Il Rapporto Ocse 2013 aveva evidenziato le difficoltà dell’avvio di un’azienda innovativa nel nostro Paese.
Il brevetto, forse il più importante tra mezzi a disposizione degli scienziati per trarre vantaggio in termini economici dalle proprie pubblicazioni, è poco utilizzato rispetto agli altri paesi.
Questo strumento, che permette il diritto esclusivo di sfruttamento dell'invenzione per un certo periodo di tempo, è stato inventato proprio in Italia. Filarco riporta che nel VII secolo a.c. il tiranno di Sibari, nella Magna Grecia, concedeva un monopolio di un anno per una pietanza “originale” in modo che “chi per primo l’avesse inventata ne potesse trarre profitto”.
Tuttavia, tornando ai giorni nostri, anche il rapporto Horizon 2020 fotografa una situazione allarmante per il numero di brevetti in Italia. Nel nostro Paese, nel 2010, sono stati depositati 11,7 brevetti per milione di abitanti contro una media Ocse di 38,7.
La Germania nello stesso anno ne ha prodotti 69,5 e il Giappone 118,2. Secondo l’AIRI (Associazione Italiana per la Ricerca Industriale), in Italia nel 2011 sono stati depositati 37,4 brevetti all’Ufficio Europeo Brevetti ogni mille ricercatori. Un numero molto basso se confrontato con i 77,5 della Germania.
Eppure nel nostro Paese si pubblica molto. In campo biomedico, per esempio, l’Italia è tra i primi quattro paesi per numero di pubblicazioni scientifiche.
Ma quando si tratta di trasferire le conoscenze in ambito tecnologico i progetti si fermano.
Secondo l’Unione Europea la colpa non sarebbe solo delle università ma anche delle imprese, che non riescono a dialogare con i centri di ricerca. La settima edizione della Community Innovation Survey, il rapporto che fotografa la situazione dell’innovazione nei paesi dell’Ue, evidenzia che in Italia solo il 12,1% delle imprese innovative nei prodotti ha collaborato con i ricercatori. È il valore più basso in Europa, dove la media è pari al 26,5%.
Le aziende italiane che nel 2013 hanno richiesto più brevetti europei sono state, nell’ordine, Lyondellbasell (prodotti petrolchimici), Indesit, Solvay, Tetra Laval (imballaggi), Chiesi Farmaceutici, Pirelli e Finmeccanica.
Ecco alcuni tentativi - più o meno riusciti - per far dialogare ricerca e imprese nel nostro Paese.
Science Park
Tra gli obiettivi di Horizon 2020 c’è il coinvolgimento delle istituzioni di ricerca nei progetti sul territorio. Progetti in cui vengano coinvolte anche le imprese, che non sono molto propense agli investimenti nella ricerca perché in genere sono di piccole e medie dimensioni, a gestione familiare e concentrate in settori tradizionali.
I parchi scientifici sono società o consorzi in cui le aziende private, che detengono la maggior parte delle quote, collaborano con la ricerca pubblica. In Italia ne esistono circa 40, di cui una trentina aderiscono a un’apposita associazione.
A Trieste per esempio c’è Area Science Park, un parco scientifico tecnologico che ospita sia ricercatori sia aziende locali, proprio con l’obiettivo di mettere in comunicazione scienza e industria. Area conta 2412 occupati e 88 aziende hi-tech e organismi di ricerca pubblici residenti.
"Area Science Park è un sistema peculiare nel panorama degli Enti nazionali di ricerca”, commenta Adriano De Maio, presidente del parco. “Il parco è un punto di riferimento italiano ed europeo per la capacità di tradurre le sue ricerche in applicazioni che incidono positivamente sulla qualità della vita delle persone e sullo sviluppo economico”.
Start up
Gli incubatori di imprese possono diventare l’occasione, sia per i ricercatori che per gli investitori, per lanciare un’idea sul mercato. Anche se i primi risalgono agli anni ‘60, è solo in questi ultimi anni che si è assistito all’esplosione del fenomeno.
In Italia sono 24 gli incubatori di Start up, e uno di questi si trova proprio all’interno di Area Science Park.
Avviato nel 2007, Innovation Factory è un incubatore per start-up che assiste le piccole e medie imprese del Friuli Venezia Giulia nella fase iniziale di sviluppo di un prodotto innovativo, occupandosi anche di reperire i fondi necessari per la finanziare la realizzazione delle idee. Innovation Factory, nei suoi primi sette anni di vita ha valutato 300 progetti.
“Per le imprese che decidono di localizzarsi nel parco scientifico si apre una maggiore possibilità di espansione sui mercati, in particolare per quelle che operano in campi con notevole potenziale di sviluppo, come l’energia ,il food, la salute, le tecnologie pulite e la conservazione e valorizzazione dei beni culturali” nota De Maio.
Spin off
Molte università favoriscono la nascita degli spin-off, riconoscendoli tra gli strumenti principali per il trasferimento della tecnologia sul mercato.
Si tratta di società fondate dai ricercatori in cui l’università può partecipare in qualità di socio. I ricercatori possono così ricevere parte degli utili, a patto che l'attività svolta sia nettamente distinta e non concorrenziale rispetto a quella che svolgono all'interno dei centri universitari.
A livello di spin-off degli istituti di ricerca pubblici italiani, un rapporto del 2011 redatto dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa evidenzia come dagli anni 2000 le microimprese legate alle università siano circa 100 ogni anno, localizzate principalmente al Nord e al Centro. Il Politecnico di Torino e quello di Milano, la stessa Scuola Sant’Anna e le Università di Bologna e Perugia sono tra gli istituti dai quali è più facile si sviluppino spin-off. Nel Sud Italia, si distinguono l’Università di Cagliari e quella della Calabria.
Phd Plus
L’Università di Pisa propone invece il Phd Plus, un percorso di formazione extracurricolare finalizzato alla valorizzzazione della ricerca e alle creazione di impresa. Tra gli obiettivi del Phd Plus c’è anche quello di fornire ai ricercatori gli strumenti per valorizzare e proteggere le loro scoperte. Luigi Francesco Cerfeda, studente di ingegneria biomedica all’Università di Pisa che partecipa al percorso, non nasconde l’entusiasmo. “Si parla di marketing e business plan, ma anche di comunicazione. Per un ingegnere può essere cruciale imparare a raccontare nel modo giusto il proprio progetto per attrarre potenziali investitori. L’idea, da sola, non basta a mandare avanti un’azienda”.