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Quando la scuola italiana cacciò gli ebrei

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In base ai documenti esposti alla mostra “Diaspore –1938, l’Università di Bologna davanti alle leggi razziali”, inaugurata nel loggiato dell’Archiginnasio della città felsinea il 24 gennaio scorso, il Regime Fascista cambiò atteggiamento nei confronti degli studenti e dei docenti ebrei nell’arco di pochi anni, tra il 1936 ca. e il 1938.
Bologna era una sede ospitale e specialmente dal 1930 in poi il flusso di studenti ebrei si era impennato.
Paesi come la Polonia e la Romania avevano contribuito all’aumento dell’immigrazione più di altri.
Fra il 1930 e il 1934 gli studenti ebrei erano più che raddoppiati, passando da 200 circa a 500.
Un buon numero erano iscritti al Guf (Gruppo Universitario Fascista) e collaboravano al giornale universitario “Nuova Guardia” anche come traduttori.
Nel 1933, a Venezia, si era tenuto il XV Congresso della C.I.E. (Conféderation internationale des étudiantes) e si era discusso anche del razzismo. Nel 1935, il giornale fascista ospitò senza censure il resoconto di quella discussione, dando spazio anche agli interventi critici e alle opinioni di chi, come il giovane Raoul Follereau (1903-1977), condannava le teorie di Hitler sulla razza ariana ritenendole palesi sciocchezze. In quell’anno gli studenti bolognesi si presero anche la libertà di prendere in giro il Führer.
Lo fecero alla Festa delle Matricole, sui carri allegorici, con pesanti allusioni. Lo scherzo non sfuggì all’ambasciata tedesca e una sorta di rapporto sull’accaduto, esposta in copia alla mostra, partì per la Germania.

Ma perché c’erano tanti studenti ebrei in Italia provenienti  soprattutto dall’Europa dell’Est? La spiegazione sta nel fatto che in alcuni paesi erano in vigore da anni misure restrittive per l’ammissione di studenti ebrei all’università. In Ungheria, ad esempio, si era incominciato nel 1920, nell’Impero Russo nella seconda metà dell’Ottocento, in Polonia la decisione era demandata alla discrezionalità dei Rettori, con tristi conseguenze.
In Italia arrivammo dopo. Sembra incredibile ma Benito Mussolini, fino al ’36, auspicava: “una collaborazione metodica dell’occidente e dell’oriente, e soprattutto una più profonda conoscenza reciproca delle classi universitarie”. Tali parole, che sembravano rassicuranti, erano dirette agli studenti orientali che avevano tenuto il loro 13° congresso a Bologna in occasione dei Littoriali.
Poi, chissà perché, l’aria cambiò in tutta fretta. Precedute dalla propaganda antisemita alimentata dagli organi stampa e dal “Manifesto della Razza”, si giunse alle leggi razziali del settembre 1938. Martedì 1 febbraio 1938, il quotidiano di Bologna anticipava l’evento sotto il titolo “Perché cessi l’equivoco” e scriveva : “I bravi ragazzi ebrei che sabato sera sono venuti nella nostra Redazione per perorare la causa dei loro correligionari, ci hanno assicurato che nessuno di loro intende fermarsi ad esercitare la professione in Italia. Ah, davvero? Forse con le loro parole volevano farci vedere… i sorci verdi”. Seguivano ironici esempi di domande di lavoro firmate: Ropschütz, Klein, Nawratzi ecc..  

L’equivoco cessò nel settembre del 1938. Il giornale cittadino diede notizia delle deliberazioni del Consiglio dei Ministri a tutta pagina nel numero del giorno 11. Alcuni titoli: “Intransigenza necessaria”, “Il testo dei provvedimenti” e “Questione di orgoglio”. Quello però che fa rabbrividire è “Incontaminata Scuola Fascista”.  Come ricorda la mostra, l’applicazione delle leggi razziali colpì centinaia di studenti ebrei e 49 tra professori ordinari, liberi docenti, assistenti ed aiuti. Il personale tecnico-amministrativo non ne risentì perché nel censimento dell’agosto precedente nessun impiegato risultava ebreo. Alcuni docenti (Edoardo Volterra, Rodolfo Mondolfo, Beniamino Segre ed altri) andarono all’estero, altri furono deportati e gli studenti dovettero interrompere gli studi universitari. Nel 1939 lo zoologo Alessandro Ghigi (1875-1970), Rettore dell’Università, pubblicò il libro “Problemi biologici della razza e del meticciato” e il clinico Arturo Donaggio (1868-1942), già firmatario del “Manifesto”, pubblicò “Il genio della razza”.
Fu una deriva continua e vergognosa cui pose fine solo la Guerra di Liberazione con il reintegro dei sopravvissuti nelle funzioni da cui erano stati ignobilmente cacciati.

E’ possibile che qualche visitatore della mostra si chieda perché il Regime Fascista passò frettolosamente da un atteggiamento ambiguo ma tollerante verso gli ebrei alla loro persecuzione. Non sono esposti documenti che motivino il voltafaccia ma è bene far notare che l’Archivio Storico si riferisce all’Ateneo, quindi non gli si poteva chiedere molto di più, visto che le leggi razziali repentinamente applicate in maniera così zelante, maturarono altrove. 


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