E' stato ritrovato un nuovo santuario nascosto nel sito archeologico più studiato al
mondo. Il tutto grazie a una “nuvola” di milioni di pixel.
A tracciarla sono stati gli scanner 3D dei ricercatori dell’Università Suor
Orsola Benincasa di Napoli, tra i primi in Italia a dotarsi di strumenti per il
rilievo tridimensionale con fini di analisi, restauro e valorizzazione dei beni
culturali.
E proprio grazie a questi sofisticati sistemi di virtualizzazione
hanno visto nei pressi della Casa di Marco Fabio
Rufo a Pompei quel che generazioni di archeologi non erano ancora riusciti
a individuare: un santuario extraurbano in prossimità del vicus pubblicus,
collegato al tratto occidentale delle mura urbiche della città, e la presenza
di una Porta Occidentalis di accesso alla città risalente al III secolo a.C.
Scoperte emerse dagli studi coordinati dall’archeologo Mario Grimaldi e da Umberto
Pappalardo, direttore del “Centro Internazionale per gli Studi Pompeiani
Amedeo Maiuri” del Suor Orsola.
L’anima hi-tech del progetto è Leopoldo
Repola, ricercatore presso l’ateneo partenopeo ed esperto di Estetica
dell’architettura e delle nuove tecnologie applicate alla progettazione e al
controllo dei processi. “Il virtuale è nella società, e si appresta a fondarla,
e forse ciò già accade”, osserva Repola. “È per questo evidente il bisogno che la
ricerca, che del digitale fa ampio uso in termini strumentali e di concetto, si
apra alla condivisione delle esperienze.
Ciò appare doveroso ancor più ora che,
accanto all’uso commerciale del digitale, si sta sviluppando un uso formativo
delle informazioni”. In questo senso la musealizzazione è un ottimo test per
indagare gli effetti dell’impiego su un ampio pubblico delle tecnologie “per
verificare – specifica il ricercatore - la validità di strategie di
sviluppo di un economia reale, non ipotizzata, del patrimonio culturale”.
Dal 2004 presente a Pompei con un progetto di studio condotto su due aree
strategiche dentro e fuori le mura (a sud della Porta Marina, Villa Imperiale e
Granai, e nell’Insula Occidentalis), il Suor Orsola ha avviato la campagna
archeologica con scavi stratigrafici di nuova generazione nell’area del
giardino della Casa di Marco Fabio Rufo con l’obiettivo di documentare il
tratto occidentale del sito.
Gran parte degli studiosi hanno infatti da tempo
intuito l’importanza di tale area per la comprensione urbanistica esistente tra
le porte urbiche, quella di Ercolano e della Marina e una delle strade più
importanti della città, via di Nola. In quest’area la Casa di Marco Fabio Rufo
si trova in un a posizione strategica, a cominciare dal giardino di 1.581 metri
quadri si cui si sono concentrati i ricercatori con i loro saggi stratigrafici
(13 in dieci anni). A integrare e per molti versi “illuminare” il lavoro sono
intervenute le rilevazioni con metodologia scanner (laser e a luce
strutturata), pianificate in modo da produrre un primo modello generale
dell’intera area.
Le scanpositions interne alla casa sono state realizzate, in questa prima campagna
di rilievo 3d, in corrispondenza di alcuni tratti delle mura riconoscibili tra
i setti di compartimentazione dello spazio d’epoca successiva.
Dal duplice
lavoro di virtualizzazione, dentro e fuori la casa, delle fasi costruttive e
degli apparati decorativi gli archeologi hanno per la prima volta ottenuto gli
strumenti per poter inquadrare il monumento in uno scenario storico molto più
stratificato, risalente fino alla metà del II secolo a.C. Ed è proprio da
questa ricostruzione non solo in 3D ma a ritroso nel tempo che è emersa
l’esistenza di una Porta Occidentalis che, tra l’altro, meglio spiegherebbe la
presenza del vicus pubblicus poi privatizzato in età imperiale. Non solo,
perché alla ricostruzione si aggiunge un’altra “chicca”. “Un elemento emerso
con forza durante le ricerche – spiega Repola – che vanno a rinforzare l’idea
dell’esistenza di un edificio pubblico, verosimilmente un santuario extra
moenia databile per i materiali rinvenuti in dispersione al III- II secolo
a.C.”.
Grazie agli studi con scapositions (nel 2013 ne sono stati realizzati 20) i
manufatti archeologici sono stati interamente riprodotti in punti coordinati in
tre dimensioni. Lo scanner, infatti, è dotato di un laser che percorrendo lo
spazio intercetta le superfici degli oggetti, per ciascun punto lo strumento
memorizza la posizione sulla base del calcolo del tempo di volo dell’impulso
luminoso al fine di permettere a un software dedicato la determinarne delle
coordinate spaziali rispetto alla macchina.
Si ottiene, così, un insieme di
milioni di punti, detto “nuvola” che riproduce fedelmente in forma digitale il
manufatto rilevato. “Un progetto di musealizzazione di questo tipo - conclude
Repola - definito a partire da modelli numerici reali da scanner 3D è la
premessa per pensare di fruire di questo patrimonio con realtà aumentata
mediante dispositivi portatili e proiezioni mappate rigorosamente costruiti nei
contenuti. È così che si garantiscono nuove forme di fruizione turistica,
inedite esperienze formative rivolti a pubblici diversificati, strategie di
comunicazione crossmediale”.
Il bene archeologico si tramuta, cioè, da bene
passivo in attivo, in generatore di attività e opportunità. “Quel che
intendiamo fare è un uso critico delle tecnologie, l’uso prima del mezzo,
lo sviluppo e la strategia prima di mode sfrenate di impiego di tecnologie a
spese del pubblico”.
Pompei, santuario ritrovato grazie al 3D
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