglosassone); di illusione normativa integralista (l’idea che con le norme si risolve tutto).

Ma questi sono giudizi generali. Poi vengono contestazioni più puntuali. Secondo il nostro anonimo sociologo l’esordio dell’ASN è stato caratterizzato da una marcata improvvisazione. Alimentata da una lunga serie di errori fattuali: l’assunzione dogmatica che la pubblicazione internazionale (in lingua estera) sia meglio di una pubblicazione in italiano; l’assunzione non dimostrata che una pubblicazione in "fascia A" (ma soprattutto se non italiana) sia di per sé migliore di una pubblicazione in "altra fascia"; l’adozione delle scienze fisico-naturali come riferimento assoluto del sistema di comunicazione e di valutazione: «ma nelle scienze sociali è sempre prevalso il libro alla comunicazione breve (ricevono molte più citazioni anche dagli articoli!) e quindi non è pensabile adottare medesimi criteri fra i due macrosettori così diversi»; primato dell’azione alla Sorel: "meglio una cosa che sappiamo funziona male che niente" (proverbio popolare: “piuttosto che niente meglio piuttosto”); si sapeva che i commissari non avrebbero avuto tempo di leggere 12 (per associati) o 18 (per ordinari) pubblicazioni (spesso volumi) per ciascuno delle centinaia di candidati. Il nostro interlocutore riconosce, tuttavia, un aspetto positivo dell’ASN: la pubblicità dell'esito. Cosicché è finalmente possibile (lui sostiene auspicabile) contestare, dati alla mano, le cose (moltissime, secondo lui) che non sono andate bene. Tutti questi punti posti dal nostro anonimo sociologo possono non essere condivisi. Tuttavia meritano una risposta dai fautori dell’Abilitazione Scientifica Nazionale.
Ci sono poi altre critiche generali alla procedura della prima tornata dell’ASN.
Uno lo sottolinea Giulio Peruzzi: "i quattro anni dell'abilitazione scattano dalla pubblicazione sul sito MIUR dei risultati del proprio settore concorsuale. Ma in questo periodo nessuna recluta nessuno (stante le difficoltà strutturali in cui versano le università) e quindi risulta privilegiato chi vedrà pubblicato il proprio risultato nei prossimi mesi".
Al netto di tutte queste considerazioni critiche, vale quello che sostengono Mario Clerici e Pier Mannuccio Mannucci: in molti settori concorsuali il sistema ha funzionato. È stato premiato chi, secondo i criteri scelti, aveva più merito.
Tuttavia è anche vero, come rileva la Federazione Lavoratori della Conoscenza della CGIL, che il processo dell’abilitazione è stato, nel suo complesso, anche molto confuso. E questa confusione di base è all’origine della grande diversità di comportamenti tra commissioni diverse. La confusione va assolutamente diradata, perché rischia di offuscare un processo che, con tutti i suoi limiti, va comunque nella direzione di una maggiore considerazione del merito e di una lotta più seria ai casi di nepotismo o di semplice baronia nelle università.

Ma una considerazione, in definitiva, vale su tutte: nessun giudizio generale può essere espresso con compiutezza fino a quando non avremo i risultati della prima tornata dell’ASN. A tutt’oggi questi risultati completi non ci sono. E non ci sono neppure chiare giustificazioni per il ritardo.  

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Siamo troppi o troppo pochi? Dalla sovrappopolazione all'Age of Depopulation

persone che attraversano la strada

Rivoluzione verde e miglioramenti nella gestione delle risorse hanno indebolito i timori legati alla sovrappopolazione che si erano diffusi a partire dagli anni '60. Oggi, il problema è opposto e siamo forse entrati nell’“Age of Depopulation,” un nuovo contesto solleva domande sull’impatto ambientale: un numero minore di persone potrebbe ridurre le risorse disponibili per la conservazione della natura e la gestione degli ecosistemi.

Nel 1962, John Calhoun, un giovane biologo statunitense, pubblicò su Scientific American un articolo concernente un suo esperimento. Calhoun aveva constatato che i topi immessi all’interno di un ampio granaio si riproducevano rapidamente ma, giunti a un certo punto, la popolazione si stabilizzava: i topi più anziani morivano perché era loro precluso dai più giovani l’accesso al cibo, mentre la maggior parte dei nuovi nati erano eliminati.