L'8
agosto, Margaret Chan direttore
generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito la crisi dell’Ebola
nell’Africa Occidentale una “emergenza di sanità pubblica di rilevanza
internazionale”.
Il nuovo bilancio parla di 1.013 decessi e di 1.848 casi censiti. Tra il 7 e il
9 agosto 2014 - precisa l’Oms - sono stati segnalati 69 nuovi casi di malattia
da virus Ebola (confermati, probabili e sospetti) e 52 decessi in tre dei
quattro paesi colpiti.
“I paesi
colpiti finora non hanno la capacità di gestire un focolaio di queste
dimensioni e complessità per conto loro,” ha detto la Chan. “Esorto la comunità internazionale a fornire al più presto un
supporto”.
Per arginare la più grande epidemia del virus potrebbero arrivare anche farmaci e vaccini non testati. “Siamo tra l'incudine e il
martello”, afferma Jonathan Palla,
professore di virologia molecolare presso l'Università di Nottingham, “Abbiamo
chiaramente bisogno di avere qualche tipo di soluzione, qualche speranza da
offrire agli individui infetti. La mia preoccupazione è che i farmaci che
spesso sono efficaci negli animali non sempre funzionano negli esseri umani”.
Attualmente infatti, non esistono farmaci autorizzati o vaccini per la malattia
mortale. Molti sono in vari stadi di sviluppo, ma nessuno è stato rigorosamente
testato negli esseri umani.
Uno di
questi è il TKM-Ebola sviluppato
congiuntamente da parte di una società di Vancouver, Tekmira Pharmaceuticals, insieme a una divisione del Dipartimento
della difesa americano. L’approccio basato sull'RNA interference permette di
bloccare la replicazione del virus. Somministrata alle scimmie 30 minuti dopo
averle infettate con l'Ebola questa terapia riesce a proteggerle, ma gli studi
nell'uomo sono stati interrotti in attesa di maggiori informazioni sulla
risposta del sistema immunitario a dosi elevate del farmaco.
Ma alcuni
giorni fa, la US Food & Drug Administration (FDA) ha verbalmente confermato
di aver modificato le restrizioni per la sperimentazione del farmaco.
Con
l'attribuzione dello status “partial hold”, anziché “full hold” da parte della
FDA, Tekmira potrà quindi dare il via libera ad alcune sperimentazioni
limitate. In una nota l'amministratore delegato di Tekmira si è dichiarato
soddisfatto: “Siamo felici che la FDA abbia considerato il rischio-rendimento
di TKM-Ebola per i pazienti infetti. Abbiamo seguito da vicino l'esplosione di Ebola
e le sue conseguenze e siamo disponibili ad aiutare con un uso responsabile di
TMK”, ha detto Mark Murray, CEO e
Presidente, Tekmira Pharmaceuticals.
Da
farmaco la cui sperimentazione era stata fermata per maggiori approfondimenti
sperimentali a un altro la cui messa a punto è stata interrotta per mancanza di
fondi. E’ il caso dell’AVI-7537. Sviluppato
da una società americana, Sarepta
Therapeutics, il farmaco funziona impedendo la produzione di una proteina
dell’Ebola, che facilita la replicazione del virus nel suo ospite.
AVI-7537
è diretto contro uno dei tre geni Ebolavirus (VP24), bersaglio del farmaco di
Tekmira.
Ma la sua piattaforma di sintesi chimica, chiamata PMOplus, è nettamente
diversa da quella di Tekmira. Non è un vaccino, piuttosto, si tratta di farmaco
che somministrato per via endovenosa a un paziente consentirebbe al sistema
immunitario di combattere e sconfiggere il virus. Il trattamento Sarepta è
stato testato nelle scimmie rhesus infettate in laboratorio, con un tasso di
guarigione del 60 al 80%, ha dichiarato la società. Il trattamento è stato
anche provato per la sicurezza in volontari sani, ma finora, non è mai stato
provato in un essere umano infettato con Ebola.
Sarepta
Therapeutics afferma di avere un numero sufficiente di dosi del farmaco per il
trattamento di circa due dozzine di pazienti e potrebbe approntare una
fornitura per altri 100 pazienti nel giro di pochi mesi.
Ancora
più indietro è la molecola BCX4430.
Il farmaco della Usamriid è alla fase di studio preclinico. BCX4430
assomiglia all’adenosina, può essere utilizzato accidentalmente dal virus
quando sta cercando di crescere all’interno delle nostre cellule. In
realtà, nello studio di Nature in cui vengono presentati i
risultati, il team di ricerca ha curato dei macachi non per l’ebola ma per il
virus Marburg.
Ma
veniamo al farmaco che sta accendendo la speranza di molti: ZMapp. Il siero è una combinazione di
tre anticorpi umanizzati diretti contro diverse parti della glicoproteina
esterna dell’Ebola virus. In pratica, al paziente si fornisce una risposta
immunitaria preconfezionata (ottenuta da animali infettati col virus) contro il
patogeno.
Finora il farmaco è stato somministrato a sole tre persone. Su due sanitari
americani evacuati negli Usa, il ZMapp si è rivelato una mossa vincente mentre
il missionario spagnolo, che aveva contratto l’Ebola in Liberia, è morto questa
mattina nell'ospedale di Madrid.
Ma proprio
sull’utilizzo di ZMapp solo per gli occidentali si è innescata una polemica.
Nei giorni scorsi, esperti dell’Oms avevano rivolto un appello agli Stati Uniti
affinché rendessero disponibile il siero nei paesi africani colpiti
dall’epidemia. Ma non è così semplice.
Innanzitutto, il farmaco è stato prodotto solo per prove di laboratorio e non
per contrastare un’epidemia. Sono infatti disponibili meno di 100 dosi. La
stessa azienda farmaceutica che ha messo appunto il farmaco è una piccola biotech
statunitense con pochi dipendenti, non in grado quindi di poter fronteggiare alle
richieste a livello mondiale. Ma ancora più rilevante è la produzione stessa
del siero, a pieno regime si potrebbe produrre un centinaio di dosi di ZMapp in due settimane, un piccola quantità considerata l'emergenza.
Senza dimenticare poi le condizioni ottimali alle quali il siero deve essere
somministrato: temperatura e modalità di spedizione. Condizioni di non facile
attuazione nei paesi dell’Africa occidentali afflitti dall’epidemia.
“Da
quello che sappiamo, potrebbero volerci anni prima che un farmaco, sicuro e
approvato, possa essere disponibile. E’ vero che quando si sperimentano nuovi
prodotti c'è un protocollo da seguire e che ancora non conosciamo le
controindicazioni di Zmapp, ma, considerato l'alto tasso di mortalità di Ebola
e gli effetti positivi che il farmaco ha avuto sui due americani, crediamo che
questo trattamento, in casi estremi, possa essere una possibilità”, afferma Armand Sprecher,
medico di Medici
senza frontiere.
Ecco, accanto ai
problemi di carattere
tecnico-scientifico ci sono quelli di tipo etici. Può essere, infatti, molto
rischioso usare in Africa terapie che sono state testate solo su animali e in
piccoli trial clinici su persone sane. I farmaci passano attraverso varie fasi,
in laboratorio e sugli animali, prima di essere autorizzati a essere testati su
esseri umani.
Questa operazione può durare fino a 15 anni e costare milioni, e in alcuni
casi, miliardi di dollari.
Senza
contare l'enorme diffidenza già manifestata dalle popolazioni locali nei
confronti degli operatori sanitari occidentali. Ma non si può neanche far
partire una sperimentazione in Africa ora.
Ci
sarebbe bisogno di tre gruppi di persone, che hanno contratto l’Ebola. Un set
di persone a cui verrebbe somministrato il vaccino, un altro un placebo e ad
altri nulla. Difficile da farlo eticamente, dato che il gruppo placebo e quelli
senza il farmaco potrebbero effettivamente morire.
Un
dilemma etico: non somministrare un farmaco a coloro che hanno contratto l’Ebola
o dare quel farmaco che potrebbe forse aggravare la situazione? Per cercare trovare una soluzione a queste domande,
l’Oms ha riunito, per 36 ore, i propri esperti che hanno deciso che l’uso di questi farmaci è “etico”.
“Nelle
particolari circostanze di questa epidemia - si legge in una nota dell'Oms - e
purché siano soddisfatte determinate condizioni, il panel è giunto al consenso
che è etico offrire interventi non ancora testati e la cui efficacia ed effetti
secondari non sono conosciuti, come potenziale trattamento o a titolo di
prevenzione". Se ricorrono tutte queste condizioni per l'agenzia Onu è
«dovere morale» valutare farmaci sperimentali e vaccini per l’Ebola.
Decisione quella dell’Oms che non ha messo tutti d’accordo. Silvio Garattini, direttore dell’Istituto Mario Negri di Milano, non nasconde le sue perplessità: “La sperimentazione di un farmaco è sempre necessaria, anzi imprescindibile, prima che il prodotto stesso venga introdotto per l’uso di massa. Altrimenti si rischia di creare grande confusione, un caos dove i rischi potrebbero superare i benefici .”