Quattro parole
sulla scuola estiva di Erice, 9-14 luglio
Sono rimasto
colpito dalla vitalità del gruppo francese di La main à la pâte (abbrev.
Lamap). "La mano in pasta", indica eloquentemente il tipo di attività
scientifiche agite oramai dal 50% degli insegnanti di scienze della
primaria francese. Per capire che non si tratta di una associazione di
fornai basta conoscere il nome dell'equivalente e associata iniziativa
svizzera, "pensar avec le mains". L'organizzazione del movimento di
rinnovamento educativo si sta estendendo anche a paesi della comunità
europea (il progetto
SciencEduc,
che riunisce Francia capofila, Ungheria, Estonia, Svezia e Portogallo,
ha avuto i finanziamenti europei per attivare tale scuola
internazionale), ed è chiamato anche in molte aree del mondo, come
riferimento privilegiato, da tutte quelle nazioni che intendono
rifondare o fondare seriamente il sistema educativo con principii
moderni, sperimentati e costruttivisti (es. il sistema educativo Cinese,
con un importante rappresentante presente anche ad Erice, Afghanistan,
Togo, Senegal, Colombia, Cile, Argentina, Brasile, Cambiogia, Egitto,
Malesia, Messico, Marocco, Rep. Ceca). La main à la pâte, fondata nel
1995 per iniziativa di Georges Charpak, nobel per la fisica, è un
referente autorevole anche per le istituzioni di ricerca educativa
aventi esperienza più consolidata, come Hands On negli USA
(rappresentati da Karen Worth ad Erice), ASE - SCIcentre nel Regno Unito
(con Tina Jarvis e Christine Harrison).
L'idea di fondo
che accomunava i 45 presenti (di cui 15 dell'organizzazione) è che i
bambini sono per loro natura molto curiosi e facilmente sensibili a
tutti i fenomeni; essi hanno inoltre una grande capacità di apprendere e
sviluppare abilità di arguire e dedurre. È esattamente quanto
vede ogni
tutor del nostro progetto che entra in classe e interagise con le menti
dei bambini nel supportare l'insegnante in attività scientifiche non
tradizionali. Ragion per cui è di fondamentale importanza che i bambini
entrino in contatto con il mondo delle cose reali, per fare scienza, e
per far sì che siano maggiormente "immunizzati" dalla TV, da internet e
dalle immagini virtuali, che sono tutte fonti di modelli impliciti
fuorvianti della realtà. Le linee guida dell'insegnamento scientifico
con le mani -e la mente- in pasta (il cosiddetto "inquiry") sono queste:
- iniziare con una
domanda
- dare ampio
spazio e tempo all'espressione orale e SCRITTA (con la mano che non è
impastata) sul quaderno di scienze
- condividere le
ipotesi nella classe
- dialogare con
gli studenti per trarre il massimo vantaggio dalle loro domande
- non avere fretta
di stabilire o confermare cosa sia vero, falso, giusto, sbagliato o
incerto (all'atto pratico questa situazione si verifica in modo genuino
solo quando NON si seguono metodiche dettagliate, ma attività di problem
solving e quando, possibilmente, l'insegnante non conosce esattamente
dove si deve andare a parare o la soluzione del problema)
- fare gli
esperimenti proposti dai bambini (se non sono pericolosi)
- favorire la
costituzione di una o più linee di consenso esplicite
- abbozzare
generalizzazioni riguardanti i risultati conclusivi e le conoscenze
acquisite, lasciando però alcune questioni irrisolte e domande senza
dare risposte.
Insomma, la
metodologia basata sull''inquiry consiste in un processo APERTO avente
l'obiettivo primario di favorire nei bambini l'idea che la loro mente
sia uno strumento molto efficace per risolvere problemi, influenzare il
mondo reale, il mondo delle idee e per entrare in relazione con gli
altri; con l'obiettivo secondario di comprendere come operano la scienza
e gli scienziati e gli uomini razionali e ragionevoli e con l'obiettivo
terziario di apprendere alcuni contenuti disciplinari.
Edith Saltiel è
uno dei fondatori di Lamap, impegnata anche nel sistema educativo
afgano, e svolge tutte queste attività di organizzazione e
disseminazione con grande dinamismo, pur essendo in pensione. Ho avuto
con lei una piacevole discussione a pranzo, in uno dei ristoranti tipici
di Erice. Devo premettere che nella visione ortodossa di Lamap c'è una
grande prudenza rispetto alla possibilità di generalizzazione e
utilizzazione di modelli da parte dei bambini della primaria. Quando le
mostrai una foto dei bambini intenti a ricercare i contatti nel gioco
del circuito (in cui l'obiettivo è quello di ricostruire un modello
della rete di collegamenti nascosti in base ai risultati sperimentali)
lei mi disse di avere esperienza didattica sulla costruzione del modello
di circolazione della corrente elettrica con esperimenti similari. Ho
obiettato che mi sembrava improponibile una cosa simile, poiché poi i
bambini non avrebbero avuto alcuna possibilità di verificare il modello
da essi immaginato, dato che si tratta di un modello microscopico, con
cariche elettriche invisibili e dato che sarebbe impossibile "vedere" in
qualche modo la direzione effettiva del flusso di elettricità lungo un
filo. Lei mi ha risposto immediatamente che non era d'accordo con me e
che mi avrebbe dimostrato perché sosteneva il contrario. La sua
esperienza si riferiva alle semplici pile piatte dotate di due lamelle
rivolte dallo stesso lato e alla costruzione di un circuito trovando il
modo di mettere in contatto e far accendere la lampadina. Una variante
anche da noi introdotta da Luciano Mancinelli, per facilitare il
successo dell'esperienza in seconda elementare. Lungi da noi l'idea di
chiedere ai bambini di immaginare un modello di come si muove
l'elettricità. Invece Edith mi spiega, innanzitutto, che se chiediamo ai
bambini di disegnare delle frecce per indicare come si muove
l'elettricità nella lampadina, quando questa è accesa, la quasi totalità
di essi disegna delle frecce che escono da ciascun contatto della
batteria e che si dirigono simmetricamente verso la lampadina
1.
Come fare per destabilizzare questo modello? Edith descrive la
contromossa che è stata attuata in questi casi: si forniscono due
lampadine, anziché una sola, e un piccolo filo; collegando le due
lampadine in serie, attraverso il filo, ambedue si accendono, in
contraddizione con quanto il modello precedente lascerebbe supporre.
L'elettricità non potrebbe passare direttamente dalla batteria alla
lampadina da entrambi i fili, né il filo di collegamento potrebbe
fungere da sorgente di elettricità per le due lampadine. È necessario
quindi fare un passo indietro e cambiare modello2.
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Fig.1
Circuito ad una lampadina e modello spontaneo del movimento
dell'elettricità |
Fig.2 Circuito a
due lampadine e crisi del modello spontaneo |
Questa "lezione",
oltre a rappresentare un importante arricchimento, ci porta a delle
generalizzazioni e a delle conclusioni.
In generale si può
dire che
1. ogni fenomeno
può essere modellizzato dai bambini, che lo facciano implicitamente o
esplicitamente; c'è solo una differenza di sfumatura tra i modelli
cosiddetti "ingenui" e quelli cosidetti "scientifici". In entrambi i
casi si possono progettare esperienze, mettere alla prova le ipotesi,
fare modelli migliori;
2. un approccio è
costruttivista e quindi anche rispettoso dell'intelligenza dei bambini,
quando non si presentano spiegazioni preconfezionate. In pratica
l'esatto contrario delle presente
proposta
di cui mi sfuggono
gli elementi innovativi. L'idea dei "bignami" scientifico, per far
sentire più confortevoli le maestre con la conoscenza delle
interpretazioni ufficiali dei fenomeni, l'idea delle "lezioni" alle
maestre per fornire dei modelli semplificati, di tali interpretazioni,
già pronti da trasmettere ai bambini per essere memorizzati, fanno solo
allontanare le maestre dalla scienza come
processo di
costruzione della conoscenza. Specialmente se tale attività non è
minimamente supportata dalla presenza di tutor esperti, che mostrino
concretamente e in classe la differenza esistente tra il conoscere e
trasmettere delle interpretazioni scientifiche e l'aiutare i bambini a
trovare
le proprie.
3. Ciò di cui c'è
effettivo bisogno, in conclusione, non è tanto del bagaglio delle
conoscenze scientifiche minime, come proposto da "le parole della
scienza" e dalla maggioranza dei percorsi di formazione pre-servizio
italiani, ma di un repertorio, dinamico e facilmente accessibile, di
"casi-esperienza" documentati, come quello descrittomi da Edith, che
possano essere utilizzati per progettare un'attività o un'unità, che
aiutino a rispondano a domande del tipo "come comportarsi se...". Il
repertorio dei "controesempi" da fare per destabilizzare le conoscenze
spontanee e le misconcezioni dei bambini, senza tirar fuori il sapere
accademico e le nozioni disciplinari, è di gran lunga più determinante,
per il successo della didattica, della conoscenza dei "perché" dati
dalla scienza ufficiale più o meno adattata. Purtroppo queste conoscenze
non si reperiscono né nei "bignami", né nei testi scientifici avanzati o
da simili "elenchi" delle
conclusioni
della scienza.
Sono "soluzioni" che possono emergere all'interno di vere e aperte
comunità di pratiche.
Vere quando
le pratiche sono sperimentate a tutto tondo e da tutte le unità che ne
fanno parte, aperte perché se ne discute dentro e fuori della comunità,
facendone oggetto di reale e trasparente confronto.
È incoraggiante
sapere che Lamap e anche altri gruppi, nei workshop, concordano con
questa strategia.
Un'altra
conclusione, derivante da tutta l'esperienza di Erice e dal confronto
con i colleghi provenienti dalle altre parti del mondo, è che le
iniziative migliori sono quelle nate, come per Lamap, dalla confluenza
della comunità scientifica, cooptata e responsabilizzata per mettere le
mani direttamente nelle scelte educative nazionali, e dalla comunità
educativa del paese, indicando linee essenziali che tutti devono
seguire. Da noi, mi pare, si sta cercando ancora di affrontare il
problema educativo dall'interno della scuola, un mondo autoreferenziale
in cui il 99% degli insegnanti e dei dirigenti sono sì sono esperti di
studio, ma non hanno mai affrontato in vita loro situazioni di autentico
problem solving scientifico e in fondo pensano che sapere sia più
rilevante che saper investigare, anche nell'era delle tecnologie. Questa
spaccatura è importante se si comprende, come Lamap e noi del gruppo di
scienzainrete, che i bambini
possono pensare e agire come scienziati.
Invece a questo
incontro, di rilevanza europea, non si è presentato nessun italiano in
veste ufficiale, né dal mondo scientifico, né da quello scolastico.
1. La mia
opinione è che, probabilmente, il modello risponde a criteri di
semplicità, di simmetria e alla conoscenza comune che le batterie si
scaricano, per cui qualcosa deve fuoriuscire da esse per essere
utilizzato, in questo caso, dalla lampadina. A un esame più accurato
delle evidenze, questo modello non spiega però perché occorrono
due contatti per far funzionare
una lampadina o perché tutte le batterie hanno
due poli.
2. Non è neppure scontato, anzi fa parte della nostra idea di cosa sia
l'educazione scientifica, che si ricerchi
uno stesso modello capace di
"funzionare" sia nel caso di una che di due lampadine. È un
atteggiamento da superare, con i progetti di alfabetizzazione
scientifica, quello episodico e puramente immaginativo, di trovare
spiegazioni ad hoc per ogni evidenza. L'esempio risponde al modello
educativo della "didattica per concetti", che in tre "blocchi" passa
attraverso a) una fase di esplorazione in base al senso comune; b) una
fase critica in cui si mettono in discussione le conoscenze spontanee;
c) blocco di definizione sistematica dei concetti correlati. Esso è
inoltre coerente con il modello dei cicli di apprendimento di Karplus:
esplorazione, invenzione di nuove idee, applicazione.
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