fbpx Un atomo e un fotone verso il computer quantistico | Scienza in rete

Un atomo e un fotone verso il computer quantistico

Read time: 5 mins

Avete soltanto un atomo e un fotone, e dovete effettuare un’operazione logica: come fate? Grazie a uno studio pubblicato recentemente su Nature, realizzato da un gruppo di ricerca della Cambridge University (Massachussetts) guidato da Tobias Tiecke, ora sappiamo che è possibile. E questa scoperta rappresenta un notevole passo in avanti nella realizzazione di nuovi computer quantistici. Ma che cos’è un computer quantistico? Immaginate una macchina che riesca a effettuare calcoli utilizzando non circuiti elettronici, ma singoli atomi. Immaginate anche, già che ci siete, che questo computer gestisca informazioni strutturate non più in bit classici che possono elaborare soltanto valori del tipo 0/1, ma “bit estesi” che possono assumere anche valori intermedi, o più valori contemporaneamente. Ecco: quello che state immaginando è, pressappoco, un computer quantistico. L’idea è semplice, e consiste nello sfruttare le bizzarre leggi della meccanica quantistica per ottenere risultati che, nell’informatica “tradizionale”, sarebbero impossibili o enormemente difficili da ottenere.

Porte logiche quantistiche

Per arrivare al computer quantistico occorre innanzitutto avere a disposizione dispositivi costituiti da uno o pochi atomi (solo a quelle minuscole scale, infatti, si manifestano le proprietà quantistiche della materia) in grado di effettuare le operazioni di base. Nell’informatica classica questo compito è affidato alle porte logiche, che svolgono operazioni elementari su un input per produrre un output; le porte logiche sono alla base dei transistor e quindi dei processori.
La ricerca di Tiecke e colleghi dimostra appunto la possibilità di mettere a punto porte logiche “quantistiche”, composte solamente da un atomo e da un fotone. Nello studio, l’atomo era collocato in un dispositivo chiamato cristallo fotonico, nel quale veniva introdotto un singolo fotone prodotto da un laser. Il dispositivo usato dal gruppo statunitense è costituito da due specchi che riflettono parte della radiazione incidente: la luce che entra viene riflessa più volte, e parte di essa ne fuoriesce secondo geometrie particolari. Con una particolarità importante: le dimensioni del cristallo fotonico sono confrontabili con la lunghezza d’onda della radiazione.
In questa situazione, il fotone “sopravvive” solo se entra in risonanza con la cavità, e ne esce dopo aver subito un cambiamento nella sua fase; in ambito quantistico, tale cambiamento dipende dallo stato di spin dell’atomo presente in essa.
Controllando dall’esterno lo stato di spin dell’atomo possiamo influenzare la fase del fotone uscente: se il fotone non entra in risonanza con la cavità viene riflesso senza cambiare fase, altrimenti esce con fase differente. Misurando il valore della fase in uscita abbiamo una risposta del tipo 0/1 (fase uguale/diversa): in questo modo Tiecke e colleghi sono riusciti a realizzare l’analogo quantistico di una porta logica.

Bit e qubit

Ma qual è il vantaggio di realizzare computer quantistici? Per capirlo dobbiamo pensare a una caratteristica tipica della meccanica quantistica, il principio di sovrapposizione, secondo cui lo stato di un sistema quantistico, fintanto che non viene misurato, è il risultato della sovrapposizione di stati elementari. (Proprietà che sta alla base del celebre paradosso del gatto di Schrödinger.) Un sistema macroscopico, per esempio un dispositivo che elabora un bit, può trovarsi nello stato “0” o nello stato “1”; un “bit quantistico”, invece, fintanto che non viene misurato si trova contemporaneamente nello stato “0” e nello stato “1”. Un sistema di questo tipo viene detto “qubit”, e rappresenta l’unità di misura dell’informazione quantistica. I qubit possono contenere la stessa quantità informazione di un bit classico (perché all’atto della misurazione gli esiti possibili rimangono soltanto “0” o “1”), ma la sovrapposizione di stati prima della misurazione permette di gestire anche situazioni aggiuntive, corrispondenti ai vari valori intermedi.
Inoltre, per il fenomeno dell’entanglement quantistico, quando si mettono in comunicazione due qubit, un cambiamento nello stato del primo qubit modifica in maniera prevedibile anche lo stato del secondo: “Una caratteristica – spiega Rosario Lo Franco, fisico teorico all’Università di Palermo che si occupa di computer quantistici – che consente di registrare più dati simultaneamente nella memoria del computer, senza problemi di spazio. E allo stesso modo di recuperarli con estrema rapidità quando si esegue un’operazione di calcolo”.

Il “Sacro Graal” dell’informatica

Secondo molti, queste e altre possibilità offerte dai sistemi quantistici non rappresenteranno soltanto un passo in avanti nella potenza di calcolo, ma una vera e propria rivoluzione nel campo della computazione. Rivoluzione possibile proprio grazie allo sfruttamento delle leggi quantistiche, che non si manifestano nei sistemi macroscopici: “È proprio grazie alle strane proprietà subatomiche – prosegue Lo Franco – che un computer quantistico permetterà di ottenere prestazioni non realizzabili in alcun modo dai normali calcolatori, indipendentemente dalla loro potenza”. Basti un esempio: nel 1994 Peter Shor, all’epoca ricercatore presso i Bell Laboratories, dimostrò che il problema matematico della fattorizzazione di un numero primo (ovvero l’identificazione dei suoi divisori), se affrontato con una strategia quantistica, ha una complessità enormemente inferiore. Fattorizzare un numero primo di 400 cifre richiederebbe circa 10 miliardi di anni con la tecnologia tradizionale: con quella quantistica soltanto 3 anni. Non è un caso, quindi, se molti parlano del computer quantistico come del “Sacro Graal” dell’informatica.
Le straordinarie capacità dei computer quantistici possono trovare applicazioni negli ambiti più svariati, specialmente dove è richiesta l’elaborazione di moli sterminate di dati: dalle previsioni meteorologiche alla crittografia (notevoli, a questo proposito, sono le rivelazioni di Edward Snowden nell’ambito del caso NSA), dallo sviluppo di nuovi farmaci alla fisica teorica, dall’intelligenza artificiale all’astrofisica. A oggi esistono due prototipi di computer quantistico: si chiamano D-Wave One e D-Wave Two, occupano un’intera stanza di 10 m2 e sono stati prodotti dalla canadese D-Wave Systems al costo rispettivamente di 10 e 15 milioni di dollari. Il primo è andato alla Lockheed Martin, mentre il secondo (che conta 512 qubit) è stato acquistato alla fine dello scorso anno dal tandem di colossi Google e NASA, in sinergia per il progetto Quantum Artificial Intelligence Laboratory.
Per ora questi supercomputer non raggiungono le prestazioni del più potente calcolatore oggi esistente, il cinese Tianhe-2, ma rappresentano un primo passo verso la “rivoluzione quantistica”. Il lavoro di Tiecke e colleghi, insieme a quello di molti altri gruppi internazionali sparsi per il mondo, ci porta sempre più vicini a raggiungere il “Sacro Graal”. Anche se, come ricorda Lo Franco, “per vedere un computer quantistico al di fuori dei grandi laboratori di ricerca dovremo pazientare ancora alcuni anni”.


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

La COP29 delude. Ma quanti soldi servono per fermare il cambiamento climatico?

Il presidente della COP 29 di Baku, Mukhtar Babayev, chiude i lavori con applausi più di sollievo che di entusiasmo. Per fortuna è finita. Il tradizionale tour de force che come d'abitudine è terminato in ritardo, disegna un compromesso che scontenta molti. Promette 300 miliardi di dollari all'anno per aiutare i paesi in via di sviluppo ad affrontare la transizione, rimandando al 2035 la "promessa" di 1.300 miliardi annui richiesti. Passi avanti si sono fatti sull'articolo 6 dell'Accordo di Parigi, che regola il mercato del carbonio, e sul tema della trasparenza. Quella di Baku si conferma come la COP della finanza. Che ha comunque un ruolo importante da giocare, come spiega un report di cui parla questo articolo.

La COP 29 di Baku si è chiusa un giorno in ritardo con un testo variamente criticato, soprattutto dai paesi in via di sviluppo che hanno poca responsabilità ma molti danni derivanti dai cambiamenti climatici in corso. I 300 miliardi di dollari all'anno invece dei 1.300 miliardi considerati necessari per affrontare la transizione sono stati commentati così da Tina Stege, inviata delle Isole Marshall per il clima: «Ce ne andiamo con una piccola parte dei finanziamenti di cui i paesi vulnerabili al clima hanno urgentemente bisogno. Non è neanche lontanamente sufficiente.