Il farmaco Zmapp, prodotto dalla Mapp Biopharmaceutical, è in grado di proteggere completamente le scimmie contro il virus dell’Ebola.
A
riferirlo è uno studio appena pubblicato sulla rivista Nature. I
risultati di questa ricerca arrivano il giorno dopo che l’Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS) ha avvertito che l’epidemia di Ebola, che ha ucciso
più di 1.500 persone, sta peggiorando e potrebbe infettare 20.000 persone prima
che finisca.
Lo studio
in questione è molto importante perché ZMapp rappresenta la grande speranza per
la cura dell’Ebola. E’, infatti, nella lista dei farmaci sperimentali che l’OMS
ha autorizzato a utilizzare.
“Nelle particolari circostanze di questa epidemia
e purché siano soddisfatte determinate condizioni è etico offrire interventi
non ancora testati e la cui efficacia ed effetti secondari non sono conosciuti,
come potenziale trattamento o a titolo di prevenzione" , hanno spiegato gli
esperti dell’OMS.
Zmapp, finora, è stato dato a sette persone: due statunitensi e tre operatori sanitari africani, un'infermiera inglese e un prete spagnolo. Tre dei pazienti sono ancora in trattamento, due sono guariti e due sono morti. Questi casi, però, non sono considerati rappresentativi perché limitati e troppo diversi l’uno dall’altro. Il farmaco non è mai stato testato estesamente sugli esseri umani e ci vorranno mesi affinché il farmaco venga considerato sicuro ed efficace, ma proprio questo nuovo studio sui primati potrebbe dare nuova linfa alla speranze sull’efficacia del farmaco.
Nello
studio, ideato e condotto in parte dagli scienziati della Mapp farmaceutici, i primati
hanno ricevuto tre dosi del farmaco tre, quattro o cinque giorni dopo che sono
stati infettati con il virus Ebola.
Tutti gli
animali che hanno ricevuto il farmaco ha vissuto, non importa quando loro
trattamento iniziato; tre scimmie che non sono stati trattate sono morte.
“Si
tratta di un grande passo in avanti. Fatico a credere che questo farmaco non
possa avere un’utilità sostanziale nel combattere ebola negli esseri umani” ha
affermato Thomas Geisbert,
dell’Università del Texas, che ha contribuito ad esaminare le conclusioni
dell’articolo per Nature.
Più cauti gli autori della ricerca che sottolineano la necessità di ulteriori studi per avere la certezza che il farmaco sia efficace anche negli esseri umani. Attualmente si ritiene che siano necessarie tre dosi per curare una persona, ma non ci sono ancora certezze su come reagirà il corpo umano al farmaco.