La cometa ISON viene individuata il 21 settembre dello scorso anno da Vitali Nevski e Artyom Novichonok dal Kislovodsk Observatory. Secondo le ferree regole dell'International Astronomical Union (IAU), i due scopritori non possono battezzare la cometa con i loro nomi. Dato, però, che il Kislovodsk Observatory appartiene all'International Scientific Optical Network, una rete di 18 stazioni osservative per lo più in territorio dell'ex URSS, alla cometa viene assegnato il nome di ISON (ecco il telegramma dell'IAU che annuncia la scoperta).
Al momento della sua individuazione la cometa si trovava a oltre 6.7 Unità Astronomiche dal Sole, cioè quasi sette volte più distante di quanto lo sia dal Sole il nostro pianeta. Benché si trovasse ben al di là dell'orbita di Giove, però, ISON mostrava chiaramente la presenza della chioma. Il che faceva ben sperare per un suo possibile show man mano che la sua orbita l'avrebbe portata ad avvicinarsi sempre di più alla fornace solare. Il confronto del suo comportamento con quello di altre comete suggeriva che avremmo anche potuto assistere a uno spettacolo epocale. Insomma, poteva essere la cometa del secolo (se non addirittura del millennio!) e per questo accolta con grande euforia sia dagli astronomi professionisti che da quelli amatoriali. Il top dello spettacolo era previsto per il dicembre 2013. Effettuato, a fine novembre, il suo giro di boa intorno al Sole, nei giorni seguenti la ISON avrebbe dovuto allietare con tutto il suo splendore i nostri cieli, regalandoci uno spettacolo da tramandare ai posteri.
Le osservazioni compiute nel corso della primavera, però, rendevano lo show della ISON sempre meno certo: la cometa era in netto ritardo sulle previsioni. Restava comunque ancora viva la speranza che a fine agosto, tornata nuovamente osservabile dopo essersi nascosta dietro i bagliori solari, avrebbe finalmente iniziato a fare il suo dovere. A metà agosto, infatti, la cometa si trovava a poco più di tre Unità Astronomiche dal Sole, dunque da lì in poi avrebbe dovuto aumentare in modo deciso il processo di sublimazione dei suoi ghiacci. Niente da fare: la luminosità della ISON restava abbondantemente al di sotto delle previsioni e a fine estate le speranze di poter assistere al passaggio della cometa del secolo diventavano sempre più tenui.
Crescevano invece le preoccupazioni sul possibile destino della cometa al suo passaggio al perielio, cioè al suo giro di boa intorno al Sole. L'orbita percorsa dalla ISON, infatti, l'avrebbe portata a transitare solamente a 1.1 milioni di chilometri dalla superficie solare. Può sembrare una bella distanza, ma se pensiamo che il diametro del Sole è di circa 1.4 milioni di chilometri, dobbiamo ammettere che per la ISON si trattava di un passaggio veramente ravvicinato. Le preoccupazioni riguardavano la tenuta della cometa: il suo nucleo avrebbe resistito al calore e alla forza gravitazionale del Sole oppure si sarebbe sgretolato? Altre comete erano passate ancor più vicino (per esempio la Ikeya-Seki, che nel 1965 passò a neppure mezzo milione di chilometri, oppure la Lovejoy, che nel 2011 transitò a 140 mila chilometri), ma erano sopravvissute a quel torrido passaggio, regalando poi spettacoli indimenticabili. Tutto dipendeva dalle dimensioni del nucleo e dalla sua struttura interna, caratteristiche sulle quali si potevano azzardare solo ipotesi.
Il passaggio al perielio della ISON era previsto per il 28 novembre e per quella data gli strumenti dell'Osservatorio orbitante SOHO (SOlar and Heliospheric Observatory) erano pronti ad acchiappare la cometa. Grazie alla sua particolare strumentazione (l'osservatorio è stato espressamente progettato per osservare senza rischio la nostra stella) si sarebbe potuto assistere in diretta a quel veloce passaggio. La segreta speranza era che la ISON ce l'avrebbe fatta a superare indenne quel momento cruciale della sua orbita e sarebbe emersa in splendida forma e pronta ad allietare i nostri cieli. Purtroppo è andata in modo ben differente.
[video: http://www.youtube.com/watch?v=cAFK8dcx7kA]
Veramente drammatiche le immagini raccolte da SOHO, eloquente testimonianza delle forze distruttive alle quali è andata incontro la ISON. La cometa, incredibilmente luminosa, si avvicina sempre più al Sole - la cui intensa attività è testimoniata dai continui sbuffi di materia lanciati nello spazio - finché scompare momentaneamente alla nostra vista nascosta dal disco del coronografo, lo schermo che protegge gli strumenti dell'osservatorio solare dall'intensa luce del Sole. Ci si aspetta di rivederla così com'era prima di quel passaggio cruciale, ma al suo riapparire è completamente trasformata. Ora sembra uno strano sbuffo vaporoso che, man mano si allontana dal Sole, diventa sempre più fioco e inconsistente. Davvero non si fatica a comprendere il destino al quale è andata incontro la ISON, anche se resta il dubbio se quel batuffolo possa ancora essere un nucleo cometario oppure i semplici frammenti lasciati in giro dalla sua distruzione. Non è del tutto chiaro, insomma, se la ISON, pur ridimensionata, sia in qualche modo sopravvissuta oppure della cometa resti solamente un mucchietto di pietrisco e ghiaccio destinato rapidamente a disperdersi. La risposta definitiva - forse - ce la potrà dare il telescopio spaziale Hubble quando, nelle prossime settimane, potrà essere puntato verso ciò che resta della ISON senza il rischio di far arrostire la sua delicata strumentazione.
Spettacolo celeste irrimediabilmente perduto, dunque. Ancora una volta si dimostra corretta una simpatica affermazione di David H. Levy, astronomo canadese e scopritore di ben 22 comete: “le comete sono proprio come i gatti; entrambi hanno la coda e fanno sempre quello che vogliono.”
Per approfondire:
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