Si
era trasferito appena ad aprile, a Berlino, dalla neutrale Svizzera, che a fine
luglio scoppia la guerra e a fine ottobre è diventato un pacifista militante.
Il grande conflitto mondiale iniziato nel 1914, cento anni fa, interseca
pesantemente e sotto diversi aspetti la vita di Albert Einstein.
Erano quelli i
mesi in cui lascia la moglie Mileva e i due figli maschi, a Zurigo, per darsi a
una relazione stabile con la cugina Elsa, nella capitale prussiana. Tutto
questo non lo distrae. Perché questi sono anche i mesi in cui riesce,
finalmente, a dare una veste formale al “pensiero più felice della sua vita” –
il principio di equivalenza tra un sistema accelerato e un sistema in quiete
posto in un campo gravitazionale – e riesce a elaborare quella teoria della
relatività generale che renderà pubblica prima in una conferenza all’Accademia
delle Scienze di Prussia un anno dopo, nel tardo autunno 1915, e poi con un
articolo su una rivista scientifica nella primavera 1916.
Neppure
la guerra riesce a scalfire la sua eccezionale capacità di concentrazione.
Anzi, la guerra lo salva da un errore che avrebbe potuto comprometterne la
credibilità, condannando a morte un giovane astronomo che si era generosamente
offerto di iniziare a verificare le predizioni di quella che già si annuncia
come la più grande conquista nella storia della fisica teorica: la teoria della
relatività generale.
I
passaggi, in estrema sintesi, sono questi. Nel 1907, due anni dopo aver
elaborato la teoria della relatività cosiddetta ristretta, perché riguarda i
soli sistemi che si muovo a velocità costante, mentre è seduto al tavolo
all’Ufficio Brevetti di Berna, dove lavora, ha come una folgorazione. Immagina
un ascensore in caduta libera.
In un caso del genere, pensa, un uomo che vi è
sciaguratamente dentro non avvertirebbe più il proprio peso. Di qui la
generalizzazione: è impossibile distinguere tra un sistema in quiete immerso in
un campo gravitazionale e un sistema accelerato. Un astronauta in una capsula
senza oblò e senza contatti con l’esterno che, improvvisamente, si trovasse
schiacciato sul pavimento, non avrebbe alcun modo per capire se è entrato nel
campo gravitazionale di un pianeta o se qualcuno, da Terra, ha acceso i razzi
del suo vicolo spaziale.
Il nucleo
della relatività generale è in questa immagine. Il guaio è che Einstein non ha
in mano la matematica per trasformare l’immagine fisica in una teoria formale.
Per anni la cerca, quella matematica, senza riuscirci.
Che sia a Berna, a
Zurigo o a Praga. Le città dove lo porta la sua carriera.
Mentre,
nel 1911, è a Praga Einstein affina la sua fisica. E immagina, per esempio, che
un campo gravitazionale molto intenso curva così tanto lo spazio da deviare
anche un raggio di luce. Qualche calcolo e la conclusione: un raggio di luce
che passasse nelle vicinanze del Sole dovrebbe essere deviato di 0,83 secondi
d’arco.
Ora la parola passa agli astronomi, conclude trionfante. Se, in
occasione di un’eclisse, misureranno questa deviazione della luce di una stella
lontana, avremmo la prova empirica che la relatività generale è la nuova teoria
della gravitazione universale.
La
conclusione di Einstein è sbagliata. Intanto perché la deviazione prevista
sarebbe la medesima subita da un raggio di luce nelle vicinanze del Sole
anche secondo la teoria classica della gravitazione universale di Newton.
E
dunque la misura, eventualmente fosse quella, non potrebbe discriminare tra le
due teorie. E poi perché, come calcolerà di lì a qualche anno, i suoi calcoli
sono sbagliati. Sulla base della relatività generale, infatti, la deviazione del
raggio di luce è doppia rispetto a quella inizialmente prevista.
Ma lui
non può saperlo, nel 1911. Proprio perché non ha la veste matematica adatta
alla sua teoria che è e resta un’ottima idea.
Nel 1912
il nostro ritorna a Zurigo e si presenta nell’ufficio del suo amico Marcel Grossmann, divenuto preside
della Facoltà di Matematica. «Aiutami, sennò divento pazzo!», lo implora
Einstein. E l’amico l’aiuta, introducendolo alla geometria non euclidea di
Riemann e al calcolo differenziale assoluto di due italiani, Gregorio
Ricci-Curbastro e Tullio Levi-Civita. Se immagino la gravità come curvatura
dello spazio tempo e, con l’aiuto di Marcel, utilizzo questi strumenti posso
finalmente dare una veste formale alla mia teoria.
Intanto
si è fatto avanti l’astronomo che cercava, un giovane di Berlino: Erwin
Freundlich.
Il 21 agosto 1914, dice, ci sarà un’eclisse visibile dalla Crimea, in
Russia. Ho intenzione di allestire una spedizione – gli scrive il giovane
astronomo – per verificare la sua teoria. Dobbiamo solo trovare i soldi.
Einstein
non sta nella pelle per l’eccitazione. Incontra il giovane a Zurigo nell’agosto
1913.
Il giovane Freundlich ha convinto la sua sposa a passare una parte del
viaggio di nozze nella città svizzera (quando si dice, l’amore per la scienza)
per poter discutere di persona con Einstein della vicenda. La discussione è
proficua. Tutto è pronto. Mancano solo i soldi.
Il 7
dicembre 1913 Einstein accetta l’invito di Max Planck e formalizza il suo nuovo
trasferimento: andrà a lavorare a Berlino, con un congruo aumento di stipendio.
Quel medesimo giorno scrive a Erwin Freundlich: mio carissimo amico, proceda
pure nell’organizzazione del viaggio, alla peggio pagherò la missione di tasca
mia. Il 19 luglio 1914 tutto è pronto. E Freundlich parte, con due colleghi e la
necessaria attrezzatura, per la Crimea.
L’astronomo non fa caso alla notizia
giunta da Sarajevo venti giorni prima: il Gavrilo Princip, ha assassinato
l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo e la consorte morganatica. I
nazionalismi di tutta Europa sono in tensione crescente. Ma Freundlich non
pensa tutto questo possa sortire in una guerra e, in ogni caso, che possa avere
effetti sul suo viaggio.
Invece la
guerra scoppia, il 29 luglio, dieci giorni dopo l’inizio del viaggio, e
sorprende Freundlich in Crimea.
La Germania ha dichiarato guerra alla Russia. E
hai voglia di spiegare ai nuovi nemici che siamo qui, con tutte queste macchine
fotografiche, per una spedizione scientifica e non per una missione
spionistica. Causa
guerra, la missione è fallita. Sarebbe
fallita in ogni caso, perché il 21 agosto 1914 il cielo sulla Crimea era
coperto e il Sole non era visibile.
È una
fortuna per Albert Einstein. Perché se la guerra non fosse scoppiata, se il
cielo non fosse stato terso e se Freundlich avesse effettuato le misure con
rigore, avrebbe trovato un angolo di deflessione della luce doppio rispetto a
quello indicato da Einstein.
Il grande
fisico teorico avrà modo di rivedere i suoi calcoli alla luce della matematica
di Ricci-Curbastro e di Tullio Levi-Civita e di effettuare la giusta
previsione. Che sarà verificata nel 1919 dall’inglese, sir Arthur Stanley
Eddington. La notizia sarà data alla Royal Society. E l’"improvvisamente
famoso dottor Einstein" si trasformerà in un mito. Tra i più inossidabili del
XX secolo.
E del
povero Freundlich che ne è stato? «Il mio amico astronomo Freundlich, invece di
fare l’esperienza di un’eclisse solare ora farà l’esperienza della prigione in
Russia – si lamenta Einstein con l’amico Paul Ehrenfest –. Sono preoccupato per
lui».
Niente
paura. Nell’agosto di cento anni fa, l’amico Freundlich sperimenta sì le
carceri dello zar, ma viene ben presto liberato in uno scambio di prigionieri.
Tutto sommato anche per lui – l’astronomo che avrebbe potuto oscurare Einstein
– l’avventura si è conclusa bene.