fbpx Si può fare ricerca in Italia ma dobbiamo essere aiutati | Scienza in rete

Si può fare ricerca in Italia ma dobbiamo essere aiutati

Read time: 11 mins

Giulio Di Toro è professore associato presso il Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova.
E’ fra i più brillanti e promettenti ricercatori del nostro panorama.
Obiettivo principale della sua ricerca è di unire osservazioni provenienti da indagini geologiche di terreno e sperimentali con indagini sismologiche per meglio comprendere la fisica dei terremoti. Con un team di geofisici ed ingegneri, ha realizzato lo SHIVA, il più potente simulatore di terremoti esistente al mondo installato presso l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Roma, e curato l’installazione di un secondo apparato sperimentale per studiare l’attrito nelle rocce e in altri materiali presso il Dipartimento di Geoscienze di Padova.
Nel 2007 ha vinto il suo primo grant ERC. I risultati ottenuti grazie a questo finanziamento sono stati alla base per ottenere nel 2013 l’ERC Consolidator Grant. Sono solo 46 i ricercatori italiani ad aver vinto nel 2013 questa borsa che valorizza i progetti d’eccellenza europei.
Ma 28 di loro hanno deciso di trovare la host istitution in altro paese. Per i nostri ricercatori che vanno via pochissimi stranieri (uno solo) scelgono lo Stivale per fare ricerca.

Partiamo subito dai uno dei dati più interessanti, perché pochi ricercatori stranieri decidono di sviluppare il proprio progetto di ricerca in Italia?
Questo dato, che si ripete sistematicamente ad ogni call di progetti ERC, è un vero danno per il nostro sistema di ricerca. Solo riuscendo a reclutare i migliori talenti italiani e non a livello internazionale possiamo rilanciare le nostre Università. Le call ERC hanno messo a nudo impietosamente i problemi del sistema ricerca italiano: hanno evidenziato le differenze tra paesi che hanno una visione della ricerca, e paesi a cui tale visione manca, fra cui il nostro.

Quali sono secondo lei i problemi principali che affliggono la gestione dei grant ERC in Italia?
Cinque  sono i problemi che rendono difficile sviluppare il proprio progetto ERC in Italia:
1) INFRASTRUTTURE di livello internazionale. Sono poche e a volte senza tecnici: ci sarà un ragione se le classifiche internazionali posizionano le nostre migliori Università oltre il 200esimo posto. E un laboratorio che non produce dati ha un costo elevatissimo per la società.
2) BUROCRAZIA. Non c’è un supporto concreto, o è molto migliorabile, da parte delle amministrazione dei propri atenei.
3) SALARI. Gli stipendi sono nettamente più bassi di quelli di qualsiasi altro paese che vuole basare la propria crescita sulla ricerca.
4) PROSPETTIVE. Non siamo in grado di dare ai giovani delle prospettive. Figuriamoci a chi se ne è andato all'estero quando da giovane, in Italia, si è visto passare davanti persone con un CV nettamente inferiore al suo. Immagino non abbia un bel ricordo dell'Italia.
5) MERITO. Viviamo in un Paese che non premia il merito.

Proposte?
Il nostro sistema ricerca va rapidamente riformato. Faccio notare che i punti 2, 4 e 5 sarebbero a costo zero. Se la smettessimo di promuovere persone con CV scadenti, si troverebbero i  fondi per giovani ricercatori validi. Forse pochi fondi all'inizio, ma sarebbe un cambiamento di rotta. Lavorando sul punto 2 (meno tempo per la burocrazia = meno soldi per la burocrazia) si troverebbero risorse per i punti 3 e 4.
Introdurre la  meritocrazia è un passaggio fondamentale. Un'iniziativa lodevole come la valutazione della ricerca (Anvur) ha portato alla luce come il 30% dei docenti universitari in Italia non produce ricerca: cosa fanno? Sottraggono forse il lavoro ai nostri giovani laureati (e abbiamo il 40% di disoccupazione giovanile)?
In qualsiasi altro paese  queste persone dovrebbero essere pagate solo per la loro attività didattica e andrebbero escluse da qualsiasi attività decisionale che non riguardi la didattica. Le risorse risparmiate dovrebbero consentire la stabilizzazione dei moltio bravi precari che fanno ricerca nei nostri atenei.
Ci troviamo invece nella situazione in cui il Ministero dell’Istruzione deve lottare con fortissime resistenze per poter destinare fondi ad hoc agli atenei più virtuosi. In questa realtà, perché uno straniero o un italiano che lavora all'estero dovrebbe portare un finanziamento nel nostro Paese?

Ma quali sono le difficoltà reali che voi vincitori di ERC incontrate ogni giorno?
La parola giusta è proprio questa: difficoltà. Questo è strano, perché dovremmo essere aiutati, siamo una risorsa per le Università. A Padova attraverso i fondi europei ERC sono arrivati circa 17-18 milioni di euro. Le nostre attività di ricerca, comprese quelle finanziate dal programma FP7, con pubblicazioni ad alto impatto, hanno contribuito a far sì che il nostro Ateneo sia risultato il migliore per ricerca in Italia in base ai recenti risultati della VQR. Invece di essere aiutati, molti di noi vengono lasciati soli: per esempio traduciamo i contratti ai ricercatori stranieri, e siamo costretti a gestire lungaggini amministrative e burocratiche che vi risparmio.
Abbiamo vinto dei grant per svolgere l’attività di ricerca non per fare i burocrati o gli amministrativi: non è il nostro mestiere. Ci sono persone che lo sanno fare molto meglio di noi. E io non voglio lavorare più di domenica per studiare documenti e risolvere problemi che non sono di mia competenza, togliendo tempo prezioso alla ricerca e alla mia famiglia.
La rendicontazione finanziaria dei progetti ERC va completata ogni 18 mesi. La stesura di questo documento può durare in media da tre a cinque settimane, non è di competenza del responsabile del progetto, ma dell'amministrazione della struttura ospitante. Per alcuni dei vincitori di grant ERC  questo tipo di attività burocratiche sono invece per il 90% a carico del responsabile scientifico del progetto. A questo ulteriore carico di lavoro per il principal investigator (PI) si aggiungono l'eccessiva burocratizzazione del sistema pubblico italiano e l'interpretazione ancora più restrittiva delle leggi. Ne consegue che all'impegno profuso dal PI nella gestione amministrativa del progetto si aggiunge il carico didattico (che ci spetta ed è una cosa meravigliosa).
Tutte queste attività ostacolano di fatto la continuità della ricerca. E’ questo non è un bene dato che  l'estrema competizione che caratterizza la ricerca "di punta" fa sì che queste distrazioni di risorse intellettuali e ritardi burocratici - amministrativi rendono meno competitiva la nostra attività di ricerca.
Basterebbe poco per migliorare il sistema: per esempio utilizzando parte del budget che abbiamo a disposizione per reclutare personale amministrativo. Magari selezionato da noi ricercatori, visto che sarà pagato sui nostri fondi.

Una volta però riusciti a districarsi  fra IVA e report, potete reclutare i migliori talenti in circolazione?
A volte, ma che battaglie! Pur avendo a disposizione cospicui finanziamenti non siamo “appetibili”. Siamo costretti a seguire le regole dell’hosting institution. Un post-doc in paesi come nei Paesi Bassi, Gran Bretagna o Germania prende oltre 2500 euro al mese, cifre che non possiamo offrire perché il sistema di retribuzione all’interno delle nostre università prevede salari per queste figure molto più bassi (1700 Euro mese, e il costo della vita in molti paesi è circa uguale al nostro). Nonostante questo, sono riuscito a portare diversi post-doc europei di valore (hanno ottenuto diversi riconoscimenti internazionali) a lavorare nel nostro gruppo di ricerca, anche perché era mia intenzione dimostrare fattivamente che possiamo portare ragazzi in gamba in Italia. Ma mettiamo il caso di riuscire a convincere un giovane ricercatore extracomunitario a venire a lavorare in Italia: ecco che incomincerà il suo percorso minato nella burocrazia italiana. Un episodio valga per tutti: alcuni anni fa un ricercatore americano dell'Università di Stanford mi aveva contattato per collaborare con noi. Avevamo ottenuto  finanziamento di 180.000 USD dalla National Science Foundation affinché trascorresse due anni in Italia insieme alla sua famiglia per lavorare con il nostro gruppo di ricerca. Siamo entrati nelle spire della Bossi-Fini: il primo anno lui era a posto e sua moglie e la bimba clandestini. Il visto non arrivava mai....  il secondo anno  è diventato un clandestino anche lui e sono tornati negli USA.... Peccato.... non siamo riusciti a fargli spendere quei soldi in Italia.  Li ha spesi nel suo paese.

Puntiamo sui giovani italiani, allora?
Anche qui ci sono percorsi a ostacoli inspiegabili e mortificanti. Esistono due forme contrattuali principali per i precari nell'Università: gli assegni di ricerca che devono avere durata almeno annuale ed essere finanziati su di un singolo progetto, e i co.co.co., che possono durare meno di un anno. Se un precario di trova scoperto per 6-7 mesi tra un progetto e quello successivo, proviamo ad offrirgli un co.co.co. Come faccio a mandare avanti un laboratorio senza personale? Ma per le regole della Riforma Gelmini, un giovane ricercatore a cui sottoscrivo un contratto co.co.co. nell'Università  non può essere autore di un lavoro scientifico. Può dare solo un contributo "tecnico" e non deve rientrare tra gli autori.... e "tecnicamente" ci costringe a lasciare per strada un precario. Ovvio che poi i giovani scappino via. E sono i migliori ad andarsene, perché sono quelli che hanno mercato. Di fatto la legge colpisca sistematicamente i più deboli, i precari, che sono il vero motore della ricerca italiana. Il contratto parte con un mese di ritardo? Due?  Pazienza...  prima  o poi arriverà....  Non gli offriamo né il presente né il futuro. Una vergogna.

Per non parlare poi dei rimborsi per i viaggi…
Ma è possibile che si può rimborsare una trasferta solo se si passa da Padova. Questo è un non senso. Come possiamo chiedere a un Team Member (i collaboratori "stretti" del responsabile dei progetti ERC) che lavora, per esempio, a New York di passare per Padova per poter partecipare a un congresso a San Francisco per svolgere attività strettamente inerenti al progetto? Ma molti di questi problemi non si riscontrano solo a Padova, anche altri vincitori di ERC di diverse realtà vivono situazioni simili. Molti di noi stanno portando alla luce queste criticità e confidiamo in un immediato e drastico cambiamento di rotta. Altrimenti non saremo in grado di raggiungere gli obiettivi prefissati dei progetti ERC. E questo è sperpero di denaro pubblico. Non ho intenzione di essere "responsabile" di una cosa simile.

Al di là dei noti problemi della burocrazia italiana, chi vince un grant ERC viene premiato dal nostro sistema universitario?
I progetti ERC sono riconosciuti a livello mondiale come evidenza di "risultato di eccellenza nella ricerca”.
In base a DM del 2011, i vincitori di progetti ERC possono essere destinatari di chiamate dirette per la copertura di posti di professore ordinario e associato in virtù dell’equipollenza del loro ruolo quali coordinatori dei progetti medesimi. Ma questo raramente accade e in tempi lunghi, ecco la mancanza di prospettive di cui parlano all’inizio. C’è comunque una speranza, il Ministro Carrozza ha recentemente  affermato di prevedere per il  2014 “..di riservare dei punti organico per le chiamate dirette di vincitori dell’ERC non in settori specifici…”. Ma occorrerà anche dare spazio in futuro a queste persone per le scelte strategiche degli atenei: se la migliore università italiana brancola tra il 200 e 300esimo posto al mondo, è evidente che le scelte fatte nei decenni passati sono state fallimentari. E' giunto il momento di avere una visione, guardare lontano e fare delle scelte anche drastiche e a volte dolorose.

Ma come si può migliorare questa situazione?
Per quanto riguarda i progetti ERC è facile: eliminare i lacci e lacciuoli, lasciarci liberi di utilizzare i nostri fondi e premiare il merito. Notate che i progetti ERC hanno ben due revisori dei conti, uno italiano e un secondo dell'Unione Europea. Ed è giustissimo: si tratta di denaro pubblico. E proprio per questo dobbiamo farlo fruttare. Perché sono soldi di tutti. Ed è solo con la ricerca di base e le sue applicazioni che questo paese può evitare un declino che sembra inarrestabile. Occorre affrontare in maniera seria i cinque punti che ho elencato all'inizio di questa intervista. Dobbiamo fare in modo che in Italia si possa fare ricerca in maniera davvero indipendente, così come è richiesto dai bandi europei. Un ricercatore che conduce studi in libertà è un ricercatore che realizza il suo sogno. Probabilmente un bel sogno, visto che è stato selezionato tra decine e decine.  E' un sogno che può realizzarsi e diventare un capitale per il suo paese.

Perché non se ne è andato all'estero con il suo grant?
Sì, ci penso spesso, ma poi rifletto sul fatto che anche in Italia si può fare un'ottima ricerca. Abbiamo tante eccellenze che riescono a emergere fra le molte difficoltà. Quando ho dei momenti in cui vorrei lasciare tutto mi basta pensare  ai "miei" ragazzi. Rivedo quei ragazzi che vedo crescere giorno dopo giorno, esporre nei congressi internazionali con passione i risultati di anni di lavoro e rispondere con chiarezza alle domande degli specialisti. E' una soddisfazione immensa, che mi ripaga di tutto. Ho avuto la fortuna di avere bravissimi collaboratori italiani e stranieri in questi anni. Le nostre università  - chissà ancora per quanto - sfornano  spesso ragazzi preparati e svegli, motivatissimi. Ma se occorre valorizzare i nostri giovani, è altrettanto importante attrarre giovani studiosi da fuori: hanno esperienze diverse, conoscono cose diverse. E' un mix di idee che può diventare davvero esplosivo e contribuire, nel nostro piccolo, ad arrestare la decadenza del nostro paese.

E' difficile vincere un grant ERC?
Le probabilità di successo sono in media del 10-13%, limitate al 3% per alcune call.
Quando ho ottenuto il mio primo grant ERC, nel campo delle scienze della terra, erano state presentate 500 domande e solo in 12 sono state finanziate.
Un progetto per essere finanziato deve anche dare una visione, saper tracciare una nuova prospettiva in quel campo di ricerca. E poi conta moltissimo il curriculum. Bisogna fare bene prima! Dimostrare che il proprio lavoro ha avuto un impatto nella comunità di appartenenza, non solo con pubblicazioni, ma, soprattutto per i più giovani, anche per gli interventi a invito nei più importanti congressi internazionali. I panel scientifici che giudicano i progetti ERC si basano sia sulla "qualità" del candidato sia del suo progetto. Dareste due milioni di euro a una persona che non offre garanzie?  Qui non esiste l'autoreferenzialità. Gli anni di dottorato e i primi anni di post-dottorato sono fondamentali per costruire un background scientifico competitivo a livello internazionale.
Ripensandoci, sono stati gli anni più belli: sarò stato un precario, ma potevo stare ore a concentrarmi su un problema... ed era un problema scientifico... non amministrativo.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Di latticini, biotecnologie e latte sintetico

La produzione di formaggio è tradizionalmente legata all’allevamento bovino, ma l’uso di batteri geneticamente modificati per produrre caglio ha ridotto in modo significativo la necessità di sacrificare vitelli. Le mucche, però, devono comunque essere ingravidate per la produzione di latte, con conseguente nascita dei vitelli: come si può ovviare? Una risposta è il latte "sintetico" (non propriamente coltivato), che, al di là dei vantaggi etici, ha anche un minor costo ambientale.

Per fare il formaggio ci vuole il latte (e il caglio). Per fare sia il latte che il caglio servono le vacche (e i vitelli). Cioè ci vuole una vitella di razza lattifera, allevata fino a raggiungere l’età riproduttiva, inseminata artificialmente appena possibile con il seme di un toro selezionato e successivamente “forzata”, cioè con periodi brevissimi tra una gravidanza e la successiva e tra una lattazione e l’altra, in modo da produrre più latte possibile per il maggior tempo possibile nell’arco dell’anno.