fbpx I due anelli del Centauro | Scienza in rete

I due anelli del Centauro

Tempo di lettura: 5 mins

Quando sentiamo parlare di anelli planetari, il pensiero corre inevitabilmente al fantastico e sontuoso spettacolo offerto da Saturno. E giustamente: è di gran lunga il più vistoso e fotogenico dei quattro sistemi di anelli conosciuti. La vera natura della curiosa struttura intorno a Saturno venne identificata come un anello nel 1655 da Christiaan Huygens, ma il primo a notare che c'era qualcosa di strano da quelle parti fu Galileo, che nel 1610 scrisse a Keplero di aver osservato “che il pianeta più alto è triplice”.
Prima di scoprire che la struttura che cingeva Saturno non era affatto l'unica presente nel Sistema solare, si dovrà attendere il 10 marzo 1977. Grazie al Kuiper Airborne Observatory - un aereo cargo trasformato in osservatorio astronomico - James Elliot, Edward Dunham e Douglas Mink avevano pianificato di studiare il passaggio del pianeta Urano dinanzi a una stella (una occultazione, in termini tecnici) per ricavare informazioni sull'atmosfera del pianeta. La successiva analisi della variazione della luce stellare li avrebbe portati a scoprire la presenza attorno a Urano di un sistema di anelli (oggi sappiamo che il pianeta ha 13 anelli distinti).
Nel 1979 la sonda Voyager 1 osservò per la prima volta gli anelli di Giove, poi studiati nei dettagli soprattutto grazie alla missione Galileo e alle osservazioni con l'Hubble Space Telescope. Dei pianeti giganti, insomma, mancava all'appello solamente Nettuno, ma l'assenza durò solo qualche anno. A metà degli anni Ottanta, infatti, su suggerimento di André Brahic e Bruno Sicardy, alcuni team osservarono l'occultazione del pianeta e scoprirono alcune irregolarità che suggerivano la presenza non di un anello completo, ma di strutture simili ad archi. La parola definitiva la diede il Voyager 2, che nel 1989 confermò che anche Nettuno aveva un sistema di cinque anelli, il principale dei quali aveva una struttura irregolare.

Da allora, nonostante ricerche accurate, non sono stati individuati altri anelli intorno a oggetti planetari del Sistema solare, men che meno intorno a oggetti di stazza più piccola. Nei giorni scorsi, però, un folto gruppo di ricercatori coordinati dall'astronomo brasiliano Felipe Braga-Ribas (Observatorio Nacional di Rio de Janeiro) ha annunciato la scoperta di un sistema di anelli intorno Chariklo. Questo pianeta nano del diametro di circa 250 chilometri è il rappresentante di maggiori dimensioni della classe dei Centauri, corpi celesti che hanno orbite confinate grossomodo tra quelle di Giove e di Nettuno. Il loro nome inquadra alla perfezione la loro curiosa doppia natura, dato che mostrano caratteristiche e comportamenti simili sia agli asteroidi che alle comete.
La tecnica impiegata dagli astronomi è identica a quella che aveva permesso di scoprire le strutture di Urano e Nettuno: l'occultazione di una stella. Proprio come allora, anche stavolta la scoperta delle strutture è giunta inaspettata: “Non stavamo cercando anelli - ha commentato Braga-Ribas - e non pensavamo che piccoli corpi come Chariklo ne avessero; la scoperta e l'incredibile quantità di dettagli che abbiamo potuto osservare nel sistema, perciò, sono stati un'autentica sorpresa!”. Il passaggio del pianeta nano di fronte alla stella era previsto per il 3 giugno dello scorso anno e per tale circostanza erano stati allertati numerosi osservatori dell'America meridionale.
Proprio come era successo per Nettuno, anche con Chariklo si sono registrate due brevi diminuzioni dell'intensità luminosa della stella pochi attimi prima e pochi attimi dopo l'occultazione vera e propria. In tutto il passaggio è durato una manciata di secondi, ma la qualità e la quantità delle osservazioni disponibili ha permesso di ottenere il quadro esatto di quanto era accaduto. Nello studio pubblicato su Nature gli astronomi concludono che il sistema di Chariklo è composto da due anelli distinti, separati da un intervallo di nove chilometri. Le due strutture, provvisoriamente battezzate Oiapoque e Chui (due fiumi che più o meno segnano il confine settentrionale e meridionale del Brasile), sono larghe rispettivamente sette e tre chilometri. Indicazioni che appaiono davvero impressionanti se pensiamo che si riferiscono a un oggetto distante oltre un miliardo di chilometri dalla Terra.

La presenza di queste strutture, come si sottolinea in un commento alla scoperta apparso su Nature, può risolvere un piccolo enigma riguardante Chariklo. L'analisi del suo spettro luminoso, infatti, ha in passato indicato una composizione superficiale che cambia nel corso del tempo. Un anello di particelle ghiacciate che possiamo osservare da Terra in tutta la sua estensione, ma che può anche scomparire perché si mostra di taglio (è quello che periodicamente avviene con l'anello di Saturno), potrebbe rendere conto di quei cambiamenti. Forse un enigma trova dunque una risposta, ma ecco pronte numerose altre domande: come si è formato quel sistema di anelli? Che stabilità può avere? E' possibile che quell'intervallo tra i due anelli sia opera di un satellite “spazzino” come avviene per Saturno? Lo scenario più probabile sembra quello di un'origine collisionale, cioè si ipotizza che un piccolo corpo celeste abbia colpito Chariklo e dai frantumi originati nell'impatto si sia formata la struttura di anelli. Uno scenario che non esclude, dunque, l'esistenza di possibili grossi frammenti in orbita, come satelliti, intorno al Centauro.
L'osservazione più intrigante, però, è forse quella che ha buttato sul tappeto James Bauer, ricercatore del JPL. Secondo l'astronomo, dato che nel Sistema solare esterno di oggetti come Chariklo ce ne sono centinaia, se non migliaia, non possiamo escludere che gli anelli appena scoperti non siano affatto un'eccezione. “Ritengo che ci siano buone probabilità che riusciremo a individuare un altro sistema di anelli - ha commentato Bauer. Quando cominci a fare birdwatching e ti capita di osservare un uccello per la prima volta, è molto probabile che tu ti sia imbattuto in un uccello comune.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Perché ridiamo: capire la risata tra neuroscienze ed etologia

leone marino che si rotola

La risata ha origini antiche e un ruolo complesso, che il neuroscienziato Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi esplorano, tra studi ed esperimenti, nel loro saggio Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale. Per formulare una teoria che, facendo chiarezza sugli errori di partenza dei tentativi passati di spiegare il riso, lo vede al centro della socialità, nostra e di altre specie

Ridere è un comportamento che mettiamo in atto ogni giorno, siano risate “di pancia” o sorrisi più o meno lievi. È anche un comportamento che ne ha attirato, di interesse: da parte di psicologi, linguisti, filosofi, antropologi, tutti a interrogarsi sul ruolo e sulle origini della risata. Ma, avvertono il neuroscienziato Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi fin dalle prime pagine del loro libro, Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale (il Mulino, 2024):