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Un appello: Italia a rischio default culturale

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Lo spread culturale con la Corea è salito a 430 punti. Crollano gli investimenti: – 14% in cinque anni. Crolla l’occupazione dei giovani nelle fabbriche della conoscenza: – 17%. Aumentano le tasse: + 50%. Il deficit commerciale nell’alta tecnologia ha raggiunto punte dell’1% del PIL. Siamo già oltre l’orlo del burrone. Così il Paese si è giocato il futuro. Le colpe dei padri già ricadono sui figli.[1]

Dobbiamo ancora una volta denunciare la condizione di marginalità nella quale viene tenuto il sistema della ricerca pubblica nel nostro Paese. Molti di noi lo hanno fatto e documentato più di una volta negli ultimi anni e le analisi critiche e le valutazioni negative già fatte in passato, purtroppo, possono essere ripetute con una serie di aggravanti.[2]

Non intendiamo discutere la necessità del contenimento della spesa pubblica e, tanto meno, i corretti principi di una buona amministrazione, ma – nella reale situazione del nostro Paese – dobbiamo denunciare oltre agli effetti negativi ottenuti in via generale in materia di sviluppo del Paese, la progressiva decadenza del nostro sistema scientifico, formativo e competitivo. Alla crescente perdita di risorse umane si accompagna ormai la progressiva perdita anche del patrimonio strumentale. A questi effetti generali occorre aggiungere quelli indotti dalla perdita di capacità di utilizzo dei Fondi comunitari, che richiedono, appunto, il concorso di risorse interne. Questi risultati non possono giustificare quelle politiche. Gli obiettivi europei del raggiungimento entro il 2010 di un finanziamento totale pari al 3 % del Pil non solo non sono stati raggiunti, ma appaiono qualcosa del tutto estranea a questo Paese.

Dobbiamo, in definitiva, denunciare come la perdurante crisi rischia di portare il complesso delle nostre istituzioni di ricerca verso condizioni negative di non ritorno. E questo, sentiamo il dovere di ripeterlo ancora una volta, avrebbe come conseguenza di trascinare in una analoga situazione di non ritorno anche la possibilità di una ripresa economica e sociale.

Questo consuntivo si accompagna, non a caso, alle ripetute analisi – ultima quella del W.E.F. - relative ai ritardi del nostro sistema economico e sociale proprio in materia di capacità tecnologiche e quindi scientifiche e culturali. In un paese dove, oltre a tutto, sono noti i limiti competitivi e delle potenzialità di sviluppare attività di ricerca nel sistema delle imprese, il ritenere di poter superare la prolungata e pesante crisi generale senza il ricorso alla ricerca pubblica o tenendola in condizioni marginali, rappresenta una scelta di degrado della quale le classi dirigenti del Paese dovranno assumersi la piena responsabilità e che - per non essere complici - intendiamo denunciare con forza.

Noi riteniamo, dunque, doveroso segnalare la necessità di introdurre nel documento di previsione del bilancio pubblico per il 2014 – e, per alcuni aspetti, anche nel corso dell’attuale bilancio - alcuni interventi tali da rappresentare almeno dei segnali concreti di inversione di un percorso da troppo tempo negativo.  In particolare consideriamo necessario:

-   eliminare il vincolo del ridotto turn over essendo la risorsa di personale valutabile solo da chi ha la responsabilità della ricerca. Pur apprezzando lo sforzo e il segnale inviato dal Ministro della ricerca di portare la riduzione dall’80 al 50%, riteniamo che il sistema dell’Università e della ricerca che ha già assistito a una forte riduzione degli addetti (che si associa a una diminuzione degli studenti che si iscrivono all’Università), non possa sopportare un calo ulteriore.

-       integrare il finanziamento pubblico per la ricerca nelle Università e negli Enti di ricerca pubblici con una cifra minima pari al 5% nonché disponendo presso la Presidenza del Consiglio di un fondo a cui accedere in caso di utilizzo dei Fondi comunitari; indirizzando questi fondi - nel rispetto dell’autonomia scientifica - verso quei settori che realmente possano imprimere una svolta in direzione di un dialogo innovativo tra ricerca, (partendo dalla ricerca si base) e il mondo produttivo. Si osservi che in questo dialogo possono giocare un ruolo cruciale tutte le discipline (dalle scienze umane alla fisica di base) e non necessariamente solo settori classificati come “tecnologici” e che in alcuni casi possono essere molto poco innovativi.

-       superare rapidamente tutte le situazioni di precarietà istituzionale e di rinnovo degli organi di direzione là dove sussistono le relative scadenze in modo da restituire piena capacità di governo alle Istituzioni pubbliche di ricerca. 

-        riportare alla responsabilità delle Università e degli Enti di ricerca una serie di decisioni  gestionali attualmente attribuite alla burocrazia, recuperando in parallelo una reale capacita di controllo sul merito e non formale.

Si tratta di condizioni minime che non possono incontrare riserve sul fronte dell’entità e della disponibilità delle conseguenti risorse finanziarie, per le quali siamo comunque disponibili ad entrare nel merito.

Tali interventi vanno considerati come urgenti e prioritari rispetto a qualsiasi ipotesi di riforma che, in assenza di significative risorse finanziarie servono solo, come è avvenuto spesso negli anni passati, a mascherare il degrado del sistema. Dubitiamo anzi di ciò che si presenta come “riforma” senza partire da una analisi accurata della situazione di partenza e da una enunciazione chiara dei risultati che si vogliono raggiungere. Una via perseguita negli ultimi lustri e che ha portato al degrado presente. Solo dopo questi interventi sarà possibile impostare progetti di riforma credibili e sufficientemente approfonditi incominciando da un’analisi del ruolo della ricerca nei confronti sia della formazione civile, sia della qualità del lavoro, dello sviluppo economico e sociale del Paese. Un approfondimento che dovrà mettere in discussioni i rapporti tra la ricerca pubblica e il sistema produttivo, le strutture di selezione e di valutazione delle scelte generali e degli spazi dell’innovazione che non è solo tecnologica ma anche delle conoscenze, sia infine i modelli di gestione delle strutture di ricerca che sono diventate - più di prima - dannosamente verticistiche. A tutto questo è da aggiungere la creazione di meccanismi di controllo e di verifica sostanziali e non burocratici e meccanici come si è fatto ultimamente.

Naturalmente anche per queste successive elaborazioni c’è bisogno del contributo di tutti e noi intendiamo assicurare la nostra piena collaborazione.

Ma intanto occorre bloccare il degrado e la rovina delle fondamenta del sistema culturale, sociale ed economico del nostro Paese. 

 

L'appello è pubblicato  su Roars.it, dove è disponibile anche la raccolta firme

Primi Sottoscrittori
:

Carlo Bernardini, Cristiano Castelfranchi, Laura Deitinger, Rino Falcone, Sergio Ferrari, Pietro Greco, Leone Montagnini, Pietro Nastasi, Daniela Palma, Giovanni Paoloni, Francesco Sylos-Labini, Francesco Sinopoli, Settimo Termini.

Referenze:

[1] Lo spread è dato dalla differenza tra laureati tra i giovani coreani (64%) e italiani (21%). Il crollo degli investimenti: – 14% è il taglio delle spese per l’università.Le tasse aumentate sono quelle universitarie. L’occupazione giovanile nelle fabbriche della conoscenza è quella degli iscritti all’università.

[2] Ci limitiamo a ricordare vari interventi su questioni specifiche nei siti di Scienza in rete (http://www.scienzainrete.it) e ROAR (http://www.roars.it/online ), i due Convegni che molti di noi hanno promosso nel 2007 (L’Italia oltre il declino, Muzzio editore), e nel 2009 (Memoria e Progetto edizioni GEM) e il volumetto “Contro il declino” (Codice edizioni, 2007).


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