Oggigiorno, quando un scienziato cambia idea su temi quali il riscaldamento globale e le sue cause, non si può dire che passi inosservato, specialmente se affida il suo pensiero al New York Times, come fece il Prof. Richard A. Muller il 28 luglio 2012. Detto questo, non bisognerebbe dimenticare che tutte le interpretazioni degli scienziati sono ipotesi, ossia tentativi da sottoporre a verifica e rivedere quando si dimostrano insoddisfacenti.
Lo ricordava il famoso biologo evoluzionista tedesco, naturalizzato americano, Ernst Mayr (1904-2005) in “The Growth of Biological Thought: Diversity, Evolution and Inheritance (1982)”, aggiungendo che “cambiare idea, per un grande scienziato, non è un segno di debolezza ma piuttosto la dimostrazione che è sempre attento al problema ed è in grado di verificare la sua ipotesi continuamente”.
A questo proposito, la storia della scienza offre parecchi esempi e quello del chimico belga Stas, di cui ricorre il bicentenario della nascita, sembra uno dei più indicati. Il nome di Jean-Servais (Louvain, 1813 – Saint Gilles, 1891) non è molto conosciuto in Italia, nemmeno tra gli addetti ai lavori. Eppure il chimico russo Dmitrij Ivanovič Mendeleev, la cui “tavola” è nota a ogni persona di media cultura, lo citò ripetutamente sia nei suoi scritti dedicati alla legge della periodicità degli elementi chimici (1871) (1898) che nella Faraday Lecture tenuta a Londra nel 1889. Nel primo (1871) ricordò i suoi “precisi studi sui pesi atomici dei metalli alcalini e degli aloidi (alogeni)”, nel secondo (1898) invece ne mise in dubbio il risultato ottenuto sul peso atomico dello iodio (126,85), pur definendolo frutto del lavoro di “un ricercatore della forza e del valore di Stas”. Il risultato di Stas non corrispondeva alle previsioni di Mendeleev. Lo invitò ad accertarsi che i campioni di iodio fossero sufficientemente puri ma il chimico di Lovanio aveva ragione, mentre Mendeleev aveva torto. La corretta valutazione del peso atomico degli elementi aveva un ruolo decisivo nella formulazione della legge della periodicità che, ad opera di Mendeleev e di altri, correlava il peso atomico alle proprietà chimiche, consolidando in tal modo le basi matematiche della chimica classica.
Più tardi, i numeri atomici presero il posto dei pesi e questo risolse le apparenti discrepanze.
Tornando a Stas, risulta che si era diplomato in medicina nel 1835 ma anche grazie al suo professore di chimica Jean-Baptiste Van Mons (1765—1830) fu attratto da quella disciplina. Da lui apprese le tecniche sperimentali, poi le mise alla prova in un laboratorio a casa propria, allestito con le proprie mani.
Nel 1837 si recò a Parigi dove fu accolto in quello di Jean Baptiste Dumas (1800-1884), uno dei più illustri capiscuola di quel periodo. Fu sotto la guida di Dumas che Stas, dopo alcune ricerche che lo fecero apprezzare anche da Berzelius, iniziò ad occuparsi della determinazione dei pesi atomici. Cominciò da quello un po’ controverso del carbonio, utilizzando tecniche raffinate. Nel 1840 lasciò Parigi per Bruxelles dove era stato appena nominato professore di chimica alla Scuola Militare. Continuò le ricerche sui pesi atomici occupandosi dei seguenti elementi: cloro, bromo, fluoro, zolfo, azoto, potassio, sodio, litio, calcio, bario, piombo e argento. Il suo intento era quello di verificare l’ipotesi di Prout (1815), una teoria famosa ma discussa, legata al tema dell’unità della materia.
L’inglese William Prout (1785-1850) sosteneva che la materia era costituita da un componente unico (protilo), dalla condensazione del quale provenivano tutti gli elementi. Si basava sul fatto che i pesi atomici, riferiti all’idrogeno, erano numeri interi. Inizialmente, anche Stas era un sostenitore di Prout. Lo ammise nella memoria riassuntiva, divenuta un classico della letteratura chimica, “Recherches sur les rapports réciproques des poids atomiques” pubblicata nel Bollettino dell’ Accademia delle Scienze Belga (1860). Scrisse infatti: “Confesso francamente che quando intrapresi queste ricerche avevo una fiducia quasi assoluta nell’esattezza dell’ipotesi di Prout”. Più avanti spiegò come si fecero avanti i primi dubbi quando trovò che i risultati di nuove determinazioni sul carbonio (1845) non concordavano abbastanza con quelli precedenti. Così estese le sue determinazioni ad altri elementi, non tanto per determinarne i pesi ma piuttosto i rapporti relativi, operando con la massima accuratezza e con metodi noti.
Il biografo Spring scrisse che si dedicò a queste ricerche con la serenità di spirito del filosofo.
Stas concluse il suo rapporto all’Accademia con la sentenza che decretò la fine dell’ipotesi di Prout: “Fintanto che per stabilire le leggi che regolano la materia ci si atterrà all’esperienza, si deve considerare la legge di Prout una pura illusione”.