Buon venerdì,
questa settimana parliamo di ingorghi nell'orbita bassa della Terra,
di ragionamento in stato di incertezza, di pre-print,
della moderazione dei contenuti sui social network, dell'approvazione
del primo farmaco contro la COVID-19 e dell'acqua trovata sulla Luna.
L'argomento che approfondiamo oggi è la consulenza scientifica
per il Parlamento, analizzando il caso della tecnologia 5G. Ne abbiamo
parlato insieme a quattro esperti in
un dibattito organizzato per il Festival della Scienza di Genova.
Buona lettura e al prossimo venerdì (per segnalare questa newsletter
agli amici
ecco il link per l'iscrizione)
SEI PEZZI BELLI
1 Internet alla conquista dello spazio
Tra il 2010 e il 2019 sono stati lanciati in orbita ogni anno
181 piccoli satelliti in media.
Questo numero è destinato ad aumentare notevolmente fino a raggiungere
1000 satelliti all'anno nel 2029. È l'effetto degli sviluppi
tecnologici che hanno ridotto enormemente i costi per costruire e lanciare
questi dispositivi, permettendo così a compagnie private come Amazon e SpaceX
di avviare programmi di sviluppo di vere e proprie costellazioni di satelliti
per rispondere alla crescente domanda di connessione veloce a Internet
anche nelle zone più remote del pianeta. L'orbita terrestre bassa, tra i 300
e 1000 chilometri di altitudine, sembrerà presto un autostrada nell'ora di punta,
ponendo non pochi problemi ai programmi di esplorazione spaziale.
Dall'inizio dell'anno la Stazione Spaziale Internazionale ha dovuto
effettuare già tre manovre di riposizionamento per evitare collisioni
[Le Monde €]
2 Carlo Rovelli ci ricorda quanto è importante saper ragionare in stato di incertezza
Ogni giorni giornali, radio e televisioni elencano diligentemente
il numero di nuove infezioni da SARS-CoV-2, numero di decessi,
tassi di variazione rispetto alla settimana precedente, tassi di mortalità e valore
dell'ormai arcinoto parametro R. Ma molti d questi numeri hanno un valore
statistico, servono cioè a riassumere la nostra conoscenza incerta dell'epidemia.
Avere un minimo di alfabetizzazione statistica ci permetterebbe di
usare correttamente queste informazioni per valutare i rischi dei nostri
comportamenti e decidere di conseguenza. E anche, forse, a non arrabbiarci
per i cambi di scenario apparentemente inaspettati, accusando di
scarsa competenza gli scienziati. Ricordiamocene nel progettare
i programmi scolastici, dalle scuole primarie fino al liceo
[The Guardian]
3 Una lezione della pandemia: la pubblicazione dei pre-print dovrebbe
diventare il nuovo standard per comunicare i risultati della ricerca
Gli archivi aperti bioRxiv e medRxiv che pubblicano pre-print,
articoli scientifici non ancora sottoposti al tradizionale processo
di peer review,
contano a oggi circa 10 000 studi sul nuovo SARS-CoV-2.
I ricercatori hanno condiviso i loro risultati prima che venissero
pubblicati sulle riviste più tradizionali, perché durante l'emergenza
ogni giorno conta. Se in matematica e fisica è abitudine da tempo pubblicare
il proprio lavoro prima della pubblicazione, in biologia e medicina
è una novità. A chi si preoccupa per il rischio di diffusione
di informazioni false o poco significative, bisogna ricordare che
questi archivi aperti hanno dei filtri in ingresso. Inoltre, la revisione
aperta a tutta la comunità scientifica e non a un gruppo di due o tre
revisori coperti da anonimato può garantire uno scrutinio forse più
accurato
[Undark]
4 A pochi giorni dalle elezioni americane, i repubblicani strumentalizzano le audizioni delle big tech sul problema della moderazione dei contenuti online Il 28 ottobre il Senato degli Stati Uniti ha interrogato
gli amministratori delegati di Facebook, Google e Twitter riguardo
alle strategie adottate nella moderazione dei contenuti.
L'audizione avrebbe dovuto affrontare la sempre più necessaria
riforma della legge, approvata nel 1996, che stabilisce che i provider di servizi internet
non sono responsabili dei contenuti che gli utenti pubblicano attraverso
le loro piattaforme. Tuttavia, i Senatori repubblicani hanno sfruttato
l'occasione per incalzare i tre, sostenendo che le loro aziende
hanno censurato più spesso i contenuti dei conservatori rispetto
a quelli dei progressisti. Queste affermazioni sono smentite dai fatti
[Vox]
5 La FDA approva il primo farmaco per la cura della COVID-19: è il remdesivir che negli studi clinici ha mostrato efficacia molto limitata o nulla
Il 22 ottobre la Food and Drug Administration statunitense ha
approvato il primo farmaco per la cura della COVID-19 in tutti i pazienti,
ospedalizzati e non. Si tratta
del remdesivir, un antivirale prodotto dall'azienda farmaceutica Gilead
Sciences. Gli scienziati hanno accolto con stupore la decisione
visto che gli studi clinici realizzati finora hanno dimostrato un'efficacia molto
limitata nel ridurre i tempi di recupero dalla malattia. Il più grande fra questi
è Solidarity, condotto dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, che il 15
ottobre ha annunciato di non aver osservato alcuna riduzione nei tempi
di guarigione nei pazienti curati con remdesivir
[Science]
6 La NASA ha rilevato la presenza di acqua in zone illuminate della superficie lunare
Dopo aver creato attesa dichiarando venerdì scorso di aver fatto una
eccitante scoperta sulla Luna, lunedì 26 ottobre la NASA ha annunciato
di aver trovato tracce di acqua ghiacciata su porzioni della superficie
lunare illuminate dal sole. La presenza di acqua sulla Luna non è una novità,
ma finora si riteneva fosse limitata ad alcune zone ai poli e intrappolata
all'interno di minerali. Per la prima volta gli scienziati sono stati in grado
di osservare molecole di H2O in zone illuminate e a latitudini più calde.
Questa scoperta potrebbe aprire nuovi scenari alle missioni umane
sulla superficie del nostro satellite, ma per ora si tratta solo di speculazioni
perché non sappiamo quanta acqua sia presente e soprattutto
non abbiamo ancora la tecnologia necessaria eventualmente ad estrarla
[The Atlantic]
LA CONSULENZA SCIENTIFICA AL PARLAMENTO: IL CASO DEL 5G
Non potrebbe apparire più urgente che in questo momento storico
la necessità di strutture e processi che garantiscano l'accesso dei
politici alla conoscenza scientifica e tecnologica, soprattutto
quando questa è in evoluzione e presenta aspetti su cui non
c'è consenso unanime fra gli esperti.
Il caso della tecnologia 5G è particolarmente ricco di spunti
e ci ha permesso di confrontare l'esperienza del Parlamento italiano
con quella del Parlamento britannico, grazie alla testimonianza
di Lorna Christie, consulente presso il Parliamentary Office
for Science and Technology (POST), l'ufficio di consulenza scientifica
al servizio del Parlamento britannico da oltre 30 anni, e autrice del
documento pubblicato dal POST sul 5G.
Il dibattito ha inoltre beneficiato del contributo di tre scienziati,
Alessandro Armando dell'Università di Genova, Angela Benedetti dello
European Center for Medium-Range Weather Forecasts e Alessandro Vittorio
Polichetti dell'Istituto Superiore di Sanità, che ci hanno permesso di
capire la complessità di alcuni rischi posti dallo sviluppo della nuova
generazione di comunicazioni mobili e dunque di apprezzare la portata
della sfida normativa e politica che i Parlamenti di tutto il mondo
stanno affrontando.
L'interesse verso il tema della consulenza scientifica nasce all'interno
dell'iniziativa
'Scienza in Parlamento', lanciata da un gruppo di
ricercatori (giovani italiani che lavorano oggi all'estero) e
giornalisti scientifici che chiede l'istituzione di un ufficio di
consulenza scientifica al servizio del Parlamento italiano.
L'iniziativa, nata all'inizio di aprile del 2019
con una petizione online che ha ottenuto un discreto seguito
soprattutto nell'accademia, ha stabilito un dialogo con
il Parlamento, in particolare con il vicepresidente della Camera
dei deputati Ettore Rosato e i direttori dei servizi studi di Camera e Senato.
A giugno del 2019, durante un workshop organizzato
alla LUISS di Roma, abbiamo confrontato il sistema italiano
con quello di altri Paesi europei (la sintesi dell'incontro
è stata fatta da Alessandro Allegra intervistato dalla trasmissione
Radio 3 scienza).
Perché il 5G?
Il 5G è la nuova generazione di comunicazioni mobili che sfrutterà
onde elettromagnetiche di frequenze in parte diverse rispetto a quelle
delle generazioni precedenti. In particolare potrà beneficiare di ampiezze
di banda molto più grandi rispetto al passato, soprattutto nelle fasi
più avanzate del suo sviluppo. Questo garantirà performance inedite in
termini di velocità di connessione, latenza e capacità di
servire un enorme numero di dispositivi concentrati in piccole estensioni
di territorio (per gli aspetti tecnici si veda la newsletter del
finesettimana #3).
La realizzazione della rete 5G è una sfida tecnologica notevole.
Richiede infatti la costruzione di nuove infrastrutture, da una parte
l’installazione
di nuove stazioni radio e nuove antenne, dall'altra l’ammodernamento
della rete che connette queste antenne tra loro. Inoltre, pone problemi
nuovi sulla gestione dello spettro delle frequenze.
Ma è una sfida che vale la pena affrontare perché offre opportunità
di sviluppo senza precedenti in numerosi settori.
Nella prima fase l’applicazione principale sarà la comunicazione
mobile a banda ultra larga, successivamente le applicazioni riguarderanno:
i trasporti (auto a guida autonoma o assistita, monitoraggio della sicurezza
stradale),
la salute (telemedicina, ambulanze connesse, chirurgia da remoto),
la manifattura (integrazione nella catena di montaggio di componenti autonome mantenendo
elevati standard di sicurezza), la gestione delle reti di energia e
tanto altro ancora.
Insieme alle opportunità vengono i rischi che i
legislatori devono conoscere e imparare a gestire.
Come si è mosso il Parlamento italiano?
La Commissione IX trasporti, poste e telecomunicazioni
della Camera dei Deputati ha condotto
un’indagine conoscitiva sulla transizione verso
il 5G e la gestione dei big data cominciata nel settembre del 2018
e conclusasi a luglio di quest’anno con la presentazione del
documento conclusivo.
Alcune pagine del documento approvato a luglio 2020 dalla Commissione IX della
Camera dei Deputati a conclusione dell'indagine conoscitiva su
5G e big data.
Sono state tenute 26 sedute durante le quali
hanno testimoniato 50 esperti appartenenti a diverse realtà:
5 rappresentanti delle istituzioni (Ministero dello Sviluppo Economico,
Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza e Comitato Interministeriale
per la Sicurezza della Repubblica che fanno capo alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri, la Polizia Postale, l'Agenzia per la Garanzia delle Comunicazioni, l'Agenzia per la Concorrenza
del Mercato, l'Agenzia per l'Italia Digitale),
14 ricercatori di università e centri di ricerca pubblici,
4 rappresentanti di associazioni come Legambiente o l'Associazione
medici per l'ambiente, 19 rappresentanti degli operatori
di telefonia mobile e delle aziende coinvolte nella
costruzione dell'infrastruttura in fibra ottica o nella fornitura
di componenti hardware per la rete core e di accesso,
2 rappresentanti delle aziende di social networking e 3 operatori televisivi.
Questo rende l'idea dello sforzo che questa indagine ha significato
in termini di tempo e risorse.
Dopo aver fatto una panoramica delle opportunità di sviluppo del 5G,
il documento si concentra su due argomenti.
Il primo sono le strategie di mercato che gli operatori del
settore delle telecomunicazioni stanno adottando per costruire
l'infrastruttura di rete e gli ostacoli che stanno incontrando.
Ad esempio viene discusso il problema della copertura delle cosiddette
aree a fallimento di mercato, principalmente aree rurali,
in cui molto probabilmente la domanda di servizi di connessione ad alta velocità
non ricompenserà gli operatori dei loro investimenti.
Per favorire lo sviluppo della rete 5G in queste zone del Paese,
che allo stato attuale non sono raggiunte né dalla rete in fibra ottica
né dal 4G, lo Stato ha previsto una serie di incentivi sia per
Open Fiber, che si occuperà di estendere la rete in fibra, sia
per gli operatori di telefonia mobile che hanno acquisito i primi
lotti di frequenze 5G all'asta organizzata dal Ministero dello Sviluppo
Economico. Non è chiaro, però, quanto questi strumenti saranno efficaci.
Il secondo argomento ha riguardato il quadro normativo
che aiuterà lo Stato a governare la transizione verso questa nuova tecnologia.
Gli operatori telefonici hanno lamentato un'eccessiva complessità
delle procedure burocratiche necessarie per ottenere i permessi di installazione
dei nuovi apparati. La legge in materia spesso richiede di dialogare con una
molteplicità di soggetti istituzionali e amministrazioni locali che non sempre hanno posizioni concordanti.
Anche le norme sui limiti di esposizione ai campi elettromagnetici
sono stati indicati da parte degli operatori come ostacoli allo sviluppo del 5G.
Come ci ha spiegato Alessandro Polichetti, primo ricercatore all'Istituto Superiore di Sanità
dove si occupa degli effetti delle radiazioni non ionizzanti sui sistemi biologici
e tra gli esperti ascoltati sul tema dei rischi per la salute durante l'indagine conoscitiva,
l'Italia adotta dal 1998 norme più severe rispetto al resto dei Paesi europei.
I limiti di esposizione alle radiazioni
elettromagnetiche nell'intervallo di frequenze che va dai 100 kilohertz
fino ai 100 gigahertz sono fissati a 6 V/m. Questo valore è stato ottenuto
applicando un fattore correttivo
ai valori di sicurezza stabiliti dalla International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection
(ICNIRP) a partire da un'analisi dagli effetti di breve termine dei campi elettromagnetici
sulla salute umana (effetti di riscaldamento). I valori di sicurezza di ICNIRP
sono più alti dei limiti italiani e variabili con la frequenza (da 20 V/m fino a 60 V/m),
ma l'Italia aderendo al principio di precauzione ha deciso di adottare
soglie più basse.
Per quanto riguarda gli effetti di lungo termine,
in particolare la cancerogenicità dei campi a radiofrequenza, non
esistono prove scientifiche, ci ha ricordato Polichetti, ma,
sempre in linea con il principio di precauzione l'agenzia europea
per la ricerca sul cancro (IARC) li ha classificati come possibili cancerogeni
nella categoria 2B.
Un
parere simile
è stato espresso dallo Scientific Committee on Emerging and Newly
Identified Health Risks (SCENIHR) della Commissione Europea nel 2015.
Durante l'audizione i rappresentanti di Legambiente, l'Associazione
dei medici per l'ambiente e l'Istituto Ramazzini hanno sottolineato
la necessità di proseguire la ricerca sugli effetti di lungo termine
dei campi elettromagnetici, anche alla luce dei risultati del
National Toxicology Program statunitense (e di uno studio dell'Istituto Ramazzini stesso)
che hanno trovato segnali contrastanti
(anche se nessuno statisticamente significativo, su questo si veda la newsletter del
finesettimana #3).
Hanno ribadito però che i limiti imposti in Italia non dovrebbero in
nessun caso essere rivisti al rialzo.
Su questo argomento l'Organizzazione Mondiale della Sanità porta avanti
l'International EMF Project
che ha come obiettivo quello di condurre delle analisi periodiche
delle evidenze scientifiche sugli effetti sulla salute e sull'ambiente
dei campi elettromagnetici con frequenze tra 0 e 300 gigahertz, di
incoraggiare di concerto con le diverse agenzie di finanziamento della ricerca
programmi mirati ad approfondire gli aspetti finora meno esplorati e, infine,
di favorire l'armonizzazione degli standard di protezione a livello internazionale.
L'altro tema su cui si concentrano le norme che influiranno sullo sviluppo del
5G è quello della cybersicurezza, che è stato ampiamente affrontato durante +
l'indagine della Commissione. Alessandro Armando, professore in Sistemi
di elaborazione delle informazioni all'Università di Genova e vicedirettore
del Laboratorio Nazionale sulla Cybersicurezza all'interno del Consorzio
Interuniversitario Nazionale per l'Informatica (CINI), ci ha
spiegato che non sappiamo ancora prevedere che tipo di vulnerabilità
avrà la rete 5G, ma sappiamo che alcune sue caratteristiche la esporranno
particolarmente ad attacchi e intrusioni esterne.
La maggiore dipendenza dal
software nella gestione della rete, la virtualizzazione della sua architettura
e il maggior numero di dispositivi connessi (dunque il moltiplicarsi
dei punti di accesso) sono tutte novità introdotte nella rete 5G rispetto
alle precedenti generazioni e apriranno il campo a tutta una serie di
problemi nuovi dal punto di vista della sicurezza.
Anche la filiera di approvvigionamento dell'infrastruttura di rete
giocherà un ruolo importante. L'affidabilità degli attori che
partecipano alla filiera e degli operatori che gestiscono la rete
saranno fattori determinanti per la sicurezza dei servizi che
verranno offerti. In questo senso, ha sottolineato Armando,
bene ha fatto il nostro Governo a dotarsi di strumenti normativi che
gli permetteranno di accertare la sicurezza dei prodotti acquisiti e dei servizi
utilizzati. Si riferisce in particolare alla legge del 2019
che ha istituito il
perimetro di sicurezza cibernetica nazionale.
La legge stabilisce, tra le altre cose, un ruolo di primo piano
per il Centro di Valutazione e Certificazione Nazionale (CVCN)
che si occuperà di validare prodotti e servizi usati nelle infrastrutture
di interesse nazionale. Proprio in questi mesi è in corso il reclutamento
del personale che farà parte del CVCN e Armando ha sottolineato come
sia fondamentale che lo Stato diventi competitivo con il settore privato
sul mercato del lavoro per assicurarsi di assumere persone con
competenze di primissimo livello, ed evitare che i controllati possano
ingannare i controllori semplicemente perché hanno professionisti più competenti
in materia. La necessità di investire in competenze
è stata in effetti sollevata anche da parte
delle istituzioni ascoltate durante l'indagine della Camera.
Armando ci ha descritto lo sforzo dell'accademia italiana
che negli ultimi anni ha attivato numerosi corsi di laurea e di dottorato
nell'ambito della cybersicurezza. È fondamentale però,
ha aggiunto Armando, che la formazione continui anche fuori dall'università
perché il campo è estremamente dinamico e richiede un costante e puntuale
aggiornamento.
Un aspetto critico, che non è stato considerato dal Parlamento italiano
e da nessun altro parlamento finora, è quello del rischio di interferenza
delle comunicazioni 5G con i satelliti meteorologici. Ce ne ha dato conto
Angela Benedetti, meteorologa dello European Center for Medium-Range
Weather Forecasts (ECMWF) dove si occupa dei sistemi di acquisizione di dati
per le previsioni e il monitoraggio della composizione atmosferica, in particolare
degli aerosol. Le previsioni meteorologiche beneficiano di un
ricco e complesso sistema di dati raccolti da diversi tipi di dispositivi,
alcuni collocati sulla superficie terrestre, altri a bordo di aerei o
navi, altri ancora ospitati da satelliti geostazionari o orbitanti.
Nella banda a 24 GHz, che sarà impiegata nella fase di sviluppo più avanzata
del 5G, operano una serie di strumenti a bordo di satelliti
in orbita polare che registrano in particolare la concentrazione di
vapore acqueo presente in atmosfera. Si tratta di sensori passivi
in grado di rilevare la radiazione solare riflessa dalla terra
dopo aver attraversato l'atmosfera. Osservando il profilo di assorbimento
nelle microonde, è possibile misurare la quantità
di vapore acqueo, anidride carbonica e ozono presenti nella nostra atmosfera.
I dati raccolti da questi sensori sono particolarmente importanti
per l'accuratezza delle previsioni meteo, come ha dimostrato il caso
dell'uragano Sandy, che ha colpito la costa est degli Stati Uniti
alla fine di ottobre del 2012. In quell'occasione proprio la disponibilità
dei dati raccolti da questi sensori satellitari ha permesso allo ECMWF
di prevedere correttamente il percorso dell'uragano con 4 giorni di anticipo
rispetto alla NOAA, la National Oceanic and Atmospheric Administration
responsabile tra le altre cose del servizio meteo degli Stati Uniti.
Sandy ha causato danni stimati in 68,7 miliardi di dollari
e ha provocato la morte di 223 persone. La possibilità
di prevedere con anticipo eventi meteo estremi come questo può
fare la differenza, permettendo ai governi di proteggere al meglio la popolazione.
Cosa succederebbe quindi se le comunicazioni 5G interferissero con
il lavoro di questi satelliti?
Un workshop
organizzato dallo ECMWF nel 2018 ha mostrato che
tale interferenza potrebbe causare una perdita di accuratezza del 40-50%,
sottolineando però che questa stima dipende molto dal profilo atmosferico
considerato. Le preoccupazioni dei meteorologi sono state
rappresentate dalla World Meteorological Organization (WMO) durante
la World Radiocommunication Conference del 2019, dove si è discusso
degli standard sul 5G, chiedendo di stabilire limiti stringenti alle emissioni
fuori banda delle antenne 5G che trasmetteranno intorno a
24 GHz. La International Telecommunication Union,
che organizza la conferenza,
ha assunto una posizione di mediazione tra le richieste della WMO
e quelle della delegazione USA, influenzate dall'industria, stabilendo
un limite di -33 decibel watts fino a settembre 2027, e di -39 decibel watts
successivamente. È fondamentale, ha concluso Benedetti, che
i meteorologi producano studi coordinati e approfonditi sugli effetti
di interferenza che questi limiti genererebbero per poter proteggere
nell'arena internazionale l'accuratezza delle previsioni meteorologiche.
Tornando all'indagine della Camera, vale la pena fare un commento
sullo stile del documento, che potremmo definire narrativo.
Si tratta del resoconto delle audizioni
ed è sostanzialmente un collage delle testimonianze portate dagli esperti.
Sono tecnici e parlano un linguaggio tecnico che non viene ‘sciolto’ nel
documento, neanche con un glossario che aiuti a comprendere gli innumerevoli
acronimi utilizzati.
La domanda che viene da porsi è:
uno strumento come quello dell’indagine conoscitiva non beneficerebbe
dell’attività di un ufficio che invece si occupi di fare mediazione
culturale e offra una preparazione di base ai deputati perché sfruttino
al meglio le occasioni di incontro con gli esperti durante le audizioni?
Il lavoro del POST sul 5G
Alcune pagine tratte dal briefing redatto dal POST sulla tecnologia 5G.
Il
research briefing sul 5G
pubblicato dal POST alla fine di luglio del 2009 fa parte di una gamma
di documenti di sintesi e approfondimento prodotti dall'ufficio di consulenza britannico,
che hanno l'ambizione di essere imparziali, accessibili ed esaustivi dello stato della
conoscenza scientifica sui diversi argomenti.
Il motto del POST è "bridging research and policy" e le sue attività
comprendono anche l'organizzazione di incontri tra esperti e parlamentari,
formazione per i parlamentari su specifici temi perché portino
avanti nel modo migliore possibile la loro attività di controllo
dell'operato del governo, programmi di stage destinati a ricercatori
con diverso grado di esperienza (dagli studenti di dottorato ai professori)
e, non ultima, quella di offrire supporto ad altre democrazie nella
costruzione di meccanismi di consulenza scientifica.
Il briefing sul 5G nasce perché il Governo britannico ha espresso
la volontà di fare del Paese uno dei leader nello sviluppo di questa
tecnologia. Per redigere il documento, ci ha spiegato Lorna Christie,
il POST ha consultato gli operatori di telefonia mobile britannici che hanno
condotto le prime sperimentazioni sulle reti 5G per fare il punto sul loro stato di avanzamento.
Il tema
dell'impatto sulla salute è stato affrontato perché i membri del Parlamento
hanno manifestato
molto interesse a riguardo, sollecitati dalle domande dei loro elettori.
Dal punto di vista metodologico, il rapporto si basa su una revisione
della letteratura scientifica esistente, ma stabilisce poi un dialogo
diretto con alcuni esperti (per il 5G sono stati intervistati 20 esperti)
con l'obiettivo di identificare gli aspetti più controversi.
La prima bozza del documenta affronta poi diversi livelli di revisione,
sia all'interno che all'esterno del Parlamento con lo scopo di
calibrare il linguaggio perché sia comprensibile per i deputati e di
garantire imparzialità sia dal punto di vista scientifico
che politico. Christie ha sottolineato infatti che il POST non produce
raccomandazioni ma fornisce un quadro della conoscenza tecnica per informare
il dibattito parlamentare.
Stabilire l'impatto che il documento ha avuto non è facile, soprattutto
perché il lavoro del POST si interseca con una serie di altri canali
attraverso cui la conoscenza scientifica raggiunge i membri del Parlamento.
In particolare il POST svolge un ruolo complementare a quello delle libraries
della House of Commons e della House of Lords
che producono documenti anche su temi scientifici ma più focalizzati sugli
aspetti normativi che tecnici. Due altri aspetti differenziano l'attività
delle libraries rispetto a quella del POST. Il primo è che le libraries non
si rivolgono a esperti esterni, ma si limitano piuttosto a una revisione della letteratura.
Il secondo, forse più importante, è che hanno esclusivamente un ruolo reattivo rispetto
ai lavori del Parlamento, si concentrano cioè sui temi che via via sono
di interesse per i deputati durante la loro attività di dibattito e controllo.
Al contrario il POST ha anche un ruolo proattivo, svolge cioè attività
horizon scanning, preparando note su argomenti scientifici
e tecnologici che avranno impatto politico e sociale nel prossimo futuro
ma che non sono ancora all'ordine del giorno nei lavori delle due Camere.
Diversi modelli di consulenza scientifica per i legislatori.
Dal confronto tra il modello britannico e quello italiano si capisce
che l'istituzione di un ufficio di consulenza scientifica
al servizio del Parlamento italiano permetterebbe di sfruttare meglio
gli altri canali formali e informali già esistenti, compreso quello
dell'indagine conoscitiva. Suggerisce, inoltre, l'opportunità di potenziare
l'attività dei servizi studi che già operano all'interno delle
nostre Camere. Il compito di questi servizi
è simile a quello delle
libraries della House of Commons e della House of Lords,
ma al loro interno non sono presenti competenze nell'area delle
scienze naturali,
essendo ben coperte solo le discipline giuridiche ed economiche.
Per avere un'idea delle differenze, ecco come si presenta la
House of Commons Library.
Chiaramente ogni Paese ha bisogno di sviluppare una soluzione su misura,
ma esistono diversi modelli da cui prendere esempio in Europa.
In
questo articolo,
pubblicato sulla rivista Humanities & Social Sciences Communications,
un gruppo di ricercatori del Department of Science, Technology, Engineering
and Public Policy di UCL confronta tre casi: il POST,
l'ufficio francese
Office parlementaire d'évaluation des choix scientifiques (OPECST) e
il TA-SWISS, la fondazione che si occupa del technology assessment
per conto del governo federale svizzero.
I tre uffici differiscono per missione, posizione
rispetto al Parlamento, scelta degli argomenti da approfondire,
tipo di documenti prodotti e metodologia usata per produrli.
Mentre il POST e il TA-SWISS hanno come obiettivo quello di offrire
una sintesi imparziale e accessibile di temi scientifici senza
offrire indirizzi politici, l'OPECST fornisce raccomandazioni
stabilendo un'interlocuzione con la comunità scientifica attraverso
eventi e seminari. Come abbiamo visto, per produrre i suoi briefing il
POST si avvale di consulenti interni che intervistano esperti, appartenenti
all'accademia ma anche a organizzazioni non governative e think tank.
Il TA-SWISS invece costruisce comitati di esperti esterni sulla base dell'argomento
e ne affida la supervisione a un membro interno. L'OPECST è invece composto da membri del Parlamento francese.
Diverso è anche il loro inquadramento giuridico.
Se infatti il POST è un organo interno al Parlamento e viene da esso finanziato,
il TA-SWISS è una fondazione esterna controllata dall'Accademia svizzera delle scienze.
Infine, mentre POST e TA-SWISS hanno ruolo sia reattivo che proattivo rispetto
al dibattito parlamentare, l'OPECST sceglie gli argomenti esclusivamente sulla base delle
proposte dei deputati.
Gli autori dell'articolo sottolineano però che si sa ancora poco
sui diversi sistemi di consulenza scientifica ai legislatori, in
particolare sulla loro efficacia. Si tratta infatti di un argomento
poco approfondito dai ricercatori che studiano il rapporto tra scienza
e politica, al contrario di quanto accade per i sistemi di consulenza
scientifica agli organi esecutivi dello Stato. In questo senso è prezioso
il lavoro del network EPTA,
lo European Parliamentary Technology Assessment,
che raggruppa i 23 uffici di consulenza scientifica dei Parlamenti europei
e in cui l'Italia è purtroppo assente. EPTA crea delle occasioni di confronto
tra i Paesi e mette in relazione gli uffici tra loro permettendogli
di scambiarsi opinioni sulle loro pratiche.
Questo tipo di scambio è particolarmente utile alla Spagna, che si prepara
a istituire un ufficio di consulenza scientifica al Parlamento.
Poche settimane fa il gruppo
#CienciaenelParlamento, formato da ricercatori spagnoli e nato alla
fine del 2018,
ha incontrato alcuni rappresentanti del Congresso per
mettere a punto il modello che più si adatti al contesto spagnolo.
Che l'Italia possa essere il prossimo paese europeo a intraprendere questa strada?
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