Da qualche giorno, Luca Landò è stato nominato direttore de L’Unità, testata che nel 2014 festeggerà i novant’anni dalla fondazione. E’ il primo direttore di un quotidiano che proviene dal mondo della ricerca.
Direttore Landò, come mai ha deciso di lasciare il mondo della ricerca?
Semplicemente perché una passione ha prevalso sull’altra. Appena laureato in biologia, ho risposto subito ad un annuncio di lavoro trovato su Nature. A Berkeley ho fatto ricerche sulla trasmissione sinaptica del calamaro gigante. Nel frattempo, però continuavo a portare avanti l’hobby del giornalismo, collaboravo, infatti, con La Repubblica. Raccontavo del mondo dello sport made USA e la cosa mi divertiva tantissimo. Di giorno facevo studi di biofisica e di sera scrivevo del soccer. Dopo 7 anni di studi americani e prestigiose pubblicazioni tra cui Science, ho deciso di tornare in Italia per coltivare un po’ di più il mio amore verso la scrittura e il giornalismo in genere. Ho trovato spazio sul Il Giornale di Montanelli, dove ho creato le pagine dedicate alla scienza e dopo un fugace ritorno al di là dell’oceano per continuare degli studi, ho deciso di dedicarmi al giornalismo scientifico.
Cosa ha portato dal mondo della ricerca in quello del giornalismo?
Una cosa fondamentale: la conoscenza degli argomenti trattati. L’informazione scientifica nel nostro Paese è molto scarsa, se la notizia di scienza non è clamorosa difficilmente occupa le prime pagine dei giornali. Uno scienziato che fa il giornalista è in grado di capire e scovare scoperte meno pubblicizzate ma di grande rilevanza, viceversa capita che una news, che sta avendo grande clamore mediatico può essere in realtà una bufala, ecco a quel punto si è in grado d’intervenire e di spiegare la notizia. C’è molta informazione pseudoscientifica. Quando capitano vicende come “Stamina”, il bravo giornalista deve saper spiegare e analizzare i fatti.
Spesso bisogna prendere una posizione antipatica, ma non basta il dolore per approvare una sperimentazione scientifica.
Quanto è cambiato il mestiere del giornalista scientifico negli ultimi 20 anni?
Non è cambiato molto, sono nate nuove figure di giornalisti provenienti da corsi di giornalismo scientifico. Stanno aumentando sempre più i giornalisti provenienti dal mondo della ricerca, insomma la comunicazione scientifica si sta specializzando. Quello che manca ancora però, è una scuola di comunicazione per gli scienziati stessi. Il vero problema nel dover raccontare argomenti di scienza è quello che il mondo della ricerca e quello della comunicazione si trovano spesso su due rette parallele. Come nella sperimentazione anche il giornalismo deve seguire dei criteri molto precisi e c’è bisogno che scienziati conoscano bene questo mondo. Negli Stati Uniti esistono, già da parecchio tempo, corsi di comunicazione dedicati ai ricercatori. Come si può chiedere ai cittadini di decidere su nucleare o sulla legge 40, senza aver ricevuto una corretta informazione e senza, soprattutto, aver ascoltato in maniera chiara un esperto della materia. Non può esistere la democrazia priva della giusta informazione.
Oltre al caso Stamina, si sta parlando molto della sperimentazione animale. Cosa ne pensa a riguardo?
E’ un problema che si trascina da molto tempo. Mi ricordo a Berkeley, che per paura di sabotaggi da parte degli animalisti, gli stabulari erano stati trasformati in veri e propri bunker. Non si realizzano dei farmaci sicuri se non si passa per la sperimentazione animale, senza animali non si può fare ricerca. Ma bisogna anche sottolineare come che i ricercatori per poter utilizzare gli animali seguono protocolli rigidissimi. Ritorniamo sempre allo stesso problema: gli scienziati devono spiegare alla gente le loro ragioni e il loro mondo, non devono rimane chiusi nei laboratori.
Quali sono i problemi della ricerca scientifica italiana?
Essenzialmente sono due: i finanziamenti e la cattiva organizzazione. Abbiamo però una grande vantaggio che sta nell’ottima formazione che diamo ai nostri ragazzi, ma non sappiamo utilizzarlo dato che li lasciamo andar via. E’ una follia spendere 8 miliardi di euro in educazione, come abbiamo fatto negli ultimi 10 anni, e poi non saper sfruttare il grande potenziale che ne consegue.
Mentre questo Paese ha continuato a pensare a Berlusconi non ci siamo accorti che siamo entrati nell’era della conoscenza. Oggi tutto ciò che viene prodotto e che genera PIL ha dietro la scienza e lo sviluppo tecnologico, non investire su questo lascerà l’Italia nelle retrovie dell’economia mondiale.
Quali saranno i cambiamenti che porterà nel suo giornale?
I tempi dell’informazione sono cambiati. Punteremo con forza sul connubio web-carta. La prima edizione di un giornale deve essere quella web, qui bisogna raccontare le notizie della giornata. In seguito i fatti più importanti devono essere analizzati e approfonditi per portarli sull’edizione cartacea. Il giornale al mattino non deve più raccontare quello che sull’edizione web è stato già protagonista il giorno prima. Mettiamola così: c’è bisogno di un web più “pesante” e di una carta “più pensante”.
In conclusione, un suo ricordo di Romeo Bassoli
Di Romeo, voglio parlarne al presente, è un amico e un giornalista straordinario.
Ci siamo conosciuti tanto tempo fa, quando aveva inventato la pagina di scienza proprio sull’Unità, una pagina non di divulgazione ma di informazione. Solo Romeo sapeva unire battute brillanti con il rigore della scienza. Solo lui riusciva a raccontare la scienza non annoiando i lettori ma incuriosendoli e appassionandoli.