Che l’economia ecologica debba essere una sfida appare come un non senso. Ma è così. È così perché con insistenza, specialmente nei periodi di vacche magre come questo che il pianeta attraversa, dove più dove meno, dal 2008 economia ed ecologia vengono considerate antitetiche. Per cui dovendo cercare di far quadrare i conti dell’economia, molti sostengono che non si può perder tempo e soldi per pensare all’ecologia, cioè all’ambiente che ci circonda e nel quale viviamo quotidianamente. Salvo poi da qualche parte a ricordare Roosvelt, la crisi del 1929 e il suo new deal; a parlare di green economy e, da parte di qualcuno più coraggioso, a ipotizzare e invitare a riflettere sulla possibilità che interventi di recupero della qualità dell’ambiente e della sicurezza del territorio possono addirittura produrre sviluppo e crescita.
È quello, per esempio, che ci
consente di fare la lettura del bel libro di Mario Salomone –Al verde! La sfida dell’economia ecologica– nella collana di Città della scienza dell’editore
Carocci.
L’agilità del volume, la
ricchezza di riferimenti bibliografici, la ricostruzione storica degli
“eventi”, il suggerimento di possibili risolutive soluzioni, stimolano le
riflessioni necessarie ad una definitiva inversione di rotta. Senza attendere
che le vacche siano grasse, ma, anzi, aiutandole a ingrassare. Per arrivare a
sostenere che la società verde “è il possibile frutto di un processo di
invenzione sociale del futuro, che, come osservava Peccei, è l’invenzione più
importante e più difficile, il frutto di uno sforzo collettivo di ideazione di
nuovi modelli socioeconomici e nuovi stili di vita”.
Proprio con Peccei e le
“sollecitazioni” del Club di Roma e dei rapporti del MIT sui “dilemmi
dell’umanità” cominciò questo tipo di riflessioni. E, come ben ricorda
ricostruendone l’itinerario Mario Salomone, si cominciò a mettere fortemente in
dubbio la possibilità di una crescita infinita in un pianeta “finito” e con
risorse non rinnovabili.
E giustamente Salomone ricorda, l’affermazione di Kenneth E. Boulding secondo il quale “chiunque affermi che una crescita esponenziale può continuare per sempre in un mondo finito è un pazzo o un economista”. Ancora oggi molti economisti considerano l’ambiente una variabile impazzita il cui intervento (inquinamento, rischio eccetera) scombina i conti e le previsioni di spesa e di investimento. E sono ancora troppo pochi quanti, anche su questo versante, sono disposti a considerare questi interventi uno strumento di crescita e sviluppo. Ciò mentre, come rileva Salomone, cresce la tendenza ad adottare stili di vita diversi e si va diffondendo l’adozione di pratiche definibili di “economia verde” nell’agricoltura e nell’industria.
Un’economia dalla quale
potrebbero e dovrebbero scaturire anche nuove occasioni di lavoro.
Secondo Mario Salomone i
settori maggiormente coinvolti potrebbero essere “l’agricoltura, l’allevamento,
la pesca e la piscicoltura, la gestione delle foreste, l’edilizia, il
manifatturiero, i trasporti, i sistemi idrici, la ricerca e sviluppo. l’educazione
e formazione, l’informazione e comunicazione…”.
Sembra tutto, ma c’è ancora altro da coinvolgere perché “opportunità di
transizione verso modelli più ecologici esistono comunque in ogni branca
dell’economia”.
E coinvolgerli costa niente,
mentre i benefici sono enormi: tali da consentire di vincere, una volta per
tutte, la sfida proposta in questo libro la cui lettura sarebbe molto utile
anche per qualcuno di quei pazzi ai quali si riferiva Boulding.