Angelo Genocchi (Piacenza, 1817 – Torino, 1889) è stato un grande matematico italiano. Fu un autodidatta, perché la sua professione originaria era quella di docente di Istituzioni di diritto romano. Ma introdusse in Italia lo studio della teoria dei numeri.
Nato da un agiato possidente, Carlo, e da Carolina Locatelli, fin da giovane Angelo Genocchi si distingue negli studi, in particolare negli studi matematici. Passa ogni giorno molte ore in biblioteca a studiare trattati di algebra e geometria. Ma, quando si tratta di iscriversi all’università, sceglie giurisprudenza. Anche perché è l’unica facoltà esistente a Piacenza. Si laurea nel 1838. Inizia a esercitare da avvocato e nel 1845 diventa professore di diritto.
Nel 1848 partecipa ai moti che coinvolgono anche Piacenza ed entra a far parte del governo rivoluzionario della città, cui partecipa in maniera molto attiva, appreso che gli austriaci stanno per entrare in città, preferisce l’esilio volontario e si trasferisce a Torino. Ed è nel capoluogo sabaudo che Angelo Genocchi, lasciata da parte la giurisprudenza, inizia a lavorare in maniera sempre più intensa alla matematica, producendo un’ingente quantità di lavori in geometria, analisi, teoria dei numeri e storia della matematica.
Il primo lavoro pubblicato è del 1851 e riguarda la teoria dei numeri, materia in rapido sviluppo in Europa ma poco frequentata in Italia e nella stessa Torino. In pochi anni Genocchi produce una quarantina di articoli, accettati dalle principali riviste matematiche in Italia e all’estero. Si tratta di articoli in cui affronta temi come la teoria dei resti quadratici, la teoria delle equazioni diofantee, i metodi di approssimazione collegati alle serie asintotiche con cui entra nel vivo della ricerca sulla teoria dei numeri più avanzata.
Si è ormai conquistato un grande prestigio e viene invitato dai matematici dell’ateneo torinese a partecipare a un concorso a cattedre. Ne risulta vincitore e così, dal 1857, va a occupare prima come reggente e poi come titolare la cattedra di algebra e geometria complementare. Successivamente insegna analisi superiore e poi ancora algebra complementare e geometria analitica, prima di passare in maniera definitiva all’insegnamento di analisi infinitesimale. Tra i suoi allievi c’è Giuseppe Peano, che presto diventa suo assistente. Nel 1884 viene pubblicato un trattato sul "Calcolo differenziale e principii di calcolo integrale con aggiunte dal dr. G. Peano". Il testo esce a nome di Genocchi con le aggiunte di Peano. Si tratta delle elaborazioni a opera di Peano delle lezioni tenute da Genocchi. Ma il piacentino non ne riconosce la paternità. Ma il testo è importante e resta famoso come "Trattato Genocchi-Peano". In tutto questo periodo Angelo Genocchi continua la sua ricerca matematica, spaziando come al solito nei settori più diversi, ma concentrandosi soprattutto sulla teoria dei numeri.
Intanto si occupa, sempre con lavori di grande qualità, di geometrie non euclidee e dei tratti comuni tra i fondamenti della meccanica e i fondamenti della geometria. In questo caso fa riferimento ad Archimede, iniziando a interessarsi anche di storia della matematica.
Col suo lavoro di «matematico risorgimentale» ha dato un grande contributo al grande sviluppo della materia in Italia nella seconda parte dell’Ottocento. Sviluppo che porterà poco più tardi l’Italia a diventare, con Germania e Francia, la terza potenza matematica mondiale.
Nel 1862 diventa socio nazionale dell’Accademia delle Scienze di Torino, nel 1875 è membro dell’Accademia dei Lincei, nel 1886 diventa Senatore del Regno. Muore a Torino il 7 marzo 1889.
Non adottò i metodi di Riemann e di Weierstrass, piuttosto lavorò nella tradizione di Euler, Lagrange, Gauss e Cauchy. Il suo contributo principale è stato nella teoria dei numeri, di cui fu il principale investigatore in Italia. […] La qualità che emersero di più in Genocchi come docente furono la capacità d’insegnare e il rigore […] Fu scrupolosamente puntuale e giustamente esigente con gli studenti […] Le sue spiegazioni erano calme, senza ripetizioni, aspirava alla rigorosa dimostrazione dei concetti fondamentali e studiava per giungere a esposizioni semplici e a esposizioni chiare (Hubert C. Kennedy)
La lapide commemorativa a Piacenza nella via che prende il suo nome