Parola d'ordine: cambiamento. La rivoluzione “slow” che ha scosso il mondo del cibo e dell'alimentazione, promette ora di contagiare anche quello della salute e della sanità. Un contagio positivo, una trasmissione di idee e valori che vuole rimettere al centro l'uomo, disinnescando la spirale fatta di incomunicabilità, interessi economici, ansie e paure che ormai sembra aver travolto tutti, dai medici ai pazienti, passando per i decisori politici e il mondo dell'informazione e dei media.
Bisogna riprendere in mano le redini della situazione ed evitare la deriva del sistema. Per farlo serve una rivoluzione culturale, e le idee ci sono già tutte: le esprimono con forza e chiarezza Giorgio Bert, Andrea Gardini e Silvana Quadrino, i tre autori del libro “Slow Medicine. Perché una medicina sobria, rispettosa e giusta è possibile”. Si tratta di un vero e proprio manifesto di questo giovane movimento ispirato al più ben noto “Slow Food” fondato nel 1986 da Carlo Petrini, che ha voluto firmare la prefazione del libro proprio per sottolineare il profondo legame che unisce il mondo del cibo a quello della salute.
Come tutte le rivoluzioni, anche quella della sanità e della cura nasce da un malessere profondo, che ormai avvertono tutti. Da un lato ci sono i medici, schiacciati tra la burocrazia, il pressing delle aziende farmaceutiche e le minacce di denuncia di pazienti sempre più irruenti. Dall'altro ci sono i cittadini, malati e non, che spesso vedono la sanità come una “scatola nera” indecifrabile: persa la fiducia nei camici bianchi, sono guidati nelle loro richieste dall'illusione (alimentata anche dai media) che la ricerca scientifica e il progresso tecnologico possano ormai eliminare ogni malattia.
Per questo il libro-manifesto della “Slow Medicine” dovrebbe essere diffuso capillarmente: una copia in ogni sala d'attesa, in ogni ambulatorio, come un seme destinato a far fiorire una nuova consapevolezza in tutti gli attori coinvolti. Sono tre gli ideali a cui deve tendere la nuova medicina: sobrietà, rispetto e giustizia. Sobrietà, perché “fare di più non vuol dire fare di meglio”: serve moderazione e gradualità, per usare in modo appropriato e senza sprechi le risorse disponibili. Rispetto, perché nella comunicazione medico-paziente è fondamentale l'apertura verso l'altro, per ascoltare senza pregiudizi e dare vita ad una comunicazione cooperativa, utile al malato quanto al medico. E infine giustizia, perché è necessario che cure appropriate e di qualità vengano garantite a tutti. Si tratta di tre ideali importanti, che però non rimangono astratti: dalla prevenzione alla diagnosi, fino alla terapia, il libro dimostra che ogni fase della cura della persona può essere rivista in chiave “slow”. Gli autori lo spiegano bene, traducendolo in un facile e chiaro vademecum destinato a medici, pazienti, decisori politici e giornalisti.
Gli obiettivi sono molti e ambiziosi. La Slow Medicine vuole ricomporre i pezzi dell'alleanza tra medico e paziente, contrastare l'uso di esami e farmaci di non provata efficacia, combattere le disuguaglianze nell'accesso alle cure, eliminare l'illegalità e la corruzione e le logiche di mercato che spesso orientano impropriamente decisioni e comportamenti. Gli stessi autori del libro non nascondono lo scetticismo già manifestato da alcuni camici bianchi, ma spronano tutti ad una partecipazione più attiva e responsabile.
Tracciano il percorso da seguire, indicando tappa per tappa tutti gli atti concreti che bisogna mettere in pratica, a partire dalle associazioni e dalle società scientifiche. La rivoluzione dunque è cominciata e va avanti, a passo “slow” e costante.
Elisa Buson