Nei
giornali e nei telegiornali non esistono redazioni scientifiche al pari di
quelle politiche, economiche, sportive. Così come nei canali TV: si dà la
preferenza a programmi di puro divertimento, trascurando che la scienza è vita,
perché ha modificato e continua a modificare il nostro quotidiano. Il
giornalista, per attirare la curiosità del lettore, è dunque chiamato a raccontare
le notizie con un’enfasi sensazionalistica.
Andrea
Candela sa quanto è difficoltoso scrivere un fatto senza alterarlo, lui che è
docente di Comunicazione della Scienza presso l’Università degli Studi
dell’Insubria a Varese. La prefazione, firmata Giovanni Caprara, presidente
dell’Unione Giornalisti Italiani Scientifici, ci introduce al saggio, dotto e
magistralmente articolato, nel quale Candela ci fa comprendere in che modo la
comunicazione pubblica intervenga di continuo nel costruire un immaginario
scientifico che influenza l’opinione pubblica in tema di tecnologie e ricerche
scientifiche. L’autore ci mostra come la complessità delle motivazioni storiche
e culturali abbia vincolato l’informazione mediatica a narrare un fatto
scientifico servendosi di una storia o di una retorica, che rievochi un insieme
di rappresentazioni fantastiche, dove figurano maghi e alchimisti, mostri, apprendisti
stregoni e pozioni magiche.
Nel
1917, “La domenica del Corriere” pubblicava un evento bizzarro, tra le
curiosità scientifiche: un’intera famiglia spagnola esibiva una straordinaria
percettibilità visiva attraverso la materia. L’articolo citava Verne e Wells e
soprannominava i Lopez “famiglia Raggi X”, facendone così una meraviglia della
natura. Uno dei fratelli Lopez, singolare medium, non diventò un supereroe
della Marvel, ma un caso scientifico.
La tradizione letteraria ha avuto, senza dubbio, un ruolo fondamentale nello sviluppare l’immaginario della scienza come arte diabolica. Ricordate i pezzi di cadaveri ricuciti da uno scienziato eccentrico, nel folle tentativo di ricreare la vita? È la storia di “Frankenstein”, scritta M. W. Shelley. La Shelley, come Hoffmann, autore del racconto horror “L’uomo di Sabbia”, furono inconsciamente i cronisti di un’età che aveva celebrato il potere della scienza e della macchina. Fin d’allora, la figura dello scienziato veniva colta in tutta la sua ambiguità e problematicità, rivelandone poteri oscuri. Anche se queste cornici narrative sono ormai logore, il rimando è continuo, ed è usato per soddisfare il modo in cui gli esseri umani sono naturalmente predisposti a raccontare la realtà. Peraltro, oggi, con il diffondersi del mezzo televisivo e dei new media, è diventato predominante il linguaggio delle immagini e il loro valore di fascinazione, indispensabile per avere un impatto emotivo sul pubblico. La notizia che scaturisce da un’impresa scientifica, forse perché troppo complessa per essere discussa in poche battute, diventa uno specchio deformante che raccoglie in sé le attese, gli entusiasmi e i sogni, o viceversa le paure e le inquietudini, di un futuro che ancora non si può conoscere.