newsletter finesettimana #57
finesettimana #58 / 19 dicembre 2021 a cura di Chiara Sabelli
Buona domenica,
l'approfondimento di questa settimana è dedicato alla variante Omicron. Da quando, poco più di tre settimane fa,
è stata identificata in Sudafrica, gli scienziati hanno condotto decine e decine di studi, sia in laboratorio che sul campo.
È ormai chiaro che Omicron è la variante più trasmissibile del SARS-CoV-2 che abbiamo visto finora e anche la più capace di
eludere la risposta immunitaria stimolata dai vaccini e dalle infezioni con le varianti precedenti. La somministrazione di una terza dose
di uno dei vaccini a mRNA sembra riportare l'efficacia ai livelli osservati con due dosi contro Delta. I dati raccolti in Sudafrica
sembrano poi indicare una minore virulenza, ma per ora non trovano riscontro in Inghilterra, dove Omicron è ormai la variante dominante. Occorrerà
attendere più dati per trarre conclusioni. Tuttavia,
la sua velocità è tale da porre comunque una «imminente e grande minaccia alla salute pubblica», ha detto Neil Ferguson,
epidemiologo dell'Imperial College.
Poi una selezione di notizie di scienza della settimana dai giornali di tutto il mondo.
Con questa newsletter vi auguriamo buone feste e vi diamo appuntamento al 2022. Abbiate cura di voi e dei vostri cari.
Buona lettura (per segnalare questa newsletter agli amici ecco il link per l'iscrizione) |
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Omicron corre: fondamentali i richiami
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Nell’aggiornamento pubblicato venerdì sulla diffusione della variante Omicron in Inghilterra, la UK Health Security Agency (UKSHA), l’agenzia di salute pubblica britannica, ha stimato che dei tamponi positivi effettuati il 14 dicembre, il 54,2% siano da attribuire alla variante Omicron. La situazione non è uniforme: Londra sembra essere più avanti del resto della nazione, con Omicron responsabile di più dell’80% dei nuovi contagi. Ma il dato più preoccupante riguarda la velocità con cui la variante si sta diffondendo e sta sostituendo Delta. Due giorni prima, il 12 dicembre, la prevalenza era al 33% e un giorno prima al 42%. In tutte le regioni inglesi tranne quella sudoccidentale, il tempo di raddoppio dei casi di Omicron è inferiore a due giorni, nella regione di Birmingham è in media di un giorno e mezzo. Per confronto, tra fine maggio e inizio luglio quando la Delta ha investito il paese rimpiazzando Alfa, lo studio REACT-1 condotto dall’Imperial College stimava un tempo di raddoppio di 17 giorni.
Se il Regno Unito sta riuscendo a seguire giornalmente la diffusione di Omicron è perché sfrutta una caratteristica particolare di questa variante rispetto alla Delta, ovvero la presenza di due delezioni nelle posizioni 69 e 70 del genoma del virus, cioè due nucleotidi mancanti sul gene S, quello che codifica per la proteina spike del virus. Alcuni tra i più diffusi test PCR cercano tre porzioni del genoma del SARS-CoV-2, ma le due delezioni rendono irriconoscibile per i test una delle tre porzioni, quella relativa al gene S. Il risultato globale del test è ancora positivo ma quello per il gene S è negativo. Si ottiene così un risultato cosiddetto “discordante”, che può essere usato per distinguere Omicron da Delta, evitando così di dover sequenziare l’intero genoma virale, una procedura che richiede più tempo e deve essere eseguita da laboratori specializzati. Il valore del gene S è noto nel Regno Unito per circa il 50% dei tamponi positivi prelevati ogni giorno e questo permette una stima affidabile della prevalenza di Omicron.
Sapere quanto è diffusa Omicron e quanto aumenta la sua prevalenza è un’informazione preziosa per poter pianificare con anticipo gli interventi di salute pubblica necessari a fronteggiare la nuova ondata. L’analisi di UKSHA ha permesso ai ricercatori della London School of Hygiene and Tropical Medicine di tracciare degli scenari: in quello più ottimistico il picco delle ospedalizzazioni verrà raggiunto a gennaio con circa 2400 ricoveri al giorno, in quello più pessimistico il picco potrebbe sfiorare i 9000 ricoveri al giorno, il doppio del record osservato a gennaio del 2021. Questi scenari tengono in considerazione diversi gradi di efficacia di due e tre dosi di vaccino, diverse velocità di riduzione della protezione offerta dai vaccini nel tempo e la recente introduzione delle misure restrittive più stringenti previste dal Plan B (consigliato il lavoro da casa, obbligo di indossare le mascherine nella maggior parte dei luoghi pubblici chiusi, richiesta del passaporto vaccinale per discoteche e nightclub).
Un altro paese sentinella per l’onda di Omicron è la Danimarca. Lo Staten Serum Institute ha stimato infatti che al 13 dicembre la prevalenza di Omicron era intorno al 30%. Anche la Danimarca, pur essendo uno dei paesi europei insieme al Regno Unito a sequenziare di più, ha elaborato queste stime sulla base dello stato del gene S rilevato dai test PCR.
In Italia le informazioni sulla diffusione di Omicron sono invece estremamente limitate. Venerdì scorso l’Istituto Superiore di Sanità ha reso pubblici i risultati di un’indagine rapida realizzata chiedendo ai laboratori abilitati nelle diverse Regioni e Province Autonome di sequenziare un campione casuale dei tamponi positivi notificati il 6 dicembre, di dimensione variabile per rispecchiare la diversa incidenza del contagio sul territorio. La prevalenza di Omicron a livello nazionale sarebbe dello 0,32%. Questa stima indicherebbe che il nostro paese si trova indietro rispetto a Regno Unito e Danimarca, ma è un dato che risale a più di dieci giorni fa e con una variante che raddoppia il numero di infezioni ogni due giorni, si tratta di un’eternità. Inoltre, avendo a disposizione il dato riferito a un unico giorno, non abbiamo idea di quale sia l’indice di replicazione effettivo della variante e quindi non sappiamo dire quanto le misure messe in atto finora per contenere l’epidemia nel nostro paese, che si sono rivelate piuttosto efficaci con Delta, siano capaci di contenere anche Omicron. Non è chiaro se stiamo raccogliendo i dati relativi al gene S. Se lo stiamo facendo questi dati non sono pubblici. L’Istituto Superiore di Sanità, che abbiamo contattato per un commento, non ha risposto alle nostre richieste. Continua a leggere su Scienza in rete
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[The Atlantic]
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