newsletter finesettimana #8
Buon venerdì,
questa settimana parliamo di equazioni differenziali, di archeologia glaciale,
di accesso delle minoranze alla ricerca scientifica,
degli errori commessi dalla politica nonostante l'incredibile
risposta di medici e scienziati di fronte alla pandemia,
degli eventi di superdiffusione del SARS-CoV-2
e, infine,
del futuro della scienza americana in attesa dell'esito del voto.
L'argomento che approfondiamo oggi è il ruolo che le scienze sociali,
sempre più quantitative,
hanno durante le elezioni americane: dallo studio delle dinamiche
attraverso cui le teorie cospirazioniste si diffondono sui social media,
al fallimento dei sondaggi di opinione politica nel prevedere i
risultati elettorali.
Buona lettura e al prossimo venerdì (per segnalare questa newsletter
agli amici
ecco il link per l'iscrizione)
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SEI PEZZI BELLI
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1 Risolvere uno dei problemi matematici più difficili con il deep learning
Le equazioni differenziali alle derivate parziali (PDE) descrivono
fenomeni che evolvono nel tempo e nello spazio.
Sono capaci di rappresentare la dinamica dei fluidi,
le orbite dei pianeti o il movimento delle placche tettoniche.
Ma risolverle è uno dei problemi matematici più difficili in assoluto.
Un gruppo di ricercatori del California Institute of Technology
ha sviluppato un algoritmo di deep learning capace di trovare le soluzioni
di intere famiglie di PDE senza essere ri-allenato ed è 1000
volte più veloce dei metodi tradizionali
[MIT Technology Review]
2 Lo scioglimento dei ghiacciai rivela reperti archeologici
che sarebbero altrimenti rimasti segreti ma allo stesso tempo
rischia di farli perdere per sempre
Con lo scioglimento dei ghiacci causato dal riscaldamento globale
stanno venendo alla luce artefatti antichi perfettamente conservati,
creando una nuova scienza, quella della archeologia glaciale.
Ma i ghiacci si sciolgono a un ritmo accelerato e per gli
archeologi è iniziata una corsa contro il tempo per salvare
questi tesori così fragili
[The Guardian]
3 L'accesso alla ricerca scientifica è ancora largamente precluso alle minoranze, come neri e donne, ma non sappiamo quanto perché mancano i dati
Le più grandi case editrici scientifiche hanno dichiarato
di aver intrapreso delle politiche di integrazione verso i gruppi minoritari
che pubblicano meno sulle loro riviste, ma solo due hanno
raccolto dei dati sull'argomento. Si tratta dell'American Association for the Advancement of Science,
che pubblica Science, e la Royal Society. In entrambi i casi
gli autori si sono identificati come bianchi nel 70-80% dei casi.
Le cose non sono molto diverse se si guarda ai dipendenti
di queste case editrici o all'identità di genere invece che alla composizione
etnica. Per cambiare le cose però, occorre prima di tutto raccogliere
più dati a riguardo
[The New York Times]
4 Nel libro 'The COVID-19 catastrophe' Richard Horton, direttore della rivista The Lancet, racconta il successo della scienza e il fallimento della politica
Già alla fine di gennaio la comunità medica e scientifica cinese
documentava, in giornali scientifici
in inglese e di alto livello, le caratteristiche cliniche della malattia
causata dal nuovo coronavirus, confermava la possibilità di trasmissione
da persona a persona e quantificava il carico a cui sarebbero state
sottoposte le terapie intensive. Una risposta incredibile e la prova
di una rinascita seguita alla terribile gestione dell'epidemia di SARS nel 2002-2003.
Nonostante questo, i governi occidentali, soprattutto gli Stati Uniti,
non sono stati in grado di essere conseguenti, in parte per sottovalutazione
del problema e in parte per strutturale incapacità dei loro sistemi
sanitari di affrontare una crisi del genere
[LSE Impact Blog]
5 Il ruolo degli eventi di superdiffusione nell'epidemia di SARS-CoV-2
Alla fine di febbraio la società farmaceutica Biogen ha tenuto
la sua consueta conferenza annuale a Boston. Uno dei partecipanti
era stato infettato dal nuovo coronavirus e probabilmente lo ha trasmesso a 97
persone, tra gli altri partecipanti e i loro conviventi. Uno studio recente
ha stimato che la catena di contagio di quell'evento potrebbe
aver coinvolto decine di migliaia di persone solamente nella zona di Boston.
L'indice Rt, di cui sentiamo tanto parlare, indica quante persone
vengono contagiate da una persona infetta in media. Ma l'esperienza
insegna che per la COVID-19, così come per molte altre malattie infettive,
la maggior parte delle persone non trasmettono il virus a nessuno e
una piccola percentuale è responsabile dalla maggioranza delle infezioni.
Questo ha due conseguenze in termini pratici: è importante
limitare le occasioni che favoriscono fenomeni di superdiffusione (spazi chiusi, affollati e senza distanziamento)
e tracciare i contatti all'indietro piuttosto che in avanti (ovvero cercare di capire dove una
persona si è infettata piuttosto che capire chi ha infettato)
[Science]
6 La scienza americana attende il risultato del voto presidenziale col fiato sospeso
× I quattro anni passati hanno causato talmente tanti danni alla scienza
e alle politiche informate dalla scienza, che ci vorranno decenni per recuperare
[Science]
× La gestione della pandemia è stato il culmine di una serie di politiche
che hanno sistematicamente ignorato le prove scientifiche
[Nature]
× Ma alcuni scienziati, hanno avuto commenti positivi
sui quattro anni della presidenza Trump, soprattutto dal punto dei vista dei fondi.
Nonostante i ripetuti tentativi del presidente di tagliare i finanziamenti
pubblici di diverse agenzie di ricerca federali, il Congresso si è
opposto
[Science]
× L'ambito in cui Trump ha fatto più danni
è sicuramente quello delle politiche ambientali. Mercoledì, il giorno
dopo le elezioni, gli Stati Uniti sono ufficialmente usciti dall'accordo
di Parigi. Se Biden vincesse, basterebbe una sua firma per rientrare,
ma gli impegni che potrebbe portare sul tavolo della conferenza delle parti
dipenderebbero anche e soprattutto dal Congresso
[Vox]
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ELEZIONI AMERICANE: L'ACCUSA DI FRODE E LA CRISI DEI SONDAGGI
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Nel momento in cui scriviamo il risultato delle elezioni presidenziali
americane non è ancora definitivo: Biden ha 39 voti in più di Trump nel collegio elettorale,
ma per vincere deve conquistarne ancora 17.
Il collegio viene costituito al solo scopo
di scegliere il presidente e il suo vice e lo farà a dicembre per permettere
l'insediamento alla Casa Bianca a gennaio.
Ogni stato americano elegge un certo numero di membri del collegio elettorale,
i cosiddetti grandi elettori, che vengono
assegnati ai democratici o ai repubblicani a maggioranza sulla base del voto popolare
(in tutti gli stati tranne tre, dove valgono regole diverse).
In totale il collegio elettorale conta 538 posti
e dunque viene dichiarato vincitore il candidato presidente che
se ne aggiudica almeno 270.
In California, dove si nominano 55 grandi elettori,
sono stati scrutinati il 77% dei voti (oltre 12 milioni di schede)
e di questi il 65,1% sono andati a Biden. Per questo tutti i 55 grandi
elettori dello stato sono già considerati come assegnati al Partito Democratico.
Attualmente Biden ha 253 grandi elettori già confermati e Trump 214, restano da assegnarne 71.
Sono sei gli stati ancora in bilico: Pennsylvania (20), Georgia (16), North Carolina (15),
Arizona (11), Nevada (6) e Alaska (3). In questi stati la distanza tra
democratici e repubblicani è irrisoria
(poco più di 18 000 voti in Pennsylvania in favore di Trump, poco più di 1 000 in Georgia in favore di Biden, circa 77 000 in North Carolina in favore di Trump)
e dunque non è possibile stabilire a chi andranno i loro grandi elettori
prima del termine dello spoglio (fonte: New York Times).
E mentre Biden chiede ai suoi sostenitori di avere pazienza
di aspettare la vittoria ufficiale, Trump denuncia, senza
averne alcuna prova, illegalità nel processo di voto.
Nella sua ultima conferenza stampa
alla Casa Bianca nel tardo pomeriggio di ieri a Washington,
ha affermato: "Se si contano i voti legittimi vinco facilmente",
e ha ribadito che continuano i suoi sforzi per proteggere
l'integrità di queste elezioni attraverso procedure legali intentate
dagli avvocati della sua campagna negli stati chiave.
Le maggiori emittenti televisive hanno interrotto il collegamento con
la Casa Bianca comunicando ai propri spettatori che le accuse del presidente
sono infondate.
Frode elettorale.
Già
nel discorso
pronunciato a poche ore dalla chiusura dei seggi, nella notte tra martedì
e mercoledì, Trump aveva messo in dubbio l'integrità del processo di voto,
definendo le elezioni una frode e aveva assicurato che avrebbe fatto di
tutto per vincere, appellandosi addirittura alla corte suprema.
La sfiducia nel processo di voto, in particolare del voto per posta,
è al centro delle teorie
cospirazioniste più diffuse negli ultimi mesi nel dibattito
pubblico americano, soprattutto quello sui social media.
La Election
Integrity Platform,
una coalizione di diversi istituti di ricerca americani,
ha trovato
che le teorie cospirazioniste sono alimentate da reti della
destra americana che agiscono in gruppo sui social network,
piuttosto che da entità straniere come era avvenuto nel 2016.
Un esempio
è la storia circolata alla
fine di settembre di 1000 voti per posta abbandonati
tra i rifiuti nella contea di Sonoma in California. La notizia
era falsa, come dichiarato dalle autorità, visto che le schede
per il voto per posta non erano ancora state inviate a quella data.
Nonostante questo, oltre 25 000 utenti su Twitter
la hanno condivisa in un singolo giorno, tra cui il figlio maggiore di
Donald Trump con i suoi 5,7 milioni di followers.
Queste reti riescono ad attirare l'attenzione dei media
tradizionali che le diffondono ulteriormente nel tentativo
di smontarle. In
un'intervista su Science
Joan Donovan,
direttrice dello Shorenstein Center on Media, Politics and Public
Policy all'università di Harvard, ha dichiarato:
"Quello che stiamo vedendo è che il modo in cui
operano tradizionalmente i media si sta trasformando in una vulnerabilità".
In un altro studio condotto da un gruppo di ricercatori di Harvard,
l'analisi di una grande quantità di notizie online, tweet e post su Facebook
ha evidenziato che l'ampia diffusione delle storie sulle potenziali frodi connesse
al voto per posta è riconducibile allo stesso presidente Trump,
tramite il suo iperattivo account Twitter, conferenze stampa o
interventi nelle trasmissioni della rete televisiva Fox News.
La teoria della frode elettorale non è una novità negli ambienti conservatori
americani e non nasce sui social media.
Se quest'anno sono stati presi di mira i quasi 100 milioni di preferenze
inviate per posta, nel 2016 fu il voto degli immigrati
a essere chiamato in causa, sulla
base di un articolo scientifico
pubblicato nel 2014 sulla rivista con peer-review Electoral Studies.
Gli autori, tra cui Jesse Richman
della Old Dominion University, concludevano che nelle elezioni del 2008
il numero di voti illegittimi da parte di immigrati
senza cittadinanza americana (dagli stranieri residenti stabilmente
negli USA e in possesso della cosiddetta green card fino agli studenti con
visti di breve durata) poteva andare da un minimo di 38 000
a un massimo di 2,8 milioni. Una stima, quest'ultima, sufficiente
a mettere in discussione la vittoria di Barack Obama in North Carolina
contro John McCain che gli valse la Casa Bianca.
Ma la comunità accademica ha messo in dubbio questi risultati,
individuando dei problemi metodologici nell'analisi.
200 ricercatori hanno chiesto alla rivista
su cui era stato pubblicato l'articolo di ritrattare, ma non
sono stati ascoltati.
Il
controverso studio è basato su un campione di dati particolarmente
grande e pregiato raccolto dal Cooperative Congressional Election Study (CCES),
coordinato dal professore di Harvard
Stephen Ansolabehere. Il CCES
intervista oltre 50 000 persone riguardo le loro
caratteristiche demografiche, preferenze politiche e intenzioni di voto.
Le interviste, che vengono realizzate online dalla società YouGov,
si svolgono ogni anno dal 2006 e negli anni con elezioni presidenziali o di midterm
sono ripetute prima e dopo il voto per cercare di misurare quante
persone che si dichiarano intenzionate a votare poi votano effettivamente
e se dicono la verità. Per raffinare ulteriormente questa misura,
il CCES ha acquistato dalla società Catalyst i dati
relativi alle registrazioni che gli elettori devono inviare ai propri
collegi per poter votare e anche la storia elettorale di ciascuno.
Richman e coautori trovano che tra gli intervistati
che dichiarano di non essere in possesso della cittadinanza statunitense
la percentuale che risulta aver votato secondo i dati di Catalyst
è dell'1,5%, mentre quella che dichiara di aver votato ma per cui non c'è
conferma nei dati di Catalyst è dell'11,3%.
Correggendo queste due percentuali per la dimensione del campione,
gli autori fanno due stime:
una conservativa che dice che una percentuale tra lo 0,2% e il 2,8% di non
cittadini ha preso parte alle elezioni e l'altra, meno conservativa,
che colloca questa percentuale tra il 7,9% e il 14,9% (applicando queste
frazioni ai 19,4 milioni di non-cittadini che si valuta risiedessero negli Stati
Uniti in quel periodo, si arriva all'intervallo che abbiamo indicato all'inizio,
tra i 38 000 e i 2,8 milioni di voti illegittimi).
Due i difetti metodologici identificati dalla comunità accademica.
Il primo è che alcuni intervistati potrebbero essersi definiti
non cittadini per errore oppure aver dichiarato di aver votato per errore.
Anche se questi errori venissero commessi raramente, porterebbero a
sovrastime importanti dal punto di vista percentuale,
poiché il campione di non cittadini raggiunti dal sondaggio è piccolo -
circa 340 persone nel 2008 e 490 nel 2010, e ancora più piccolo è
il campione di non-cittadini che hanno dichiarato di aver votato o per cui
esiste un voto registrato - 38 nel 2008 e 13 nel 2010.
Il secondo vizio metodologico è quello di
estrapolare la percentuale di voti illegittimi dal campione alla
popolazione generale. Se, infatti, i dati raccolti nei sondaggi del
CCES potrebbero rappresentare correttamente la popolazione nel suo complesso,
essi sono molto meno affidabili riguardo a gruppi minoritari,
come quello dei residenti senza cittadinanza, che oltre a essere
meno numerosi sono anche meno raggiungibili online (è ben noto che
hanno una probabilità più bassa di avere accesso a internet rispetto
alla media).
Nonostante la comunità accademica avesse criticato pubblicamente lo studio,
Donald Trump lo utilizzò alla vigilia delle presidenziali del 2016 per
sostenere che se Hillary Clinton avesse vinto sarebbe stato solo per
i milioni di voti illegittimi degli immigrati clandestini.
"Non avete letto di questo studio, vero?
I vostri politici non ve lo dicono quando vi parlano di
quanto siano legittime le elezioni. Non vogliono parlarvi di questo",
disse Trump durante un comizio elettorale in Winsconsin nell'ottobre del 2016.
Il fallimento dei sondaggi.
L'inaffidabilità
dei sondaggi elettorali e dei modelli di previsione su di essi
basati, sembra essere una delle poche certezze
con cui usciamo da queste elezioni presidenziali.
La fame di dati e di previsioni quantitative non ha risparmiato
questo settore, e il giornalismo politico si è concentrato molto
sulle previsioni, soprattutto in questo periodo in cui la pandemia
ha reso difficile andare sul campo e raccogliere testimonianze,
sì aneddotiche ma utili se inquadrate in un contesto più ampio.
Five Thirty Eight di Nate Silver,
TheUpshot con i giornalisti Nate Cohn e Josh Katz del New York Times e,
da quest'anno, anche l'Economist con il contributo
di Andrew Gelman and Merlin Heidemanns della Columbia University,
si sono prodotti in una incredibile quantità di analisi e proiezioni del voto,
nessuna delle quali è riuscita a prevedere come altamente probabile
il risultato a cui ci troviamo davanti. I modellizzatori si giustificano dicendo che sono i risultati
dei sondaggi a essere inaffidabili e i sondaggisti rispondono
che i modelli non sono sufficientemente buoni.
Secondo Cathy O'Neil, matematica, attivista e autrice di
Weapons of Math Destruction,
il baco è nei sondaggi. Inutile
complicare i modelli, usare metodi matematici e statistici
più sofisticati se i dati raccolti dai sondaggisti non riescono
a fotografare la realtà della situazione. Alcuni gruppi di elettori
sono difficili da raggiungere, altri mentono. O'Neil vede una somiglianza
con la crisi finanziaria del 2008, quando le previsioni prodotte
dai modelli si dimostrarono terribilmente sbagliate. Il problema,
anche in quel caso, erano i dati su cui erano basati.
L'ossessione di molti americani per i sondaggi è sintomo di un rifiuto
dell'incertezza, continua O'Neil, dell'impossibilità di conoscere l'opinione
degli altri per poter formarsi delle aspettative.
David Graham, giornalista di The Atlantic, sottolinea però
l'importanza dei sondaggi di opinione pubblica, non tanto per
ottenere previsioni dei risultati elettorali, ma piuttosto per
continuare a rimanere in contatto con i propri concittadini.
In un'America sempre più organizzata in bolle ideologiche,
sempre più distanti geograficamente, professionalmente e
nei media di riferimento, questo diventa un problema particolarmente
rilevante. Senza contare il fatto che molte azioni politiche
si basano sulle fotografie dell'opinione pubblica offerte dai sondaggi.
Ma le elezioni presidenziali 2020 sono solo
l'ultimo episodio
nella lunga storia dell'industria dei sondaggi elettorali che,
nonostante tutto, è riuscita a sopravvivere quasi cento anni negli Stati Uniti.
Negli ultimi tempi però le cose non stanno andando bene,
a partire dalla vittoria repubblicana nelle elezioni di midterm del 2014, che furono il
preludio della presidenza di Donald Trump, e che i sondaggi
non furono in grado di prevedere.
In un articolo pubblicato sul New York Times nel 2015,
Cliff Zukin, professore alla Rutgers University ed esperto
nel campo della ricerca sociale e sull'opinione politica, individua
due fattori
responsabili di questa crisi. Il primo è la diffusione dei telefoni cellulari,
che hanno sostanzialmente sostituito le linee fisse, il secondo
è il tasso di risposta che è piombato dall'80% degli anni '80
all'8% del 2014.
L'abbandono dei telefoni fissi in favore di quelli
mobili ha fatto crescere enormemente il costo dei sondaggi.
Una legge del 1991 impedisce infatti di utilizzare compositori
automatici per chiamare le linee mobili, come invece era d'abitudine
per le società incaricate perché permetteva di passare la chiamata
agli operatori solo se l'utente alzava la cornetta. Ora, invece,
i numeri, generati casualmente - e non sempre attivi,
devono essere composti manualmente dagli intervistatori (per raggiungere
1000 persone è necessario comporre 20 000 numeri).
La rapida diminuzione del tasso di risposta ha generato poi
una perdita di rappresentatività dei campioni. Questo accade perché
molte società hanno cominciato a contattare le persone via internet,
nel tentativo di ridurre i costi crescenti delle interviste telefoniche
con tassi di risposta così bassi. Ma i campioni di persone raggiunte
via internet sono campioni cosiddetti 'non probabilistici',
cioè campioni per cui non è nota la probabilità di ciascun individuo
della popolazione che si vuole studiare di essere incluso.
Al contrario, nei campioni probabilistici questa quantità è nota
e permette di generalizzare appropriatamente i risultati del sondaggio
per rispecchiare la popolazione generale. L'utilizzo dei sondaggi
via internet è sempre più diffuso e non solo negli Stati Uniti,
anche perché i media che li commissionano hanno visto ridurre i
loro budget negli ultimi anni e sono quindi in cerca di prodotti
più economici.
Se questi fattori colpiscono in generale tutti i tipi di sondaggi,
i sondaggi elettorali soffrono di un problema ulteriore:
gli intervistati sovrastimano la loro probabilità di andare a votare
e i sondaggisti faticano a trovare dei metodi efficaci per
prevederla. Qualcuno ci ha provato. In particolare, lo studio CCES, di cui abbiamo parlato all'inizio,
ha tracciato un identikit di coloro che dichiarano di avere intenzione
di votare ma poi non lo fanno. E questo grazie ai dati sulle registrazioni
di voto e la storia elettorale acquistati dalla società privata Catalyst.
Non sono molti a potersi permettere indagini del genere, che alcuni
hanno stimato potrebbero essere costate 130 mila dollari.
L'identikit tracciato dal CCES è stato una sorpresa: cittadini con
alto grado di istruzione, alto reddito, partecipi della vita pubblica e fedeli praticanti.
Sostanzialmente il tipo di persona che è sempre stato considerato
più affidabile e con la più alta probabilità di partecipare alle elezioni.
Di nuovo: possiamo fidarci di questo risultato?
Conclude Zukin: "Allora qual è la soluzione per i sondaggi
elettorali? Non ce n'è una. Il nostro vecchio paradigma non funziona più
e non abbiamo ancora capito come modificarlo.
Di conseguenza, i sondaggi politici sono diventati meno accurati
e non verranno aggiustati in tempo per il 2016". Possiamo dire
che a quattro anni di distanza le cose non sembrano essere migliorate.
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