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Il clima cambia ed è colpa dell'uomo

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Due aspetti generali su cui noi tutti, scienziati partecipanti al monumentale lavoro di preparazione del 5° Rapporto IPCC, abbiamo convenuto sono che il riscaldamento globale è “inequivocabile” (certezza >99%) e che è “estremamente probabile” (certezza >95%) che le attività umane siano le principali responsabili dell’aumenti della temperatura media osservata dal 1950 ad oggi (+ 0.89 °C).
Alcuni hanno storto il naso su questa residua incertezza, dimenticando che in campo scientifico niente è sicuro al 100%, particolarmente per tematiche complesse quali il cambiamento climatico. Siamo sicuri che l’uomo sia responsabile di gran parte del cambiamento climatico quanto lo siamo del fatto che il fumo uccide, più sicuri di quanto lo siamo del beneficio delle vitamine sulla salute o della pericolosità della diossina nelle discariche non controllate.
Nei fatti è proprio questa incertezza minima che viene utilizzata da chi nega i cambiamenti climatici in atto e la responsabilità dell’uomo, così come avviene da parte di chi nega la nocività del fumo.

Abbiamo lavorato per cinque anni per raggiungere un livello di certezza molto elevato del fatto che dal 1950 sono stati osservati cambiamenti in tutti gli ambiti del sistema climatico terrestre: l’atmosfera e l’oceano si sono riscaldati, l’estensione ed il volume dei ghiacci si sono ridotti, il livello del mare si è innalzato, sono aumentati i fenomeni estremi.
Non ci sono notizie sensazionali nell’AR5, e purtroppo lo scenario delineato dalla presentazione del Sommario per i Policymakers il 27 di settembre scorso conferma la drammatica realtà che si era delineata nelle precedenti versioni del rapporto IPCC. Il riscaldamento non si è arrestato, né siamo in presenza di alcun “raffreddamento globale” come taluno, non si capisce se interessato o solamente male informato, ha commentato anche di recente sui mezzi d’informazione.
La realtà, che ci viene da una mole di dati ordini di grandezza maggiore di quelli disponibili anche solo nel 2007, anno di pubblicazione del precedente Rapporto IPCC, è che, solo per citare alcune evidenze, il 2012 è stato il nono anno più caldo dal 1850, il primo decennio di questo secolo è stato il più caldo dal 1850, gli ultimi tre decenni sono stati i più caldi da 800 anni.
Né basta a rassicurarci il fatto che quest’anno il minimo stagionale dell’estensione dei ghiacci dell’Artico sia stato superiore a quello dell’anno scorso, anno di eccezionale riduzione dell’estensione della banchisa. Una rondine non fa primavera, recita un vecchio adagio della saggezza popolare.

In sintesi: non ha avuto inizio alcun “raffreddamento globale”, solo la tendenza di crescita della temperatura si è un po’ ridotta, ed affermare che il riscaldamento globale si è fermato è scorretto e non ha fondamento scientifico.
Noi scienziati continueremo a lavorare nei prossimi anni perché la ricerca non si ferma e molto si deve ancora fare nel campo della valutazione della sensibilità climatica, per restringere l’incertezza delle proiezioni di aumento delle temperature per il futuro che prevedono, a seconda degli scenari di limitazione delle emissioni di gas serra, da 2 a 4 °C di aumento delle temperature globali a fine secolo o un aumento del livello del mare da 50 a 80 cm.
Ora è però anche il momento per gli scienziati di condividere questa realtà con la società nel suo complesso e dobbiamo farlo in fretta, assieme a tutti coloro, organi di informazione in testa, che si occupano di formare la consapevolezza collettiva.
Il compito degli scienziati che si occupano di cambiamenti climatici in questa fase non è solo fare in fretta e bene il loro lavoro, ma anche di adempiere alla propria responsabilità sociale nei confronti di questa sfida.

Maria Cristina Facchini – Lead Author IPCC AR5-WG1

Sandro Fuzzi – Review Editor IPCC AR5-WG1

Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima – Consiglio Nazionale delle Ricerche

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