Dallo scorso lunedì, nel Regno Unito le persone asintomatiche che ottengono un risultato positivo da un test antigenico rapido, anche effettuato a casa autonomamente, non devono sottoporsi a un test RT-PCR di conferma. Il motivo della decisione presa dalla UK Health Security Agency (UKHSA), l’agenzia di salute pubblica britannica, è l’elevata prevalenza dell’infezione da SARS-CoV-2 nella popolazione inglese. Stando all’ultimo rapporto pubblicato dall’Office for National Statistics, che esegue test settimanali su un campione rappresentativo della popolazione, circa il 6,7% dei cittadini inglesi sarebbe in questo momento contagiato, un totale di circa 4 milioni di persone.
I test RT-PCR, i cosiddetti “molecolari”, ricercano specifiche porzioni dell’RNA del SARS-CoV-2 in un campione prelevato tramite tampone nasofaringeo. Sono in grado di rilevarne la presenza anche se la concentrazione è estremamente bassa, perché sfruttano un processo di amplificazione. I campioni devono essere analizzati in laboratori dedicati e da personale specializzato e la loro elaborazione richiede diverse ore. I test antigenici rapidi, invece, ricercano gli antigeni del virus, le proteine responsabili per la produzione degli anticorpi specifici contro il SARS-CoV-2 presenti sulla sua superficie, e non all’interno come l’RNA. Le prime versioni sviluppate nel 2020 hanno un aspetto simile ai test di gravidanza. Il campione, diluito in un liquido, viene depositato con un contagocce su una striscia di materiale assorbente che conduce il liquido nella zona di reazione, quella dove vediamo apparire le lineette orizzontali. La striscia è imbevuta di anticorpi specifici per il SARS-CoV-2 capaci di legarsi agli antigeni. Se questi antigeni sono presenti nel campione diluito avviene una reazione chimica che produce un enzima. Della produzione di questo enzima ci accorgiamo dalla pigmentazione della striscia assorbente nella posizione contrassegnata, solitamente, dalla lettera T. La validità del campione raccolto viene invece segnalata da una seconda linea pigmentata di solito contrassegnata dalla lettera C. Questo tipo di test può essere anche effettuato in autonomia a casa, ed è possibile acquistarlo in farmacia o al supermercato. Nell’ultimo anno sono stati messi a punto test antigenici rapidi più sofisticati, come quelli con lettura a immunofluorescenza, che vengono eseguiti in farmacia oppure in laboratorio, ma che comunque restituiscono il risultato al massimo in trenta minuti.
Le performance dei test
La perfomance di questi test è misurata da due parametri, chiamati sensibilità e specificità. La sensibilità è la probabilità che un test dia risultato positivo se la persona testata è infettata con il SARS-CoV-2. La specificità è la probabilità che il test dia risultato negativo se la persona testata non è infetta.
I produttori dei test dichiarano questi due parametri nel richiedere l’approvazione per il loro utilizzo, ma queste stime sono ottenute in “condizioni ideali”, magari con virus purificati e in colture cellulari. Quando messi alla prova sul campo, le cose di solito cambiano un po’.
Mentre la specificità sembra essere estremamente elevata sia in laboratorio che sul campo per entrambe le tipologie di test, superiore al 99,9% sia per i test RT-PCR che per quelli antigenici, la sensibilità dei test RT-PCR, stimata all’89,9% per esempio in questo studio clinico finlandese, è superiore alla sensibilità dei test antigenici rapidi. Uno studio inglese pubblicato a luglio 2021 ha considerato campioni prelevati da personale inesperto e da operatori specializzati, trovando che la sensibilità era pari almeno al 45% e all’80%, rispettivamente. Lo studio ha però osservato che la sensibilità dei test antigenici rapidi aumenta insieme alla carica virale. Per carica virale elevata (più di un milione di particelle virali per millilitro) la sensibilità è almeno dell’80% per i campioni prelevati da personale inesperto e almeno dell’85% per i campioni prelevati da operatori specializzati.
Ciò che è importante è che la soglia sopra la quale i test antigenici diventano più sensibili coincide approssimativamente con quella sopra la quale è più probabile che la persona infetta sia capace di trasmettere il virus ad altri. Questo li rende particolarmente adatti come strumento di controllo dell’epidemia.
Il ruolo degli asintomatici e l’importanza degli screening
L’epidemiologo e immunologo Michael Mina, fino a qualche tempo fa ad Harvard e ora responsabile scientifico della compagnia eMed, è uno dei più strenui sostenitori dei test antigenici rapidi come strumento di salute pubblica. In un editoriale pubblicato a novembre del 2020 sul The New England Journal of Medicine scriveva: «è ora di cambiare il modo in cui pensiamo alla sensibilità dei test per la Covid-19. La Food and Drug Administration (FDA) e la comunità scientifica sono attualmente concentrate quasi esclusivamente sulla sensibilità del test, una misura di quanto bene un singolo test può rilevare le proteine virali o le molecole di RNA [...] Il punto non è quanto bene l’RNA virale possa essere rilevato in un singolo campione, ma quanto l’uso ripetuto di un test è in grado di rilevare efficacemente le infezioni in una popolazione in tempo per prevenire la trasmissione ad altri». Un test, dice Mina, che può essere ripetuto diverse volte a settimana, in autonomia, in una popolazione asintomatica e restituisce risultati in tempo praticamente reale, è molto più indicato per questo scopo dei test RT-PCR.
Il ruolo importante degli asintomatici nel trasmettere la malattia è stato ormai accertato da numerosi studi. «Un’elevata concentrazione di particelle virali può essere rilevata nelle alte vie respiratorie indipendentemente dalle manifestazioni cliniche», scrivono gli autori di una rassegna pubblicata a fine dicembre sulla rivista The Lancet. «Questo significa che i test basati sui sintomi da soli non sono adeguati a controllare la diffusione del virus, e che i test generalizzati sulla popolazione sono una priorità. Particolare attenzione deve essere rivolta agli operatori sanitari e alle persone che lavorano nelle case di cura per persone di 65 anni o più, che sono ad alto rischio di trasmettere inavvertitamente l'infezione da SARS-CoV-2 ai propri familiari e a coloro di cui si prendono cura.». Un’analisi pubblicata a gennaio del 2021 su Science suggeriva che la velocità di risposta del test e la frequenza con cui viene somministrato siano parametri più importanti della sensibilità ai fini di ridurre l’incidenza del contagio.
Il fatto che i test rapidi raggiungano sensibilità soddisfacenti quando è più probabile che le persone infette siano contagiose, li rende uno strumento estremamente utile per abbassare il rischio di trasmissione nei paesi in cui la vaccinazione ha permesso di riaprire le scuole, gli uffici, di riprendere gli eventi culturali e sportivi in presenza. Chiaramente deve essere concepito in sinergia con altre misure di contenimento, come l’uso delle mascherine e la ventilazione frequente degli ambienti.
Lo studio pilota condotto nella città di Liverpool tra novembre 2020 e aprile 2021 ha mostrato che la disponibilità di test antigenici rapidi per tutti i cittadini asintomatici ha permesso di ridurre del 32% il numero di infezioni, grazie all’identificazione di circa 6 000 casi tra gli asintomatici e al loro pronto isolamento. Tuttavia, ha anche suggerito che le disuguaglianze sociali ed economiche sono un ostacolo al successo di queste strategie. I cittadini residenti nelle zone più svantaggiate avevano un minor accesso ai test e una minore propensione a sottoporvisi, probabilmente a causa dei timori di perdere giorni di lavoro e dunque di incidere negativamente sul reddito familiare. Come conseguenza, il loro rischio di contagiarsi è risultato più elevato.
La strategia messa alla prova a Liverpool è stata poi estesa a tutto il Regno Unito, prima di tutto nelle scuole, offrendo test rapidi gratuiti da eseguire in autonomia tre volte a settimana per tutti gli studenti. Nonostante gli iniziali timori sul fatto che molti ragazzi fossero costretti in isolamento per risultati falsi positivi, le analisi hanno mostrato che i campioni risultati positivi al test antigenico rapido sono poi risultati positivi anche all’esame RT-PCR nell’84% dei casi.
Gradualmente i test antigenici rapidi fai-da-te, i cosiddetti lateral flow test, sono diventati parte della vita quotidiana. All'inizio sono stati introdotti in ambienti sanitari, luoghi di lavoro ed eventi sportivi. Poi, in aprile, il programma è stato esteso al pubblico. Ogni famiglia riceve per posta ogni settimana una confezione contenente sette test rapidi, oppure può ritirarla in farmacia. È importante però, sottolineano gli esperti, che i cittadini non interpretino un risultato negativo come un “lasciapassare sociale”. È comunque importante adottare tutte le misure di precauzione necessarie e ricordare che se ci testiamo per partecipare a un evento sociale è fondamentale farlo il più possibile a ridosso dell’evento stesso. Così è stato fatto, per esempio, da parte dei circa quarantamila delegati provenienti da tutto il mondo che hanno partecipato lo scorso novembre ai lavori della COP26 di Glasgow: ogni mattina ciascuno di essi doveva farsi autonomamente il test antigenico, registrare il risultato sulla piattaforma dell’NHS ed esibire all’entrata la mail con il risultato negativo. Tranne che per il primo giorno, in cui era richiesto anche il risultato del test RT-PCR, sempre autosomministrato e spedito via posta rapida ai centri di analisi.
Negli Stati Uniti i test rapidi per uso domestico sono introvabili da diverse settimane, in coincidenza con la terribile ondata di contagi guidata dalla variante Omicron. Solo alcune categorie privilegiate di lavoratori li hanno ricevuti dalle loro aziende. Il presidente Biden ha promesso di investire 500 milioni di dollari e ha chiesto che le società di assicurazioni ne rimborsino l’acquisto.
In Italia i test antigenici rapidi per uso domestico non sono entrati nella strategia adottata dalle istituzioni per contenere il contagio. Molti esperti si sono pronunciati contro l’uso diffuso di questi test, sottolineando che i rischi legati all’autoprelievo di un tampone nasofaringeo e le resistenze a comunicare i risultati positivi per timore delle conseguenze, sia sociali che economiche, li renderebbero poco utili se non, addirittura, controproducenti. Il presidente dell’associazione dei microbiologi clinici italiani Pierangelo Clerici, intervistato lunedì a Radio3 Scienza, ha detto che teme che sul fai-da-te si pecchi «di esuberanza». Queste posizioni rivelano un atteggiamento paternalistico nei confronti dei cittadini da parte delle istituzioni che non contribuisce a creare quell’alleanza necessaria a contrastare un’epidemia di questa portata e durata nel tempo. Continua a leggere su Scienza in rete