Intervista con il bioinformatico e filosofo Roman Brinzanik che con Tobias Hülswitt ha curato “Werden wir ewig leben?” edito per la casa editrice tedesca Suhrkamp, che raccoglie 14 interviste con biologi, bioeticisti e umanisti sul tema dell’immortalità.
Perché avete deciso di raccogliere delle
interviste su un tema così specifico come quello dell’estensione del tempo di
vita e dell’immortalità?
Il tema dell’estensione del tempo di vita è il leitmotiv del libro. Il mio
scopo era quello di parlare del carattere sociale della scienza, ovvero il modo
in cui scienza e società entrano in relazione e di come la scienza cambia la
vita degli individui e quella della società. La questione dell’estensione del
tempo di vita è interessante perché riguarda ogni individuo e perché permette
di parlare di molte cose, ad esempio di filosofia esistenzialista, di filosofia
politica, di epistemologia, del sistema pensionistico, di come le generazioni convivono,
di giustizia globale, di sanità pubblica, o di cosa intendiamo per “progresso”.
Una questione che interessa tutti dunque?
Con questo libro volevamo ottenere una reazione emotiva degli intervistati
e dei lettori. L’abbiamo fatto con l’idea di raddoppiare il tempo di vita media
delle persone. Nelle società ricche dell’occidente l’aspettativa di vita è di
80 anni; immaginiamo che attraverso la tecnologia biomedica sia possibile
raddoppiarla. È una prospettiva che di istinto suscita reazioni emotive. Alcune
persone mostrano entusiasmo, altre pensano che sia terribile, innaturale o
disgustoso.
In una delle
interviste, Ray Kurzweil sostiene la possibilità di prolungare la vita
all’infinito, mentre il teologo gesuita Friedhelm
Mennekes vede invece la morte come una speranza viva e come un orizzonte. In
un’altra intervista ancora, Hans R. Schöler, direttore dell’Istituto di
Biomedicina Molecolare del Max Planck Institute di Münster, mostra i limiti
pratici e metedologici di estendere la vita oltre un certo limite, e sostiene che
sarebbe il caso di valutare anche costi e benefici dell’impatto di certe
tecnologie sull’esistenza umana.
Kurzweil auspica davvero un’estensione della vita e parla addirittura di immortalità.
L’argomento a sostegno di questa ipotesi sostiene che lo sviluppo tecnologico
procede in maniera tanto veloce che nei prossimi anni la tecnolgia sconfiggerà
l’invecchiamento. Per ogni anno che passa ci sarebbe dunque più possibilità di
rimanere immortali. Ma credere nell’immortalità è un pensiero quasi religioso.
È totalmente basato sulla speranza, perché oggi non possiamo rispondere alla
domanda “vivremo per sempre?”. Da un punto di vista scientifico non credo sia
possibile rispondere. Né positivamente né negativamente. Hans Schöler è
scettico perché ci sono vincoli e limiti che derivano da quanto saremo capaci
di controllare i processi biologici dell’invecchiamento.
È strano che ci siano persone che sostengono il
raggiungimento dell’immortalità …
Non credo nell’immortalità. Ma sarei sorpreso se l’aspettativa di vita non crescesse
come è successo negli ultimi 150 anni. La demografia ci mostra che a metà del
XIX secolo l’aspettativa di vita, che sarebbe una media statistica, era di 40
anni. Da allora è iniziata a crescere. I demografi hanno raccolto i dati di
mortalità dell’occidente più ricco.
La rappresentazione grafica del paese con
la media migliore ci mostra una retta crescente che parte dalla metà del XIX
secolo per arrivare ad oggi. Per ogni decade l’aspettativa di vita aumenta di
due, tre anni. Ed è un andamento privo di ocillazioni, che continua a crescere.
Ci si potrebbe chiedere da dove proviene questo aumento dell’aspettativa di
vita, visto che si tratta di un numero aggregato.
A metà del XIX secolo si
iniziò a ridurre la mortalità infantile che era molto alta. In quel periodo
molte persone morivano poco dopo la nascita a causa delle malattie infettive.
Dunque a partire dalla metà del XIX secolo i più grandi progressi riguardarono
neonati e adolescenti. Ma poi, all’inizio del XX secolo, la capacità di curare
le malattie infettive ha riguardato anche i gruppi di età media. I demografi ci
mostrano che in questi ultimi decenni le aspettative di vita continuano a
crescere, e che i miglioramenti riguardano i gruppi di età più avanzata.
I demografi ci dicono che tra i gruppi di età
avanzata la morte è stata già posticipata. James
W. Vaupel, direttore dell’Istituto Demografico del Max Planck Institute di
Rostock, ha mostrato che i progressi più grandi sono stati fatti nei gruppi di
età avanzata, dove l’insorgenza delle malattie degenerative è più alta. Ad
esempio, le persone più anziane possono prendere dei farmaci per ridurre la
pressione arteriosa e non morire per disfunzioni del sistema cardiovascolare.
Altre malattie come la demenza, i tumori, il diabete, anche se non sono ancora
completamente guaribili sono comunque curate. Viviamo già nel futuro. L’arco di
vita è già stato esteso. Le persone che vivono oggi sono biolgicamente più
giovani di quelle che cento anni fa avevano la stessa età, perché abbiamo cure
sanitarie dalla nascita, una buona alimentazione, benessere sociale, condizioni
igieniche, ecc., tutti fattori che ci aiutano a vivere più a lungo e a rimanere
giovani.
Hans-Ulrich Treichel ha mostrato che l’abolizione
della morte ci potrebbe facilmente portare ad una depressione cosmica. Cosa ti
preoccupa dell’estendere il tempo di vita umano?
Mi preoccupa la questione della giustizia. Sarebbe orribile pensare a un
piccolo gruppo di persone capace di scegliere deliberatamente la lunghezza
della loro vita, di terminarla o estenderla a proprio piacimento. In uno
scenario del genere, reso possibile dai mezzi tecnologici, un gruppo di persone
può permettersi di usare queste tecnologie, mentre tutti gli altri ne sono
esclusi. Ci sarebbero dunque due classi di persone: quelle veramente vecchie e
le persone che vivono poco. Pensare a questo scenario ci permette di capire
meglio anche il presente, perché se guardiamo alla situazione mondiale, questo
futuro lo stiamo già vivendo.
Abbiamo un’aspettativa di vita già spaccata in
due: nel mondo occidentale un’aspettativa di vita di ottanta anni, mentre in
Malawi è di 40 anni e in Russia, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, tra gli
uomini è scesa da 70/75 anni a 60/65 anni.
I cambiamenti nell’aspettativa di
vita accadono perlopiù per questioni legate alla giustizia sociale.
Chi sarà capace di usare queste tecnologie quando saranno disponibili?
Si potrebbe anche pensare alla questione della gerontocrazia, che è una
questione attuale. Immaginiamo delle persone che diventano così vecchie da
bloccare tutte le posizioni dei consigli di amministazione, della dirigenza
dello Stato, delle società private, così da poter poi controllare tutti i
lavori migliori, ad libitum. Cosa ne sarebbe delle persone più giovani e delle
generazioni che verranno? Se queste persone che hanno i posti di lavoro migliori
non vanno in pensione, non ci sarà spazio per i più giovani. Inoltre estendendo
il tempo a disposizione per acquisire potere, cresce anche il loro potere.
Questo scenario riguarda anche il nostro presente.
Lo scrittore Treichel, che sostiene che abbiamo bisogno di un tempo
biologico confinato per poter avere degli obiettivi da raggiungere, e che
l’immortalità porterebbe alla fine dell’arte e ad una depressione cosmica, si è
comunque mostrato entusiasta della possibilità di vivere fino a 400 anni; ci ha
risposto: “va bene, fantastico! Perché no? Poi sarà sempre possibile morire,
no?”.
Personalmente io non avrei problemi a raddoppiare il mio arco di vita. Ma dipende anche da come vanno le cose. Giusto? Se immagino di arrivare ad 80 anni in buona salute e senza soffrire, perché dovrei pensare che è venuto il “tempo di andare”? Non ci sarebbero ragioni per pensare ad una cosa del genere.
Una
questione che riguarda la relazione tra estensione dell’arco di vita e qualità
della vita...
In
questo caso quantità e qualità vanno a braccetto. Se si riesce a mantenere una
certa qualità di vita, molte delle persone con cui ho parlato credo che
accetterebbero la proposta di estendere la loro esistenza. Mentre ho il
sospetto che quelle che hanno rifiutato la proposta non ci abbiano pensato bene,
e che ad 80 anni potrebbero cambiare idea.
Per approfondire
Qui sono stati pubblicati alcuni brani del libro,
mentre qui è possibile visitare dei video interattivi delle
interviste.