fbpx Grazie ai quanti primi passi verso il teletrasporto | Page 6 | Scienza in rete

Grazie ai quanti primi passi verso il teletrasporto

Primary tabs

Read time: 4 mins

“Se pensiamo che noi non siamo altro che un insieme di atomi tenuti insieme in modo particolare, allora in linea di principio dovrebbe essere possibile teletrasportarci da un posto all’altro. Nella pratica è estremamente improbabile, ma dire che non potrà mai avvenire è pericoloso: non esistono leggi fondamentali della fisica che lo impediscono.”
A parlare è Ronald Hanson, fisico dell’Università di Delft, in Olanda, che insieme ad alcuni colleghi è riuscito a teletrasportare lo stato di un sistema quantistico per una distanza di 3 metri. (Se vi sembrano pochi, metteteli a confronto con le dimensioni di un atomo...)
Il risultato di Hanson e colleghi, pubblicato in un articolo su Science, è di quelli importanti. Non è la prima volta in assoluto che si effettua il teletrasporto di stati quantistici: nel 2009, un esperimento analogo venne compiuto da un gruppo di ricerca dell’Università del Maryland, negli Stati Uniti. In quell’occasione il teletrasporto “funzionò” una volta per ogni 100 milioni di tentativi. Il gruppo olandese, invece, ci è riuscito con un successo del 100%.

Per capire che cosa hanno fatto Hanson e colleghi, facciamo un passo indietro. Innanzitutto va detto che non siamo in grado di teletrasportare la materia. Quello che si può teletrasportare è l’informazione contenuta nella materia, ovvero gli stati quantistici. Questo è possibile grazie a un fenomeno alquanto bizzarro, che prende il nome di entanglement (letteralmente, “aggrovigliamento”).
Come funziona l’entanglement? Supponete di avere un paio di scarpe: c’è una scarpa destra e una scarpa sinistra. Fin qui tutto bene. Con tutte le luci spente, ne mettete una in soggiorno e una in camera da letto. Andate in soggiorno, accendete la luce, e osservate la scarpa destra. Avete immediatamente un’informazione sulla scarpa in camera da letto: sarà la sinistra.
Le vostre scarpe sono entangled nel senso che la “destrorsità” dell’una si traduce immediatamente nella “sinistrorsità” dell’altra. Nel mondo quantistico le cose sono analoghe, anche se più complicate. Se prendete una delle vostre scarpe, infatti, questa sarà destra o sinistra: tertium non datur. Ma se fosse una scarpa “quantistica” sarebbe sia destra sia sinistra, fintanto che con un’osservazione non si dirima univocamente la questione. Si dice che gli stati delle particelle quantistiche sono sovrapposti.
Ora, prendiamo due particelle quantistiche e rendiamole entangled, proprio come le scarpe. Per esempio, facciamo in modo – non importa come – che se misuriamo come sinistrorso lo spin di una particella, l’altro dovrà risultare destrorso. Secondo il formalismo della meccanica quantistica, entrambe le particelle saranno descritte da un’unica funzione d’onda. È questa proprietà a causare l’entanglement: infatti, se separiamo le particelle per distanze anche notevoli e misuriamo lo spin dell’una, conosciamo istantaneamente lo spin dell’altra: l’informazione si è “teletrasportata”. 

Questo, a grandi linee, è il teletrasporto dello stato quantistico. Ed è quello che hanno fatto Hanson e colleghi.
Il loro sistema quantistico entangled era costituito da una coppia di atomi di azoto, ciascuno con un’aggiunta di due elettroni. Ognuno di questi sistemi si trovava in un cristallo di diamante immerso nell’elio liquido, per mantenere la massima stabilità. Regolando lo spin di uno dei due atomi, l’altro cambiava di conseguenza.
Gli atomi così preparati potevano comunicare quattro stati differenti, ognuno dei quali può essere considerato come un qubit (l’analogo quantistico di un bit). Si capisce quindi che il lavoro del gruppo olandese è un passo avanti verso il computer quantistico.
Anzi, di più. “Questo risultato è il primo passo per una futura internet quantistica”, annuncia Hanson. La principale applicazione del teletrasporto quantistico sta infatti nella possibilità di mettere in comunicazione futuri computer quantistici con una velocità senza pari nell’informatica tradizionale, grazie al fenomeno dell’entanglement.
Ma non è solo una questione di velocità. Il teletrasporto quantistico può essere usato anche per rendere più sicure le comunicazioni. Spiega Hanson: “Usando l’entanglement come canale di comunicazione, le informazioni vengono teletrasportate in modo che nessuno possa intercettarle nel loro percorso”. Il motivo è chiaro: le informazioni teletrasportate quantisticamente non seguono nessun “percorso” nel senso tradizionale del termine.
Il successo dell’esperimento ha spinto i ricercatori olandesi a osare di più. In linea di principio, l’entanglement può essere sfruttato a qualsiasi distanza. Dunque, perché non provare il teletrasporto su divari maggiori? Detto, fatto: all’Università di Delft hanno già pianificato un esperimento analogo per luglio, in cui si tenterà il teletrasporto quantistico su una distanza di ben 1300 metri.
“Credo che funzionerà”, si sbilancia Hanson. “Ma è una sfida enorme, a livello tecnico. C’è un motivo se nessuno l’ha ancora fatto.” Finora, almeno.

Autori: 
Sezioni: 
Indice: 
Fisica

prossimo articolo

Perché ridiamo: capire la risata tra neuroscienze ed etologia

leone marino che si rotola

La risata ha origini antiche e un ruolo complesso, che il neuroscienziato Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi esplorano, tra studi ed esperimenti, nel loro saggio Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale. Per formulare una teoria che, facendo chiarezza sugli errori di partenza dei tentativi passati di spiegare il riso, lo vede al centro della socialità, nostra e di altre specie

Ridere è un comportamento che mettiamo in atto ogni giorno, siano risate “di pancia” o sorrisi più o meno lievi. È anche un comportamento che ne ha attirato, di interesse: da parte di psicologi, linguisti, filosofi, antropologi, tutti a interrogarsi sul ruolo e sulle origini della risata. Ma, avvertono il neuroscienziato Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi fin dalle prime pagine del loro libro, Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale (il Mulino, 2024):