Sono intervenuto al convegno ospitato dal centro MaCSIS dell'Università Milano-Bicocca, L’Aquila: il racconto oltre la sentenza, con una relazione dal titolo “L’aquila e il trauma mediatico”, nel tentativo di indagare un aspetto che ritengo chiave. E cioè: attraverso quali passaggi un capo d’imputazione molto preciso (“valutazione negligente del rischio” e “informazione fuorviante”) sia stato sostituito da un altro (“mancato allarme”) e come in questo “altro” si sia oggettivizzata la narrazione – presto divenuta globale - del “processo alla scienza”. E come quest’ultima, prendendo le mosse da assunti travisati, abbia riproposto un dibattito falsato che ancora, se da un lato ingenera confusione nel lettore, dall’altro marginalizza le problematiche messe a tema dalla sentenza.
Nello scritto letto in apertura al convegno ospitato da MaCSIS, Bruna De Marchi, una delle maggiori esperte italiane in comunicazione del rischio, ha accennato al fatto che si sia precisato “ad nauseam” che a esser processata non sia stata la scienza. Una “verità” che è necessario calare nel contesto concreto del quotidiano, perché il cittadino – ancora oggi - ha le idee molto confuse sulla “questione Grandi rischi” e continua a chiedersi “perché siano stati messi in galera degli scienziati”. Del resto, molta stampa, anche internazionale, continua a offrire ricostruzioni senza un vero punto focale, con passaggi spesso contraddittori quando non ambigui.
Giugno 2010, si sapeva già tutto
E’ necessario tornare ai primi di Giugno del 2010 per capire dove e come inizi questo meccanismo di distorsione mediatica. E le date – soprattutto in questa fase - sono importanti. L’1 giugno la Procura dell’Aquila invia gli avvisi di garanzia ai sette imputati della Commissione Grandi Rischi (Cgr), nel cui capo d’imputazione si parla (dell’ormai nota) “valutazione negligente del rischio” e “informazione fuorviante”. Se il capo d’imputazione in cui si oggettivizza la narrazione del processo alla scienza è “mancato allarme” e se negli avvisi di garanzia non se ne trova il minimo cenno, quando se ne inizia a parlare? Ciò avviene nell’allegazione difensiva depositata dall’avvocato di Franco Barberi alla procura dell’Aquila. E’ il 28 giugno 2010: il documento contiene, in allegato, copia delle oltre 4mila firme di scienziati di tutto il mondo con la richiesta di non procedere contro gli imputati, perché, si legge nel documento: “la comunità scientifica internazionale è unita nell’affermare l’attuale impossibilità di prevedere i terremoti a breve termine, in Italia come in ogni altra parte del mondo”. Le firme degli scienziati sono in calce a una “lettera aperta” al Presidente Napolitano, promulgata il 18 Giugno 2010 dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv). Anzi, la firma è: “I dirigenti INGV”. Si legge nella lettera: “Questa iniziativa è stata intrapresa a seguito del recente invio degli avvisi di garanzia per l’accusa di omicidio colposo ai componenti della Commissione Grandi Rischi, ad alcuni dirigenti del Dipartimento Nazionale della Protezione Civile e al Direttore del Centro Nazionale Terremoti dell’INGV per non aver promulgato uno stato di allarme (…)”.
Di fatto, i vertici dell’istituto chiedendo l’adesione dei colleghi su un travisato capo d’imputazione – quindi una falsa informazione - si prestano alla strategia della difesa degli imputati. E’ necessario sottolineare che, quando viene promulgato l’appello, il contenuto degli avvisi di garanzia era noto da oltre due settimane. Quindi, la lettura degli atti è quantomeno “negligente” e l’informazione ai colleghi – italiani ed esteri - “fuorviante”.
Media “distratti”
Se gli avvisi di garanzia erano noti, un momento collusivo si registra anche per quei media che “a caldo” non fanno adeguate verifiche. Emerge così che se la stampa nazionale (Es: Repubblica, Corriere, Sole24Ore) e internazionale (Es: New York Times, Guardian, Science, Nature) non “metabolizzano” l’errore, travisando anch’essi il capo d’imputazione, un discorso a parte merita la stampa locale. A partire da Il Centro e passando per le molte realtà web nate in seguito al terremoto, la rappresentazione offerta nel circuito abruzzese è ricca: si parla di “documento rassicurante”, di “rassicurazionismo”, dei punti critici del verbale , della sbrigatività con cui “si è liquidato tutto”, della riunione e del suo “ruolo centrale per le indagini”. E se già il 7 Giugno del 2010 Repubblica aggiusta il tiro, riportando le parole di Boschi, secondo cui si decise “rassicurare la popolazione”, il refrain del “processo alla scienza” è ormai partito fino a diventare un mantra. Mauro Dolce dichiara da Washington l’impossibilità di prevedere i terremoti (3 giugno) e se Science crede che un Pm impazzito abbia messo sotto processo gli scienziati perché non hanno ascoltato le parole dello “stregone” Giampaolo Giuliani, anche Nature (22 giugno 2010) parte con il piede sbagliato e dà voce all’indignazione della comunità scientifica mondiale. Circa un mese dopo – luglio del 2010 - è già pubblica la prima memoria di Fabio Picuti, dove per 224 pagine il Pm parla in modo ampio di valutazione del rischio e di come quelle rassicurazioni, secondo l’accusa, abbiano potuto indurre le persone a un cambiamento nei comportamenti che è stato fatale. Così, a luglio del 2010 le informazioni erano tutte disponibili. Anche la rete lo dimostra. E cioè i molti blog di controinformazione nati durante il post-sisma: Anna Colasacco, per esempio, la prima (in assoluto) a raccontare i dieci mesi dell’occupazione della Protezione Civile, commenta che “dopo tutte le bugie raccontate sulla nostra pelle, se ci fosse stata una travisazione di quel tipo (“mancato allarme”, ndr) ci sarebbe stata una sollevazione popolare. Era impensabile perché all’Aquila tutti sapevano che il tema era la rassicurazione”.
Non tutti se la bevono
All’interno di questa storia se ne inscrive un’altra meno nota: alcuni scienziati stranieri non credono all’appello. E non firmano. Vladimir Kossobovok, a capo della Russian Accademy of Science e Lalliana Mualchin, sismologa californiana, sono tra le voci più attive: prendono informazioni e inizia così un “contro-giro” di email tra colleghi, che si concretizzerà più avanti in un’altra “lettera aperta” a Napolitano, di segno diverso. Si legge infatti: “Siamo fortemente in disaccordo con chi paventa che, a seguito della sentenza del tribunale de L’Aquila, gli scienziati, in futuro, avranno paura di fornire la propria opera a supporto alla protezione civile. Riteniamo che una tale infondata visione sia il risultato diretto dell’errata interpretazione delle motivazioni dell’accusa e della sentenza di condanna che le ha recepite. Pensiamo che la conclusione di questo tragico evento possa rappresentare l’inizio di un percorso più virtuoso, sia dal punto di vista scientifico che etico”. Responsabilità personale, corretta comunicazione del rischio, indipendenza della scienza sono dunque i punti chiave che la sentenza, secondo gli scienziati firmatari, mette a tema.
Ma nell’Ingv il clima è teso
Se molte firme alla “contro-lettera” sono straniere c’è un motivo preciso. Alle richieste di anonimato del tipo “non mi spinga a espormi” ricevute da chi scrive, si aggiunge la testimonianza di Wania Della Vigna, uno dei difensori dei familiari delle vittime: “A suo tempo (2009, ndr) faticai molto, in Italia, a trovare dei consulenti sul piano scientifico disposti a partecipare al processo. Mi rispondevano tutti alla stessa maniera: ‘lei ha perfettamente ragione, ma non posso permettermi di mettere a repentaglio la mia carriera”. E’ anche per questo, dunque, che tra i consulenti per la difesa dei familiari delle vittime, sul piano scientifico, ci sono anche nomi esteri – poi firmatari della lettera “pro-sentenza”. E che su impulso dell’esperienza aquilana fonderanno l’International Seismic Safety Organization (Isso), con sede legale simbolicamente in Abruzzo.
“L’operazione mediatica” e alcune retromarce
Quando esce l’intercettazione di Bertolaso (che tramite l’assessore Stati dà ordine di tranquillizzare la popolazione imbeccando i luminari, Repubblica – 17 Gennaio 2012) se ne parla – in sostanza - solo nel circuito aquilano. I media esteri, pure, si mostrano sordi all’evidente ingerenza politica, ma qualche autorevole retromarcia si nota.
La più significativa e netta la fa Science il 12 Ottobre 2012, con un lungo reportage – molto equilibrato - a firma di Edwin Cartlidge. In apertura si sottolinea il fatto che Alan Leshner – editore di Science e amministratore delegato della più grande società scientifica mondiale, la American Association for the Advancement of Science (AAAS) – abbia scritto al Presidente Napolitano che le accuse erano “unfair and naïve” perché mal informato. Ma adesso “è emerso un quadro più complesso (…), l’accusa non era di non aver previsto i terremoti, bensì una valutazione negligente del rischio (…)”.
Un discorso diverso merita Nature, che mostra un atteggiamento quasi schizofrenico. Dopo la falsa partenza iniziale la rivista aggiusta il tiro e nel luglio del 2011 pubblica il lungo e dettagliato reportage di Stephen S. Hall (At Fault?), probabilmente uno dei prodotti migliori sulla situazione aquilana. A commento della sentenza (editoriale del 30 ottobre 2012), invece, la rivista britannica interviene in modo sprezzante liquidandola come “ridicola e perversa” e riattivando la rappresentazione dell’”Italia medievale” (“una cosa del genere non sarebbe pensabile in nessun altro paese europeo o negli Stati Uniti”).
Il commento a caldo
Le motivazioni ancora non sono note, ma il commento alla sentenza che grida al medioevo non si fa attendere. L’allora ministro Clini parla di “unico precedente Galileo”, e così i politici. Casini: “pura follia”; Schifani: “imbarazzante”; Sacconi: “agghiacciante” - confermandosi imprigionati nelle parole del “mancato allarme” e nella logica della “condanna alla condanna”.
Se Repubblica è sul pezzo – Caporale scriverà anche “L’Aquila non è Kabul” e così Il Fatto quotidiano (che ospita tra i suoi blogger Alberto Poliafito, giornalista e regista di “Comando e Controllo”, eccezionale documentario sulla macchina di propaganda messa in moto dalla Protezione civile), il Corriere della Sera – per interposto esperto, Thomas Jordan – riattiva sia il refrain dell’imprevedibilità sia quello del “tutto questo è possibile solo in Italia”. Molto centrato invece sul “rassicurazionismo” l’Economist, mentre David Ropeik per Scientific American sottolinea le responsabilità degli scienziati in termini di inadeguata comunicazione del rischio.
Tra i commentatori di casa nostra sono Piergiorgio Odifreddi e Sergio Rizzo i primi a gridare all’Italia oscurantista, mentre il commento italiano specializzato – di cui qui si esemplificano solo due tra le voci più autorevoli – propone letture diverse. Pietro Greco (anche) su Scienzainrete parla di “processo alla comunicazione del rischio” e di “possibili effetti perversi sui diritti dei cittadini (…) all’accesso all’informazione scientifica”, facendo eco a quella paura del “nessuno parlerà più” ricorsa spesso. Mentre Marco Cattaneo, Direttore di Le Scienze (edizione italiana di Scientific American), sul suo blog focalizza l’analisi parlando dei membri della Cgr come “capri espiatori” –chiude Cattaneo: “l’impressione è che ci sia fermati ai bersagli più facili”.
Per evidenti limiti di spazio non è possibile passare in rassegna molte altre analisi che meriterebbero attenzione, anche per quel che segnalano: una certa difficoltà a slegarsi dalla logica interna al dispositivo giuridico, con il rischio di riproporre versioni più sfumate del “processo al processo”. Tuttavia, l’impulso che mi ha spinto a tentare una riflessione sul lavoro svolto dai media è nelle parole scambiate con Massimo Giuliani, psicologo-psicoterapeuta, per un reportage sul disagio psicologico lasciato dal sisma (Le macerie nell’anima, Mente&Cervello, Aprile 2013):
“Quando Berlusconi diceva che gli aquilani si erano fatti ‘solo qualche giorno di tenda’ le persone si sono sentite defraudate della propria sofferenza. E il dibattito che metteva a tema se a essere processata fosse stata la scienza o meno è stata una ferita ulteriore. Soprattutto quando abbiamo letto la stampa internazionale, dove L’Aquila è passata per il paese dove le fattucchiere hanno la meglio sulla razionalità. Perché non c’è niente di peggio che raccontare bugie sul dolore delle persone".
di Ranieri Salvadorini