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Turchia, il ritorno del sultanato?

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Gli ultimi avvenimenti in Medio Oriente hanno portato alla ribalta il ruolo della Turchia nella regione. Per più di un decennio questo Paese ha fatto di tutto per entrare a far parte dell’Unione Europea, ma adesso sembra più interessato ad assumere una leadership in Medio Oriente. L’ostilità di alcuni Paesi dell’UE e la crisi economica, hanno portato la Turchia a cambiare opinione; dopo tutto il PIL turco cresce a ritmi cinesi: più 11% nel primo trimestre[1] 2011 e più 8.8% nel secondo[2].

La stessa visita di Erdogan in Egitto e Libia ha dimostrato come la Turchia non sia più vista come una minaccia da questi Paesi: l’ex potere ottomano ritorna, infatti, come un valido alleato. I bagni di folla a cui si è concesso il primo ministro turco erano simili a quelli riservarti a Cameron e Sarkozy, ma avevano un significato diverso. Se i due premier europei erano andati in visita per complimentarsi con il CNT, ma anche per “batter cassa”, Erdogan ha optato per una strategia diversa. Il premier turco ha preferito approfondire le relazioni diplomatiche e presentarsi come il nuovo e principale alleato per i due Paesi nord Africani. Il primo ministro turco si è così assicurato futuri ed importanti rapporti di cooperazione economica ed ha evitato di presentarsi come un Capo di Stato straniero interessato solo agli affari.

Le spese militari e il settore della difesa turco

Nel 2010, le spese militari turche ammontano a 17,5 mld di dollari, 3% in meno rispetto al 2009 e l’11,2% in meno del 2001. L’incidenza sul PIL è crollata dal 3,7%, del 2001, al 2,4% del 2010. Nel 2010, nonostante questi tagli, la Turchia è divenuta il quindicesimo Paese al mondo per spese militari. Nella tabella sottostante vengono riportate le cifre sulle spese militari turche.

 

Anno

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

Spese militari

17.8

18.9

17

15.6

14.7

15.8

13.8

15.2

[16.3]

[15.6]

Fonte: SIPRI 2010, pag. 210 Cifre in mld di dollari a prezzi costanti dal 2009. []= Dato stimato dal SIPRI

 

Negli ultimi anni la Turchia è divenuta un importante attore sullo scenario internazionale, essendo l’ottava economia in Europa e la diciassettesima nel mondo. Dopo il crollo dell’Impero Ottomano e la proclamazione della Repubblica da parte di Kemal Ataturk, i militari hanno assunto il ruolo di guardiani dello Stato, intervenendo ogni qual volta ritenevano che la democrazia secolare turca fosse messa in pericolo. Anche se rimangono importanti per la vita politica turca, i militari hanno oggi una scarsa influenza sul governo. Dal 2001, la loro governance è stata riformata per rispondere alle richieste dell’UE in vista di un futuro ingresso del Paese nell’organizzazione. Le forze armate ora sono sotto il controllo della Grande Assemblea Nazionale (il parlamento turco) che decide il budget per la difesa inclusi tutti i fondi extra bilancio; il consiglio di sicurezza nazionale è stato trasformato da organo di coordinazione con poteri esecutivi quale era, in un corpo consultivo formato anche da membri civili.

Queste riforme, unite al percorso di modifica della costituzione e ai sospetti su un nuovo possibile colpo di stato dei militari, aumentano la tensione tra le forze armate e il Partito di Giustizia e Sviluppo (al governo dal 2002), che vuole ridurre il loro ruolo politico. La politica estera turca, tradizionalmente orientata verso l’Europa e gli USA, è stata oggi indirizzata verso il Medio Oriente e il Caucaso. Il principale dei suoi motti è “zero problemi con i vicini” e, in base a questa affermazione, il Paese stringe accordi sulle politiche di cooperazione economica e di sicurezza con gli Stati confinanti.

Il SIPRI inserisce nel calcolo delle spese militari turche i fondi assegnati alle forze armate (TSK Turk Silahli Kuvvetleri o forze armate turche) e alle forze paramilitari (gendarmeria nazionale e guardia costiera). Le TSK, con approssimativamente 511.000 uomini in servizio e 378.700 riservisti, rappresentano la seconda forza militare della NATO (dopo gli USA). Nel 2010, i fondi allocati tramite il Ministero della Difesa ammontano a 10,6 mld di dollari; anche se la gendarmeria e la guardia costiera svolgono attività prettamente militari dipendono amministrativamente dal Ministero dell’Interno e il loro budget ammonta rispettivamente a 2,5 mld e 128 mln. I fondi per le acquisizioni militari provengono dal budget per le TSK e dal Fondo di Supporto per l’Industria della Difesa (DISF Defence Industry Support Fund). Il DISF è un fondo speciale creato nel 1986 sovvenzionato con le tasse supetrolio, tabacco, alcol e gioco d’azzardo legale. Tra il 1986 ed il 2008 sono stati raccolti 22 mld di dollari, inclusi gli 1,5 mld raccolti nel 2008. Per il 2010, la dotazione del fondo ammonta a 1,5 mld.

Oltre il DISF, il budget militare turco ottiene risorse dalle fondazioni del TSK: fondi rimborsati dal tesoro turco, fondi allocati per i comandi della gendarmeria e della guardia costiera, fondi dall’ufficio del primo Ministro e fondi per le “guardie di villaggio”, unità paramilitari create originariamente per combattere il PKK (il partito dei lavoratori curdi) in Kurdistan. Questi fondi extra bilancio generalmente non sono soggetti ad alcun controllo pubblico. Le ONG turche hanno criticato la scarsa trasparenza sul bilancio militare, invitando nel contempo ad aumentare i dati disponibili, inclusi tutti i fondi extra bilancio.

L’attuale piano di modernizzazione delle TSK[3] suggerisce che il costante calo delle spese militari turche è destinato a non continuare. Nel dicembre del 2010, il parlamento turco ha approvato un aumento del budget per il Ministero della Difesa che include elevati tetti di spesa per le acquisizioni. Questo trend è destinato a continuare nei prossimi anni, la Turchia ha intenzione di acquisire vari sistemi d’arma tra cui aerei da trasporto, navi da guerra (incluse portaerei), UAV (Unmanned Air Vehicles) e veicoli corazzati resistenti alle mine e che garantiscano protezione nelle imboscate.

La politica di difesa e sicurezza turca pone le sue basi su due documenti: il White Paper del 2000 e il documento politico di sicurezza nazionale (NSPD National Security Policy Document). Il primo stabilisce la politica di difesa ufficiale basata sui principi di Ataturk “pace in casa, pace nel mondo”. Il NSPD identifica le minacce nazionali ed estere che la Turchia deve affrontare e delinea le politiche atte a evitarle. Esso deve essere aggiornato ogni 5 anni e nel 2010 è stato rivisto per la prima volta da un team di civili. Anche se il documento non è disponibile per il pubblico, durante l’ultimo aggiornamento è filtrata la notizia che la Grecia, l’Iran, l’Iraq e la Russia sono stati rimossi dalla lista delle minacce più pericolose per la sicurezza turca. A livello nazionale la sfida più importante è rappresentata dal conflitto con il PKK (Partîya Karkerén Kurdîstan o Partito dei Lavoratori del Kurdistan), anche se a partire dal 1999 la sua intensità è andata scemando grazie alla cooperazione con il governo iracheno.

Il recente trend di diminuzione delle spese militari turche può essere spiegato alla luce delle riforme introdotte per “democratizzare” i militari, del cambiamento nella percezione delle minacce alla sicurezza nazionale (in particolare grazie all’adozione della politica di “zero problemi con i vicini”) e della bassa intensità del conflitto con il PKK; inoltre nel maggio del 2010, durante la visita di Erdogan in Grecia, il primo ministro greco e quello turco hanno esplicitamente discusso di una mutua riduzione delle spese militare. Alla luce di queste considerazioni il piano per l’acquisto di nuovi armamenti non è dettato da alcuna logica di difesa nazionale; i nuovi sistemi d’arma serviranno a proiettare la potenza turca nella regione accrescendone lo status di potenza militare.

Conclusioni

In Turchia sono presenti importanti tensioni tra i poteri dello Stato, temporaneamente mitigate dalla prepotente crescita economica. Molti generali hanno preferito accettare il prepensionamento e altri sono stati, addirittura, processati senza che si verificassero disordini. Tutto ciò perchè è difficile rimuovere dal potere il governo fautore del “boom” economico turco. I nuovi quadri delle forze armate sono stati nominati dall’attuale amministrazione e sembrano più accondiscendenti nei confronti della nuova politica stabilita da Erdogan. Bisogna però porsi una domanda: fin quando i militari saranno disposti a veder erodere quel poco potere che rimane loro senza far nulla?



[3] Prevede, tra l’altro, fondi per potenziare l’industria della difesa nazionale attraverso l’aumento dei fondi per la ricerca e sviluppo ed incrementa il budget per l’acquisizione di armi.


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