fbpx Esperimenti di fisica (e non solo): il CERN di Ginevra | Scienza in rete

Esperimenti di fisica (e non solo): il CERN di Ginevra

Primary tabs

di MCS
Read time: 5 mins

La fisica fa un po’ paura. Se poi si tratta di fisica nucleare ancora di più. Al solo nominarlo, questo aggettivo evoca immagini apocalittiche e si lega inevitabilmente a nomi come Hiroshima, Chernobyl, Fukushima.
Eppure la fisica nucleare è anche altro, ed è molto più vicina a noi di quanto non sembri. Facciamo un passo indietro, e proviamo a chiamarla con un altro nome: fisica delle particelle. Ecco, suona già meglio.
Se poi volessimo volgere lo sguardo ancora più lontano e pensare all’antica Grecia – nulla di più distante da bombe atomiche e centrali elettriche – vedremmo che il primo richiamo al nucleare nasce proprio lì, nel VI secolo a.C.
Si tratta della dottrina filosofica dell’atomismo, studiata da Leucippo, Democrito ed Epicuro, i quali sostenevano l’idea che la materia fosse composta da particelle elementari.
La fisica delle particelle potrebbe essere vista come l’evoluzione di questa teoria filosofica: essa è, infatti, quella branca della fisica che studia i costituenti fondamentali e le interazioni fondamentali della materia. In altri termini, di cosa sono fatti i corpi, gli oggetti, le sostanze che ci circondano. La fisica delle particelle viene detta anche “fisica delle alte energie”, riferendosi alla metodica che permette di studiare le particelle, la quale sfrutta, appunto, energie molto grandi per far interagire le particelle stesse tra loro. Ma questo lo vedremo più avanti.
Per dare un tocco di fascino in più all’argomento, possiamo anche dire che questa fisica dell’infinitamente piccolo è strettamente legata alla fisica dell’infinitamente grande, la cosmologia, perché le energie utilizzate nello studio delle particelle sono paragonabili a quelle esistenti nell’universo primordiale, quello del Big Bang. E infatti molte delle domande che si pone la fisica delle particelle riguardano proprio l’universo, le sue origini e il suo (o il nostro) futuro. Dicevamo, dunque, che lo studio delle particelle si fa con le alte energie. Ma chi lo fa? E dove lo si fa?
Esiste un nome intimamente legato a questa disciplina, che sentiamo a volte risuonare, ma lontano, come fosse in un’altra stanza in cui sappiamo che non entreremo mai, e che comunque sa di freddo, di buio, di distante da noi. Il CERN. Consiglio Europeo per la Ricerca Nucleare. O, piuttosto, Centro Europeo per la Ricerca Nucleare. Il maggiore centro di ricerca per la fisica delle particelle.

Facciamo ora un altro passo indietro.
1949.L’Europa è appena uscita dalla seconda guerra mondiale, un conflitto che l’ha prostrata e privata delle sue risorse umane ed economiche. La fisica esce anch’essa malconcia da questi anni: per la prima volta nella Storia essa ha perso, infatti, la sua purezza etica e si è posta al servizio della società per creare un’arma di distruzione di massa: la bomba atomica. Non solo: per gli enormi e rapidi passi in avanti che la fisica ha compiuto prima della guerra, si rendono ormai necessari per fare ricerca grandi apparati sperimentali, i quali richiedono grossi finanziamenti. Cosa di cui gli Stati Uniti d’America dispongono, e che i Paesi europei non possiedono.
Per questo molti scienziati, soprattutto giovani, guardano agli USA come nuova meta per il proprio futuro. Nasce da questa situazione l’idea di dare vita ad un nuovo centro per la fisica nucleare, con lo scopo di ridare propulsione alla ricerca in Europa, richiamare talenti che altrimenti sarebbero emigrati per gli USA, unire le risorse economiche di diversi paesi per un unico obiettivo comune. Insomma, mettere insieme le migliori menti della fisica nucleare e rimettere insieme l’Europa andata in pezzi. Questa idea è il frutto della lungimiranza di alcuni importanti scienziati, tra cui vi è anche l’italiano Edoardo Amaldi. L’idea prende forma concreta, e nel 1952 i rappresentanti di vari Paesi europei firmano un accordo per la creazione di un Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire, da cui l’acronimo CERN. Ginevra viene scelta come sede del centro tramite un referendum cantonale indetto nel 1953, e l’anno successivo dodici Paesi membri dell’Unione Europea, tra cui l’Italia, firmano la convenzione che istituisce il CERN.
È il 29 settembre 1954.La convenzione sottolineava il ruolo del CERN nel promuovere la collaborazione internazionale e nel favorire i contatti tra scienziati di vari Paesi. Importante è notare come scopo del laboratorio fosse dichiaratamente quello di rendere pubblici i risultati delle proprie ricerche e di favorire la formazione dei giovani nel settore scientifico e tecnologico in un ambiente internazionale. Lo statuto dichiarava inoltre esplicitamente l’estraneità a qualunque programma di ricerca per fini militari. Ecco che il CERN si propone, quindi, come un ponte di pace in un continente profondamente segnato dalle ferite lasciate dal conflitto mondiale. Inizia, così, la costruzione degli acceleratori di particelle: il sincrotrone a protoni, il sincrociclotrone, gli Intersecting Storage Rings, il super-protosincrotrone, il LEAR (Low Energy Antiprotron Ring), il LEP (Large Electron Positron collider), e infine l’LHC (Large Hadron Collider). Di cosa si tratta? Andiamo qui a riprendere il concetto di “alte energie”, che avevamo prima lasciato in sospeso. Poiché le particelle che i fisici intendono studiare non esistono in natura in condizioni ordinarie e non si possono, quindi, semplicemente rilevare, è necessario “crearle”. Da cosa? Dalle particelle come i protoni, che vengono fatte “correre” in direzioni opposte (negli acceleratori, appunto) sino a scontrarsi tra loro: l’urto, che avviene ad altissima energia, produce particelle figlie, analizzando le quali è possibile risalire alle caratteristiche delle particelle madri. In questo modo sono state scoperte particelle prima ignote o di cui si ipotizzava solamente l’esistenza, come il bosone di Higgs. Interessante è notare come dei sette acceleratori costruiti al CERN nessuno è stato “buttato”: fin dal principio è stato infatti previsto che ogni nuova e più potente macchina avrebbe utilizzato le precedenti come "iniettori", creando così una catena di acceleratori capace di portare gradualmente un fascio di particelle ad energie sempre più elevate. Tutto ciò potrebbe apparire comunque qualcosa di astratto e lontano dalle nostre vite: eppure non si tratta di uno studio fine a se stesso, ma ricco di applicazioni, in primis in campo biomedico, in ambito sia diagnostico, sia terapeutico.

Concludendo, possiamo dire che il CERN è riuscito nella sua missione originaria? Il CERN è oggi una piccola città di 8000 abitanti. Dicono sia difficile trovarvi due persone nate nella stessa città. Venti sono gli stati membri, ma ben di più sono i Paesi che vi ruotano intorno come “spettatori” e come collaboratori. Ecco che il CERN rappresenta un luogo in cui scienziati da tutto il mondo cooperano per obiettivi condivisi e parlano la stessa lingua, quella della scienza, che supera confini e ostilità nazionali, di religione, di cultura.
Un laboratorio vivace e un ambiente stimolante, soprattutto per i giovani ricercatori. Un motore di continua ricerca ed innovazione. Come si configurava nella mente degli scienziati, e prima ancora uomini, in quel giorno di settembre del 1954.

Francesca Busetti


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Generazione ansiosa perché troppo online?

bambini e bambine con smartphone in mano

La Generazione ansiosa. Come i social hanno rovinato i nostri figli (Rizzoli, 2024), di Jonathan Haidt, è un saggio dal titolo esplicativo. Dedicato alla Gen Z, la prima ad aver sperimentato pubertà e adolescenza completamente sullo smartphone, indaga su una solida base scientifica i danni che questi strumenti possono portare a ragazzi e ragazze. Ma sul tema altre voci si sono espresse con pareri discordi.

TikTok e Instagram sono sempre più popolati da persone giovanissime, questo è ormai un dato di fatto. Sebbene la legge Children’s Online Privacy Protection Act (COPPA) del 1998 stabilisca i tredici anni come età minima per accettare le condizioni delle aziende, fornire i propri dati e creare un account personale, risulta comunque molto semplice eludere questi controlli, poiché non è prevista alcuna verifica effettiva.