fbpx Claudio Chiarabba sul sisma emiliano | Page 9 | Scienza in rete

Claudio Chiarabba sul sisma emiliano

Primary tabs

Read time: 3 mins

Claudio Chiarabba è ricercatore al Centro Nazionale Terremoti dell'INGV - Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Scienzainrete lo ha intervistato in merito all'evento sismico che ha colpito la Pianura Padana

Già i dati diffusi ieri dall’INGV   consentono di avere un quadro abbastanza chiaro dell’evento. Ci sono nel frattempo informazioni aggiornate?

Sicuramente la quantità di informazioni che riusciamo ad ottenere, in molto rapido, ci ha portato a consocere fin da ieri già quasi tutto. E’ stato possibile individuare la struttura del sisma e il meccanismo focale, si è trattato di un thrust compressivo in direzione est-ovest che segue il versante appennino più esterno, con una profondità tra i 5 e i 10 km. Le faglie interessate sono quelle conosciute in letteratura come dell’Arco di Ferrara, una struttura – lungo la quale si è distribuita principalmente la compressione - che ha delle irregolarità. Questo vuol dire ci possono essere anche delle complessità nelle possibile repliche lungo questo piano.

Oggi, rispetto ai giorni scorsi, si sono appunto registrate delle repliche e anche  una loro riduzione. Tuttavia questo non ci deve far pensare a una diminuzione della sismicità.

Secono le mappe sismiche disponibili l’area colpita è stata raramente colpita da terremoto, anche nel periodo più recente. A cosa si può imputare l’eccezionalità di quest’evento, da un punto di vista geologico?

Sì, negli ultimi 20 anni l’attività sismica è stata scarsa, anche se lo scorso anno tra Ferrara e Rovigo c’è stato un evento di intensità  4.8 significativo. Ma a parte questo anche nei giorni precedenti si è trattato di scosse che era difficile catalogare come una sequenza sismica ben precisa. Gi ultimi eventi fanno parte di una dinamica geologica che non si conosce ancora con precisione. E’ in generale molto difficile poter azzardare delle previsioni per quanto riguarda questi fenomeni.

Sappiamo che c’è una compressione tra la Placca Adriatica e la Catena Appenninica, lungo un fronte sepolto nella pianura padana. Questa compressione non è estremamente veloce con in Giappone o altre parti del mondo. Questo significa che la frequenza con cui si generano terremoti non è paragonabile a quelle zone. Se in Giappone scosse simili avvengono ogni anno o ogni cento anni, in proporzione per un territorio come il nostro possono avvenire ogni mille anni: la loro occorrenza è legata a una probabilità molto più bassa del verificarsi del fenomeno. Quindi per assurdo, per un Paese come l’Italia che si deforma in modo più lento, il verificarsi di un fenomeno è meno comprensibile di una zona in cui è più veloce.

Come si può valutare il bilancio dei danni, in relazione alle caratteristiche del sisma? 

Non si pò dire ancora molto sulla relazione tra questo sisma, quella zona geologica e i danni registrati. Conosciamo in modo dettagliato la situazione dell’Aquila e dell'Abruzzo, ad esempio, ma una mappatura dettagliata della pianura padana ancora non è stata prodotta. I tecnici dell'INGV stanno effettuando in questi giorni le analisi del terreno, ma fin a quel momento rischiano di essere solo delle ipotesi. Certo le caratteristiche geologiche sono diverse e possono influire, prima però bisogna essere sicuri della distribuzione dei danni.

E' possibile stabilire se ci sono zone a maggiore rischio o probabilità di replica nei prossimi giorni?

Per quanto riguarda il fattore rischio, questo dipende strettamente dalle caratteristiche ingegneristiche dei centri abitati, ad esempio, e dei parametri di sicurezza associati. Come INGV lavoriamo principalmente sulla pericolosità dei fenomeni. In senso, in quella zona la probabilità sicuramente non è ancorabassa. Su strutture già lesionate, del resto, anche un evento non grandissimo può produrre problemi. Quando avviene una sequenza sismica, la probabilità che lo sforzo tra le faglie aumenti ha come conseguenza l'aumento di probabilità di sismi conseguenti. Non sono facili considerazioni di carattere quantitativo, ma l’interazione tra le faglie avviene.

Dopo l' acquisizione dati sul terreno da parte dell'Istituto, saremo in grado di diffondere nei prossimi giorni dei report più dettagliati a riguardo.

Autori: 
Sezioni: 
INGV

prossimo articolo

Di latticini, biotecnologie e latte sintetico

La produzione di formaggio è tradizionalmente legata all’allevamento bovino, ma l’uso di batteri geneticamente modificati per produrre caglio ha ridotto in modo significativo la necessità di sacrificare vitelli. Le mucche, però, devono comunque essere ingravidate per la produzione di latte, con conseguente nascita dei vitelli: come si può ovviare? Una risposta è il latte "sintetico" (non propriamente coltivato), che, al di là dei vantaggi etici, ha anche un minor costo ambientale.

Per fare il formaggio ci vuole il latte (e il caglio). Per fare sia il latte che il caglio servono le vacche (e i vitelli). Cioè ci vuole una vitella di razza lattifera, allevata fino a raggiungere l’età riproduttiva, inseminata artificialmente appena possibile con il seme di un toro selezionato e successivamente “forzata”, cioè con periodi brevissimi tra una gravidanza e la successiva e tra una lattazione e l’altra, in modo da produrre più latte possibile per il maggior tempo possibile nell’arco dell’anno.