fbpx Anche le api cambiano | Page 4 | Scienza in rete

Anche le api cambiano

Primary tabs

Read time: 1 min

Da tempo si sa che mantenere attivo il cervello è un ottimo rimedio per contrastare l'inevitabile declino dovuto alla vecchiaia. Un recente studio riguardante la comunità delle api, però, indicherebbe come l'andamento di tale declino possa essere influenzato dal tipo di attività che viene svolta.

Al Meeting annuale della Society of Experimental Biology in corso a Glasgow, infatti, un team di ricercatori coordinato da Ricarda Scheiner (Technische Universität Berlin) ha presentato uno studio in cui mostra come, obbligando un gruppo di api anziane a mutare il loro ruolo sociale, queste possano conservare - o addirittura aumentare - le loro capacità di apprendimento.

Solitamente, le api più anziane in uno sciame sono quelle che si occupano della faticosa opera di raccolta ed è noto che, col procedere dell'età, la loro capacità di apprendere diminuisce. Un calo che, al contrario, non si osserva nelle api nutrici che svolgono la loro attività all'interno dell'alveare. Quando però la Scheiner ed il suo team hanno "obbligato" un certo numero di raccoglitrici a trasformarsi in nutrici hanno scoperto che le capacità di apprendimento di quelle api aumentavano, mostrando una rinnovata elasticità cerebrale. Che esista qualche meccanismo analogo anche nella comunità degli umani?

Fonte: Sciencedaily

Autori: 
Sezioni: 
Etologia

prossimo articolo

Restaurare la natura: perché proteggere non basta più

montagne con bosco al tramonto

Proteggere non basta più: per contrastare la perdita di biodiversità e i cambiamenti climatici bisogna ripristinare gli ecosistemi perduti. È la sfida del secolo, ma anche una grande opportunità: ne parliamo con l'ecologo Roberto Danovaro, autore di "Restaurare la natura" (Edizioni Ambiente).

Se le condizioni del pianeta ci preoccupano, è difficile leggere un libro che tratta questi temi senza farsi venire una certa ansia. Perché il punto di partenza è chiaro: la nostra specie ha causato danni enormi, impattando significativamente il 75% delle terre emerse e il 66% dei mari. Nei prossimi 30 anni potremmo perdere da mezzo milione a un milione di specie.